Sembra
impossibile ma...
Questa
è una storia vera. Una storia che, se non l’avessi vissuta, direi
che è impossibile.
Agosto
2010. Campo tendato di Bayanzag nell'alto Gobi. La strada asfaltata
più vicina è a 400 chilometri. Arriviamo all'ora di pranzo.
Alfredo, la guida italiana, a tavola mi dà la buona notizia: stasera
forse potremo incontrare uno sciamano, a qualche chilometro da qui.
Era una delle prime richieste che gli avevo fatto appena arrivato in
Mongolia, una settimana prima. Lo
sciamano fa sapere che è un buon giorno per contattare gli spiriti,
e che sarebbe disponibile anche a fare un rituale, se lo desideriamo.
In cambio vuole 3 bottiglie di Wodka. Affare fatto. Alle 17 ci
dirigiamo verso due piccole tende, le tipiche gher mongole: entriamo
nella prima, arredata con tappeti. E' una specie di sala d'attesa.
Intorno la steppa a perdita d'occhio, in tutte le direzioni. Dopo
un'oretta l'assistente ci fa entrare nella seconda tenda. Entra lo
sciamano. età indefinibile, ma non vecchio.
Non
guarda nessuno, non saluta. Prende un ampio pastrano dal quale
pendono decine di serpenti e lo indossa, così come un copricapo con
quattro lunghe piume d'aquila, che gli nasconde quasi completamente
il volto. L'assistente spiega all'interprete che il pastrano serve a
proteggersi dagli spiriti, il copricapo a facilitare il contatto. Lo
sciamano prende poi un grosso tamburo di pelle di cavallo e comincia
lentamente a percuoterlo con una mazza. "Sta chiamando gli
spiriti" dice sottovoce l'assistente. Il suono si fa sempre più
forte e violento, fino a diventare quasi insopportabile, un ultimo
colpo di tamburo e lo sciamano crolla a terra con un movimento
innaturale, come una bambola senza fili.
Quando
si rialza qualcosa è cambiato. Le sue movenze sono quasi feline, la
voce è artefatta, quasi femminile o di bambina. Nella semioscurità
della tenda si accovaccia a terra, si fa accendere una sigaretta
(spinello?) fatta a mano, fuma in maniera strana, sotto la maschera,
al lato della bocca: la sigaretta diventa cenere rossa in tre tirate.
Versa in una ciotola argentata della wodka e ne beve un po'. Parla
con l'assistente. E' una lingua diversa dal mongolo, mai sentita: il
linguaggio degli spiriti. L'assistente traduce in mongolo, la guida
traduce in inglese. E si rivolge a me: "Sei tu che hai voluto
incontrarmi" dice lo spirito, "dimmi cosa vuoi". Cosa
voglio? Io pensavo di fare una specie di intervista allo sciamano, ma
cosa si dice a uno spirito? Dico
letteralmente la prima cosa che mi viene in mente: "Guariscimi
il mal di schiena". E’ un malessere serio che mi tormenta da
tempo.
Lunghi
minuti di silenzio. Poi lo spirito parla: "Qualcuno qui non
crede, perché non va via?". Poi di nuovo rivolto a me: “Vedrò
quello che posso fare, ma c'è già un grande sciamano che si prende
cura di te". Ancora silenzio, poi chiede all'assistente di
farmi avvicinare. Un po' a gesti, un po' a parole, dà delle
indicazioni che l'assistente mi trasmette. Mi fa mettere le mani con
le palme rivolte verso l'alto, mi dà una sciarpa di seta azzurra da
tenere sulle mani. Poi soldi, banconote di piccolo taglio da tenere
nella sinistra. E un braccialetto di sfere marroni da tenere nella
destra. Esegue un rituale con il fuoco e la ciotola di wodka,
pronuncia parole incomprensibili, una lunga litania. Beve e fa bere
un sorso anche a me. Lo spirito parla ancora. Dice che più tardi
incontrerà il mio spirito da solo, fuori dalla tenda, davanti al
fuoco. Poi lo sciamano sembra perdere i sensi. Si riprende, e torna
in sé, lo spirito se ne è andato.
Ora
si muove e parla normalmente, sembra solo affaticato. Si rivolge
direttamente a me. Prende il braccialetto, lo taglia, fa cadere le
sfere nella ciotola con la wodka, vi immerge anche un filo nuovo,
giallo. Poi infila di nuovo le sfere una per una, lega con tre nodi
(felicità, infelicità, felicità, così l'infelicità è chiusa in
mezzo, spiega) al mio polso. Prende un sorso di wodka e dalla bocca
me la spruzza sul polso. Prende un filo rosso, infila una perla, fa
lo stesso con questo secondo filo alla mia caviglia, con tanto di
spruzzo di wodka. Dice che non dovrò togliermeli, che sì, ho dei
problemi alla colonna e ai reni, ma quando i bracciali si
scioglieranno da soli, guarirò. Però non dovrò conservarli, dovrò
far cadere le sfere, poi buttarle via. Poi mi fa sdraiare bocconi,
con la schiena nuda. Manipola per qualche minuto la zona dei reni e
della colonna, conclude con un colpo piuttosto violento. Io sono
alquanto preoccupato; ma insomma, me la sono cercata.
Sono
passate quasi due ore dall'inizio del rituale, è scesa la notte.
Penso che sia finita lì, invece l'assistente dice allo sciamano che
durante la trance lo spirito ha chiesto un incontro con me, da soli,
all'aperto. Lui appare stupito. I miei compagni di viaggio vengono
mandati via, ci verranno a riprendere fra qualche tempo. Restiamo io,
lo sciamano, l'assistente, il traduttore.
Andiamo
fuori dalla tenda, sotto un cielo stellato come si vedono solo in
mezzo al deserto. Accendono un fuoco, io cammino inquieto, quando
passo alle spalle dello sciamano un grido mi fa sobbalzare: vengo
redarguito, "è pericoloso, ci sono gli spiriti della notte.
Lontano dal fuoco e con lo sciamano di spalle non hai nessuna
protezione".
Mi
fanno sedere vicino al fuoco, a due metri dallo sciamano. Lui prende
il tamburo, ripete la scena di prima stavolta in maniera ancora più
violenta. Nel momento in cui va in trance fa quasi un salto mortale,
poi sembra disarticolarsi, si placa e torna nella strana posizione
accovacciata. Ancora sigaretta e wodka, e ancora quella vocetta
strana. L'assistente mi dice di guardare lo spirito. Fra me e lui il
fuoco. La maschera per la prima volta si rivolge verso di me. Parla
sommessamente, l'assistente non traduce, mi fa cenno di fare
silenzio. Si allontanano anche i traduttori, rientrano nella tenda,
siamo solo io e lo spirito, unico rumore il crepitare del fuoco.
Lo
sciamano parla da solo, ma lo fa come se stesse dialogando, con delle
pause fra una frase e l'altra. Ride, anche, a un certo punto. Va
avanti così per più di un'ora. Segue un lungo silenzio, il fuoco si
attenua, intorno la più completa oscurità, siamo un puntino di luce
nel deserto. Guardo in alto. La luna non c’è, ma luccicano milioni
di stelle. Mai viste così tante. Lo
sciamano esce dalla trance. Sembra stupito di essere lì, arriva
l'assistente, parlano a lungo. Mi spiega che non ricorda niente, ma
che è la prima volta che il suo spirito chiede di incontrare un
altro spirito da soli. Ancora più stupito che mi abbia fatto dei
regali, la sciarpa, i soldi. Chiedo se li vuole indietro: no. Gli
offro dei soldi per ringraziarlo, li rifiuta. L'assistente dice che è
lui che ringrazia me per avergli fatto l'onore di andarlo a trovare.
Le
luci dei fari in lontananza segnalano il ritorno dei miei compagni di
viaggio. Vado via senza domande, senza risposte. Una storia in più
da raccontare. Sono
passati nove anni, ho ancora il filo con le perline alla caviglia. E
per quanto sembri impossibile il mal di schiena _ che sia un caso,
effetto placebo o arti sciamaniche _ ha smesso di tormentarmi.
Guarda il video con una cerimonia sciamanica in Mongolia.
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