No, non l’ha inventata Shakespeare la storia di Romeo e Giulietta. Quella che diventerà una tragedia immortale nasce a Vicenza, dalla penna di un giovane nobile malinconico e paralizzato, Luigi da Porto.
E' lui che nel 1524, ben settant’anni prima del Bardo, mette su carta la vicenda dei due amanti infelici. E allora conosciamolo più da vicino il vero autore dell'intreccio d'amore più famoso di tutti i tempi.
Luigi da Porto nasce a Vicenza nel 1485. Rampollo aristocratico, orfano precoce, educato tra umanisti e letterati, amico di Pietro Bembo, mostra fin da giovane la stoffa dell’uomo d’armi: nel 1511 guida cinquanta cavalleggeri veneziani nella guerra della Lega di Cambrai.
Ma sul Natisone, durante una scaramuccia con i soldati imperiali, una stoccata al collo lo lascia paralizzato a vita. Fine della carriera militare, inizio della parabola letteraria. Ritirato nella villa di famiglia a Montorso Vicentino, tra le colline, scrive le sue rime e soprattutto l’*Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti*.
È lui a dare il nome di Romeo Montecchi e Giulietta Cappelletti ai protagonisti. I cognomi non sono scelti a caso: li prende in prestito da Dante (Purgatorio, VI, 106), dove Montecchi e Cappelletti compaiono come famiglie in lotta.
Da Porto ambienta la vicenda ai tempi di Bartolomeo della Scala, tra il 1301 e il 1304. E non basta: nella cornice, racconta di aver udito la storia in Friuli, durante una cavalcata tra Gradisca e Udine, da un arciere che voleva distrarlo dalle pene d’amore. Un vezzo letterario, certo, ma che regala alla novella un’aria di confessione personale.
E infatti c’è chi sostiene che dietro Giulietta si nasconda una cugina vera, Lucina Savorgnan, e che Romeo non sia altri che lo stesso Luigi, innamorato impossibile in mezzo alle faide friulane tra Strumieri e Zamberlani. Forse è leggenda, ma è affascinante pensare che la tragedia nasca da una vicenda autobiografica, segreta e censurata dai parenti.
Dalla finestra della villa di Montorso, Luigi vede le due rocche scaligere di Montecchio Maggiore, contrapposte sul crinale. Oggi tutti le chiamano “i castelli di Romeo e Giulietta”: allora erano fortezze, ma l’immagine deve aver nutrito la sua fantasia.
La novella circola manoscritta, poi viene stampata anonima a Venezia nel 1530. Matteo Bandello la rielabora, Pierre Boaistuau la traduce, Arthur Brooke la porta in Inghilterra. A metà del Cinquecento il seme è piantato. Shakespeare lo raccoglie e nel 1595 lo trasforma in poesia immortale.
Ma il primo balcone, il primo bacio, il primo veleno sono nati tra le colline venete, nelle stanze di una villa nobiliare, dalla mente di un uomo provato dalla vita che combatteva la tristezza con una penna in mano e una storia meravigliosa da raccontare.

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