sabato 20 giugno 2020

661 - IL FOTOGRAFO ALCHIMISTA




Sembra impossibile ma…
Un fotografo americano costruisce le sue fotocamere con organi del corpo umano, scheletri e sangue, il tutto conservato in formaldeide e tenuto insieme da titanio e metalli nobili.

L’artista si chiama Wayne Martin Belger, ed è nato in Arizona nel 1964. “Durante i miei studi – spiega - sono stato affascinato dagli alchimisti e dall’alchimia del metallo. Finora ho usato dieci diversi metalli e molte reliquie nella costruzione delle mie macchine fotografiche. Tutte le fotocamere sono altari progettati per la ricerca e la comunione con il soggetto per il quale sono state create”. Le sue fotocamere sono semplicissimi apparecchi stenoscopici: utilizzano il foro posizionato su un lato come obiettivo. La pellicola viene impressionata dalla luce che penetra dal foro nella “camera oscura”. Il tempo di esposizione necessario per avere un buon risultato è di circa due ore.

Belger costruisce le sue incredibili macchine fotografiche ibride in base al soggetto che dovrà fotografare. “Lo strumento – dice – diventa un altare magico che permette di catturare l’essenza dell’oggetto della foto”. I lunghi tempi di esposizione trasformano l’atto di fotografare in un rituale, un procedimento alchemico dove la luce e il tempo si fondono. Ecco alcuni esempi delle sue opere: “The Third Eye” (nella foto) è realizzata con un teschio di 150 anni fa di una ragazzina di 13 anni, e il foro per le fotografie è all’altezza del terzo occhio della mistica orientale. “9/11 Camera” è composta da pagine delle Bibbia, del Corano e della Torah più un pezzo di metallo delle Torri gemelle, e le foto ritraggono preti, imam e rabbini in preghiera. Un’altra macchina, usata per fotografare donne all’ottavo mese di gravidanza, contiene al suo interno il cuore di un bambino. Ma la sua opera più famosa è “The untouchable camera”: è fatta di alluminio, rame e acrilico e creata per fotografare malati di AIDS. Al posto dei filtri fotografici ha lastre di vetro contenenti il sangue positivo all’HIV dei soggetti, che vengono così fotografati attraverso il loro sangue infetto. Ecco in una clip i risultati ottenuti da Belger.


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