sabato 28 dicembre 2019

248 - I TEMPLI FRA LE NUVOLE




Sembra impossibile ma...
Il monte Fanjing nel sud-ovest della Cina ospita un gran numero di templi buddhisti. Due di questi, collegati da un ponte, sorgono in cima a un vertiginoso pinnacolo verticale alto 2.336 metri.

La ricerca di silenzio, solitudine e misticismo ha portato da sempre gli asceti di tutte le religioni a cercare luoghi appartati per isolarsi dal mondo, e a costruire templi e monasteri in zone montane di difficile accesso. Ma i monaci cinesi hanno esagerato. Qui in Europa abbiamo le Meteore della Tessaglia che non scherzano quanto a location estreme, ma i templi di Buddha e Maitreya edificati sulla ridottissima area di una ripida vetta, sembrano architetture di un altro pianeta. Siamo sulla montagna più alta della catena montuosa Wuling, che raggiunge i 2.572 metri sul livello del mare, a due ore di auto dalla città di Tongren. Nel 1978 l'area venne dichiarata Riserva Naturale Nazionale, e dal 2018 è Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco. Per il buddhismo cinese, il Fanjingshan è una montagna sacra, luogo di illuminazione del Buddha Maitreya. Dal 2010 qui è possibile visitare il Parco culturale buddhista, con la più grande statua d'oro al mondo del Buddha Maitreya, alta 5 metri e realizzata con 250 chilogrammi d'oro e migliaia di gemme. E' dal VII secolo che sulla montagna si costruiscono templi: solo durante la dinastia Ming ne vennero edificati 50 per i pellegrini che visitavano la zona sacra. Molti sono andati distrutti, ma ne restano ancora un buon numero. I più importanti sono proprio il Tempio di Buddha e il Tempio Maitreya, sulla "Red Clouds Golden Summit", una delle tre cime del Fanjingshan. Una ripida gola li separa, ma i visitatori possono attraversarla su uno stretto ponte di pietra. Per raggiungere la vetta devono però prima salire qualcosa come 8.888 gradini, magari con qualche fermata ai posti di sosta e di ristoro lungo il percorso.

L'isolamento del Fanjingshan ha permesso la sopravvivenza di una straordinaria biodiversità, con oltre 2.000 specie di piante endemiche fra cui il raro abete fanjingshanensis e centinaia di animali, con diverse specie in via di estinzione, come il cervo muschiato della foresta, la salamandra gigante cinese, il fagiano di Reeve e il rinopiteco dal mantello bianco. Un ecosistema che l'aumento consistente del turismo rischia di alterare.

247 - IL PRIGIONIERO DELLE ORCADI



Sembra impossibile ma...
Questa è una storia vera. Viste dalla cima delle scogliere nere di John O’Groats, le Orcadi sembrano balene distese su un mare irreale che alla luce del sole di mezzanotte diventa d’avorio. Oltre l’estremo nord della penisola britannica, un finis terrae che le pecore dividono con gli uccelli marini, il vento freddo spazza in tutte le stagioni, dall’Atlantico e dal mare del Nord, l’anello degli antichissimi menhir di Brodgar, le case dei pescatori di Kirkwall e di Stromness, gli scheletri delle navi della flotta tedesca semiaffondati nella baia di Scapa Flow; e la chiesetta degli italiani.
E’ una tappa obbligata per i turisti che in luglio e agosto arrivano alle isole, non c’è depliant che non ricordi come nel 1943 i prigionieri di guerra, reclusi su una delle isole più piccole, Lamb Hoim, abbiano edificato un capannone di lamiera per riunirsi a pregare; la mano di un artista ha poi riempito l’interno di affreschi dai colori tenui, e altre mani hanno abbellito con cura paziente la cappella, fino a trasformarla in una bomboniera che gli orcadiani mostrano con orgoglio.
Erano prigionieri italiani, un migliaio circa, catturati in Nord Africa ai primi rombi di cannone. Churchill li aveva voluti alle Orcadi. Dovevano costruire quattro grandi barriere, “una cintura di strade per collegare cinque isole, così gli abitanti non dovranno più prendere scomodi traghetti” dissero agli ufficiali italiani. Era una bugia. Le barriere, che oggi sono veramente strade, erano una formidabile difesa contro i temutissimi sommergibili tedeschi. Bruciava ancora il ricordo del blitz dell’U-boat 47, penetrato temerariamente nell’ottobre del 1939 nella base navale di Scapa Flow: quattro siluri a segno, ottocentotrentatre i marinai britannici morti. Tre anni di lavoro dal ’42 al ‘44, e le “Churchill barriers” furono portate a termine mentre l’astro nazista declinava.
Di ricordi di guerra le Orcadi sono piene quasi quanto di resti archeologici di eccezionale bellezza. Gli italian prisoners fanno. ormai parte della storia di queste terre. Sui tre anni di forzata convivenza coi nemici “piccoli, scuri e scottati dal sole” è stato scritto un libro, e in un museo nel capoluogo sono conservati i manufatti del campo di prigionia. «Sbarcarono una mattina di gennaio - si legge in un capitoIo - in una lunga fila sul molo. Avevano vestiti leggeri, e sembravano soffrire molto il freddo; ma iniziarono a marciare intonando canti militari e urlando a gran voce. E noi eravamo contenti che fossero ben sorvegliati».
Di tanto in tanto dei ricordi di guerra si occupa anche “The Orcadian”, giornale locale che dal 1854 racconta, due volte la settimana, i fatti piccoli e grandi dell’arcipelago. “Cinquanta anni dopo: emozione per il ritorno dei prigionieri di guerra” è il titolo che apre la prima pagina dell’undici giugno, con foto di un gruppo di anziani sorridenti davanti alla chiesetta. Sono tornati, dunque, in otto; ad attenderli c’era la banda con le cornamuse, e un comitato di ricevimento con il console italiano, il sindaco, le autorità. Si sono fermati una settimana, visitando i luoghi dove avevano speso tre anni, lunghi come solo ,quelli “intorno a vent’anni” sanno esserlo, e resi interminabili dalla prigionia. Il cronista locale racconta i momenti di festa di questa sentimental journey, I’emozione fino alle lacrime degli “amici italiani” di fronte a paesaggi rimasti immutati, alla chiesetta costruita pezzo per pezzo, agli oggetti lavorati a mano tanto tempo prima e ora conservati nel museo. Poi sono ripartiti; lasciando le loro firme di visitatori un po’ speciali sul librone degli ospiti nell’ Italian Chapel.
Otto autografi, e fra questi quello di Ugo Barucci, da Piombino. Dalla sua casa di Salivoli si vede la sagoma rassicurante dell’isola d’Elba, e i riflessi dorati sulle onde del Tirreno confermano: il mare del Nord è lontano anni luce.
«Abbiamo realizzato un sogno – dice Barucci – una volta l’anno noi ex prigionieri delle Orcadi ci trovavamo, e questo viaggio era un chiodo fisso. Anche per Domenico Chiocchetti, I'artista che ha dipinto la cappella. Ma lui ha ottantadue anni e problemi di cuore, non ce l’ha fatta a viaggiare; è venuta sua figlia, e ha detto agli Orcadiani che suo padre è orgoglioso di lasciargli in eredita la sua opera. Chiocchetti è di Moena, un artista vero, ha fatto tanti quadri anche nelle chiese delle Dolomiti».
La cappella affrescata, i soldati italiani, l’isola dove tornare dopo mezzo secolo a caccia del fantasma della gioventù: qualcuno, con un po’ di fantasia potrebbe anche farci un film. E magari vincere l’Oscar...
«Più che un film, la mia è stata un’odissea, iniziata quando avevo ventun anni, e conclusa quando ne avevo già ventisette. Sono stato fatto prigioniero l’undici dicembre del 1940 vicino a Sidi el Barrani, in Nord Africa. Eravamo accampati dopo la prima avanzata oltre il confine egiziano, e la controffensiva ci colse di sorpresa. Circondati, ci arrendemmo: eravamo migliaia, tutta la divisione Catanzaro di artiglieria. Dieci mesi in Egitto, vicino al Cairo, poi da Suez ci hanno portato in Sudafrica, vicino a Pretoria, dove sono stato due mesi e mezzo. Per andare in Sudafrica siamo stati sulla nave da agosto all’otto gennaio, un viaggio lento e pericoloso con i sommergibili tedeschi in agguato. Nessuno conosceva, la destinazione, chi diceva India, chi Australia. Dal Sudafrica ci trasferirono a Liverpool, dove arrivammo l’otto gennaio del’42, poi a Edimburgo, tre settimane, quindi alle Orcadi, dove siamo rimasti quasi tre anni fino al 1944, infine nelIo Yorkshire, a Skipton. Fui liberato l’otto maggio del 1946».
I tre anni alle Orcadi furono particolarmente duri?
«L’unica cosa davvero terribile è il clima; Quando ci portarono lassù, molti sapevano solo di essere a Nord, solo alcuni avevano un’idea della collocazione geografica di quei posti mai sentiti nominare. Arrivammo in pieno inverno, quando il sole sorge per pochissime ore, e soffia un vento freddissimo che arriva dal Nord; nevica anche, ma è neve leggera, farinosa, e il vento la spazza via, te la appiccica addosso. Per il resto, gli inglesi non ci trattavano male, lavoravamo, avevamo di che mangiare. Mancava solo la libertà. No, il periodo più duro per me è stato un altro; subito dopo la cattura, in Egitto. In questa fase anche moralmente si sentiva che un uomo non era più un uomo, una sensazione dura specie a venti anni. Alle Orcadi. ci dissero subito che dovevamo costruire la strada ” per unire le isole. Lavoravamo otto ore al giorno, io fra l’altro ero in ufficio; avevamo un piccolo stipendio settimanale che si consumava alla cantina che gli inglesi ci avevano allestito, dove passavamo le serate. In ogni camerata eravamo dodici, le condizioni igieniche erano più che decenti, c’era la lavanderia, la cucina, e gestivamo tutto noi. Facevamo diverse attività sportive, sflde di calcio e incontri di altri sport. Mettemmo su anche una compagnia teatrale che portava in scena spettacoli».
Avevate contatti con la popolazione?
«No, solo chi andava in paese a fare la spesa e pochi altri uscivano dal campo. Gli unici civili che vedevamo erano gli specialisti che venivano a dirigere i lavori, e ci davano sigarette e altri generi di conforto. Anche la posta arrivava regolarmente, mentre in precedenza in Italia avevano saputo che ero prigioniero solo dopo dieci mesi. Il problema più grosso nacque quando scoprimmo i veri scopi del nostro lavoro alle barriere. Ci rifiutammo di fare lavori bellici, e gli inglesi punirono il nostro sciopero tenendoci a pane e acqua per quaranta giorni. Fu il periodo più duro. Noi, prevedendo ritorsioni, avevamo messo da parte delle provviste, pane e patate, nascoste nelle intercapedini dei capannoni dove dormivamo; ma gli inglesi trovarono alcune patate, quindi scoprirono tutti i nascondigli, e rimanemmo fregati. Poi cambiò il comandante e il nuovo si dimostrò più comprensivo, ci garantì che il nostro lavoro era di pubblica utilità, ci promise delle migliorie. E noi eravamo stremati. Lo sciopero finì tornammo al lavoro ma alcuni continuavano a protestare. Arrivò l’otto settembre».
Come sapeste ciò che succedeva in Italia?
«Io avevo la radio e fui il primo, forse anche prima che in Italia, a sapere che Mussolini era caduto. Detti la notizia ai miei compagni. Alcuni non volevano crederci, altri piangevano, con le mani nei capelli. Gli inglesi vennero a chiederci chi era disposto a collaborare. La metà di noi decise di collaborare, gli altri no, e gli inglesi furono costretti a dividerci perché nelle camerate erano botte. Il comandante del campo ci radunò allora in un teatro, e ci fece sfilare davanti a due porte, imponendoci una scelta definitiva. Chi collaborava doveva entrare nella prima porta, gli altri nella seconda. Noi restammo alle isole, gli ‘irriducibili’ furono mandati in campi di punizione in Inghilterra e non li abbiamo più rivisti. La collaborazione consisteva solo nel lavoro , in cambio avemmo un trattamento migliore. Ci dettero una divisa da prigionieri, simile a quella degli inglesi, con scritto Italy sulle spalline».
Come nacque l’idea della chiesetta?
«Il cappellano diceva messa nelle baracche. Noi proponemmo di adibirne una esclusivamente a quello scopo. Il comandante non fece obiezioni, “Purché facciate il vostro dovere si può fare tutto”. Per lo più la chiesetta è fatta con roba trovata a bordo delle vecchie navi, quelle tedesche della prima guerra. Alcuni di noi, scortati dagli inglesi, entravano nei relitti e prendevano ciò che serviva: legnami, pezzi metallici, fili della luce. Fu allora che si fece avanti Chiocchetti. Ha dipinto tutto lui, da solo. Quando andammo via, ci  dispiacque lasciare la nostra cappella. Ma il lavoro alle barriere finì,e il comandante ci informò dell’imminente trasferimento a Sud, nello Yorkshire. Avevamo passato quasi tre anni sull’isola. In Inghilterra le cose comunque migliorarono, avevamo più libertà, potevamo allontanarci, non troppo però, e rientrare entro le ventidue. Ci vedevamo anche con le ragazze del posto, alcuni si sono sposati e sono rimasti là. L’ otto maggio del 1946 ci liberarono, tornammo in nave, ci sbarcarono a Napoli».
Come fu il rientro?
«L’Italia era a pezzi per i sei anni di prigionia ci dettero diecimila lire. lo pensai che mi avessero dato una bella cifra: prima di partire dieci lire era la paga di una giornata di lavoro di un operaio. Andai in un gabinetto pubblico, e dovetti pagare: dieci lire. Capii che con quei soldi ci sarei arrivato appena a casa. Poi è ricominciata la vita, mi sono sposato, ho fatto il muratore, adesso sono in pensione. E per i sei anni di prigionia non ho più avuto neanche una lira».
Dopo quasi cinquant’anni, il ritorno alle Orcadi...
«Già, nessuno di noi era mai tornato; solo Chiocchetti nel ’62 era andato a restaurare la chiesa Ci hanno fatto grandi feste, prima a Edimburgo, col console che ci è venuto a prendere e tutta la comunità italiana. Poi alle Orcadi, dove hanno pensato a tutto quelli del comitato inglese per la preservazione della chiesetta. Sono stati sette giorni incredibili, tante feste, pranzi, ricevimenti, gente commossa che ci veniva a stringere. le mani. Due anziane donne si sono avvicinate e mi hanno chiesto notizie di due italiani, io però non li ho più rivisti. Se ne sono andate dispiaciute. Gran parte delle isole le avevo visto solo di sfuggita. Il momento più bello, ma anche quello più duro, è stato quando abbiamo passato la collina che dà sulla chiesetta: su quello scoglio ho passato tre anni della mia vita, in terra ci sono ancora le tracce della baracca dove ho dormito per tanti mesi, e tutto e rimasto come nel 1944, il tempo sembra essersi fermato. Le lacrime mi cadevano da sole».
La voce si spezza in un silenzio dove giocano tristezza e nostalgia poi Barucci conclude: «Si, sono posti che mi hanno lasciato dentro qualcosa; io però gli ho lasciato di più: i migliori anni della mia vita, la mia gioventù».
Piombino, Luglio 1992





venerdì 27 dicembre 2019

246 - L'ENERGIA PULITA DEL PANDA




Sembra impossibile ma...
Da qualche mese un panda gigantesco ha lanciato la sua sfida all'inquinamento: produrrà energia elettrica pulita in quantità tale da sostituire quella generata da un miliardo di tonnellate di carbone.

Parte da Datong, nel nordest della Cina, un progetto che potrebbe cambiare volto alle centrali elettriche su tutto il pianeta. E renderlo anche più simpatico. Panda Green Energy Group, una delle più grandi aziende cinesi del settore energia pulita, ha aperto un'enorme centrale solare con una capacità totale installata di 50 megawatt; l'impianto fotovoltaico si estende su di un'area di un chilometro quadrato, e la cosa curiosa è che ha la forma di un panda, animale particolarmente caro ai cinesi nonché simbolo mondiale della protezione dell'ambiente. Le parti scure del Panda power plant, come orecchie e braccia, sono composte da celle solari di silicio monocristallino realizzate dalla Xi’an Longi Silicon Materials Corp, mentre la parti chiare, la pancia e la faccia, sono un'insieme di celle solari a film sottile prodotte dall'americana First Solar. Il che significa che l'impianto integra le due diverse tecnologie solari più avanzate del mondo.

La Cina è oggi il più grande produttore di energia solare del pianeta, e il Panda power plant è l'apripista di un programma che mira a diffondere le energie rinnovabili e a promuovere la crescita di una coscienza pubblica sull'importanza di uno sviluppo sostenibile. Oltre a fornire energia elettrica pulita, la centrale ospita un centro di formazione per bambini e studenti per educarli ai vantaggi dell’energia solare. Questa è solo la prima fase del progetto, che prevede una capacità complessiva finale di 100 megawatt, distribuiti su un’area di 100 ettari; una volta completato, l’impianto di Datong produrrà nei prossimi 25 anni 3,2 miliardi di chilowattora di energia pulita risparmiando 1056 milioni di tonnellate di carbone e riducendo le emissioni di 2,74 milioni di tonnellate, pari a quelle prodotte da 73.000 auto per 25 anni. Nei prossimi 5 anni saranno aperte in Cina altre centrali a forma di panda, e progetti analoghi sono previsti in altri Paesi, dove potrebbero essere koala, elefanti e rinoceronti, gli animali simbolo locali, a produrre energia pulita.

giovedì 26 dicembre 2019

245 - AMORI PROIBITI




Sembra impossibile ma...
Questa è una storia vera. Qualche tempo fa il Museo civico di della cittadina inglese di Oswestry acquistò tre lettere trovate a Brighton in casa di Gilbert Bradley, morto nel 2008. L'uomo le aveva ricevute 70 anni prima, quando era militare a Oswestry, da una persona che si firmava “G”, sicuramente un'innamorata. Il curatore del museo, incuriosito, scoprì che le tre missive facevano parte di un corpus di oltre 600 lettere d'amore, e un po' alla volta riuscì ad acquisirle tutte, scoprendo, a puntate, una love story proibita. Protagonisti due soldati gay durante la Seconda guerra mondiale.

Le lettere vanno dal 1939 al 1944, ma Gilbert Bradley conosce “G”, ovvero Gordon Bowsher, nel 1938 durante una vacanza in una casa galleggiante nel Devon. Ed è subito amore. La loro storia va avanti da un anno quando scoppia la guerra. Gordon, di famiglia benestante (il padre ha una compagnia di navigazione e diverse piantagioni di tè) viene preso in fanteria e inviato nel tempo in diverse basi militari. Gilbert fa di tutto per evitare l'arruolamento, finge anche l'epilessia, ma poi finisce a Oswestry come mitragliere anti-aereo. Nel 1939 l'omosessualità è illegale, e nell'esercito chi viene scoperto a fare sesso gay viene giustiziato immediatamente.

Le lettere raccontano un amore vissuto in gran segreto, dove sogni, speranze e progetti per il futuro convivono con uno sguardo disincantato ma non triste della realtà. I desideri dei due innamorati non si realizzeranno: Bradley, inviato in Scozia, ha due storie con altrettanti uomini, e nelle lettere le racconta a Bowsher, che risponde: “Capisco perché si sono innamorati di te. Dopotutto è capitato anche a me”. Dopo la guerra la corrispondenza si interrompe, le loro strade si separano; Bowsher si trasferisce in California dove diventa un noto addestratore di cavalli. Bradley dopo una storia col discusso parlamentare Sir Paul Latham va a vivere a Brighton dove muore nel 2008. Nel suo studio ha conservato gelosamente tutte le lettere. In una delle ultime aveva scritto all'amato Gordon: "Non sarebbe stupendo se tutte le nostre lettere potessero essere pubblicate in futuro, in un'epoca più illuminata? Allora tutto il mondo potrebbe vedere quanto ci amiamo." Ottant'anni dopo, gli scritti sono in mostra nel museo civico di Oswestry, che ne ha tratto un libro da poco pubblicato.
 
 

 
 

 

mercoledì 18 dicembre 2019

244 - IL PAESE SOMMERSO DAL VERDE




Sembra impossibile ma...
Un fitto tappeto verde si stende sul villaggio cinese di Houtowan; la vegetazione nel giro di poco più di 20 anni ha completamente ricoperto case, strade, e ogni opera umana trasformando un borgo di pescatori in una meraviglia della natura.

Siamo sulla piccola Shengshan, una delle isole Shengsi nel Mar Cinese Orientale, 40 miglia a sud-est di Shanghai. L'antico villaggio di Houtouwan da sempre viveva di pesca, ma nei primi anni novanta la crisi e lo sviluppo dei traffici della vicina megalopoli di Shangai, ha costretto gli oltre duemila abitanti ad emigrare sulla terraferma in cerca di posti di lavoro più sicuri. Non è stata una cosa traumatica, ma graduale, che ha spopolato il paese. Lentamente tutte le case sono state abbandonate, finché all'inizio del terzo millennio sono rimasti una manciata di residenti.

Ed è allora che è iniziata l'incredibile offensiva di madre natura che in pochissimi anni ha trasformato il borgo in un miraggio verde, una cartolina da un altro pianeta. Ogni singolo edificio, non importa se vecchio o nuovo, giorno dopo giorno è scomparso sotto una coltre compatta di edera e altra vegetazione lussureggiante, ogni superficie dall'alto della collina fino alla riva del mare è stata “intonacata” dal denso fogliame: uno spettacolo meraviglioso. 
 
L'erba ha cancellato le strade tortuose e non è facile inerpicarsi fra pareti e tetti che rischiano di crollare, anche se il verde sembra compattare e preservare la linea degli edifici. All'interno delle case deserte, arredi in decomposizione, mobili e oggetti domestici congelati come sono stati lasciati anni prima. Il tutto, racconta chi c'è stato crea un'atmosfera strana, sottilmente inquietante. Oggi a Houtouwan vivono una dozzina di persone. Vendono acqua, unico bene reperibile nel villaggio, ai viaggiatori che iniziano ad arrivare attratti dalle immagini che circolano sui social. Un'escursione non facile: da Shanghai ci vogliono 4 ore, prima di autobus poi di traghetto per l'isola Shengshan o la vicina Gouqi (collegata da un ponte) da dove si procede in taxi per Houtouwan. Qui non c'è modo di dormire; la sistemazione per la notte si trova nei villaggi vicini, dove si può comprare pesce fresco dai pescatori per mangiare.
 
 

 

 

martedì 17 dicembre 2019

243 - UFFICIALE E GENTILUOMO


 Sembra impossibile ma...

Questa è una storia vera. Robert Campbell nasce a Gravesend nel Kent nel 1885; a 18 anni si arruola nell'esercito britannico e nel luglio del 1914 quando scoppia la prima guerra mondiale viene inviato col grado di capitano al canale di Mons-Condé, nella Francia settentrionale; una settimana dopo, gravemente ferito, viene catturato dai tedeschi e a fine agosto dopo le cure in un ospedale militare di Colonia finisce in un campo di prigionia a Magdeburgo.

Due anni dopo la cattura, nell'autunno del 1916, riceve la notizia che sua madre Louise malata di cancro sta per morire. Tormentato dal fatto di non poterla rivedere, gioca la carta della disperazione: scrive al Kaiser Guglielmo II una supplica, chiedendo di essere rilasciato per qualche giorno, il tempo di darle un ultimo saluto. La cosa incredibile è che l'imperatore accetta, e gli concede due settimane di "permesso" a patto che Campbell gli dia la sua parola di ufficiale che tornerà. Il capitano promette, e lascia la prigione; viaggia in treno e poi in barca, attraversa la Germania nemica, i Paesi Bassi e arriva a Gravesend nel Kent. Qui passa una settimana con la madre, che morirà tre mesi dopo, e il 7 novembre bussa alla porta del campo di prigionia di Magdeburgo e si presenta puntuale allo scadere delle due settimane concesse dal kaiser. “Ho dato la mia parola – spiegherà ai compagni di prigionia allibiti – ma soprattutto se non fossi tornato, nessun altro ufficiale sarebbe mai stato rilasciato in questi termini". Non sa che nessun altro prigioniero potrà godere di un simile trattamento, dopo il rifiuto da parte della Gran Bretagna di soddisfare un'analoga richiesta per visitare il padre morente da parte del prigioniero tedesco Peter Gastreich detenuto in un campo di internamento sull'isola di Man.

Appena rientrato Campbell cerca di scappare con un gruppo di altri prigionieri: impiegano 9 mesi a scavare un tunnel, la fuga riesce ma il capitano viene ricatturato sul confine olandese.“Ero tenuto a mantenere la parola – spiega – ma una volta rientrato, anche a tentare di fuggire”. Liberato a fine guerra, torna in patria e resta in servizio fino al 1925, poi nel 1940 lo richiamano come stratega sull'Isola di Wight dove resterà fino alla morte a 81 anni nel 1966.
 

 
 


lunedì 16 dicembre 2019

242 - IL GRANDE PINGUINO




Sembra impossibile ma...
Per 10 anni su diverse spiagge della Florida sono state trovate le tracce di un essere misterioso che alcuni studiosi hanno identificato come un pinguino alto più di 4 metri: il mostro di Clearwater.

In una tiepida mattina del febbraio 1948 un abitante della cittadina affacciata sul golfo di Tampa si presenta sconvolto alla stazione di polizia: sulla spiaggia durante una passeggiata ha scoperto delle impronte gigantesche: zampe di 35 centimetri di lunghezza, 27 di larghezza con 3 grosse dita munite di artigli. Le orme sembrano indicare che l'essere è uscito dal Golfo del Messico, ha camminato sulla sabbia a grandi falcate, poi è tornato in mare. La notizia finisce su tutti i giornali, e nei mesi successivi si registrano altri ritrovamenti di orme su diverse spiagge della baia e anche sulla sabbia del fiume Suwannee, a 40 miglia dall'oceano. La sindrome del mostro esplode in tutta la Florida, seguono anche numerosi avvistamenti sia in terra che in mare (e anche da alcuni aerei). I racconti non sempre sono concordi, i più parlano di un grande pinguino, altri di uno strano animale con la testa più simile a un cinghiale e i piedi di coccodrillo, ma sempre alto fra i 4 e i 5 metri. Gli studiosi esaminano le impronte, per alcuni sono false, ma c'è chi giura sulla loro genuinità. Arriva in Florida anche Ivan Sanderson, un famoso naturalista reduce da una serie di campagne in Africa per la Cambridge University e il British Museum; dopo due settimane di indagini va in televisione e dichiara che le impronte non possono essere state create da un uomo, il caso è autentico, e lui ha individuato anche la creatura: è un pinguino gigante come quelli vissuti nella preistoria, sopravvissuto chissà come all'estinzione dei suoi progenitori; è alto quasi 5 metri, ha lunghe pinne che sembrano braccia, il colore è giallo grigiastro. I ritrovamenti di orme vanno avanti fino al 1958, poi cessano.

Anno 1988, il reporter Jan Kirby scopre nel garage di un meccanico di Clearwater, Tony Signorini, due grandi zampe di ferro pesanti 13 chili l'una avvitate a un paio di scarpe da tennis. L'anziano tecnico gliele ha mostrate ridendo, mentre confessava di averle costruite con l'amico Al William. Insieme per 10 anni le hanno caricate su una barca; poi lui le calzava, scendeva in acqua a pochi metri dalla riva e si faceva una camminata sulla spiaggia. “L'idea è nata quando abbiamo sentito del mostro di Loch Ness; visti i risultati, siamo andati avanti per 10 anni. E quante risate ci siamo fatti davanti alla tv, mentre gli studiosi descrivevano il pinguino gigante”.

domenica 15 dicembre 2019

241 - I MURI TRASPARENTI DI VILE




Sembra impossibile ma...
Uno street artist portoghese “firma” le sue opere aprendo grandi squarci nelle pareti degli edifici con i caratteri che compongono il suo nome; questo permette di osservare gli interni o i paesaggi che si aprono oltre il muro. L'incredibile è che usa solo vernice spray: ciò che si vede non è altro che una fantastica illusione ottica in 3D.

L'artista è il portoghese Rodrigo Miguel Sepulveda Nunes, ma in tutto il mondo è conosciuto con un nome d'arte che con ogni probabilità se fosse stato italiano non avrebbe scelto: Vile. E proprio con quelle quattro lettere declinate in ogni forma “squarcia” muri di ogni dimensione, spesso fatiscenti, e crea straordinarie illusioni, inganna la percezione con inesistenti trasparenze che permettono a chi osserva di guardare oltre il cemento e la pietra. Vile sincronizza i suoi disegni con l’ambiente reale per rivelare l'interno misterioso, e i passanti hanno l'illusione di guardare attraverso finestre scavate nel muro. Quello che vedono può essere ciò che c'è realmente oltre la parete, oppure un paesaggio fantastico reinventato dall'artista.

Vile nasce nel 1984 a Vila Franca de Xira, cittadina sull'estuario del Tago a due passi da Lisbona; graffitaro fin dall'età di 14 anni, segue corsi di acquerello, pittura ad olio, carboncino, disegno digitale, animazione e illustrazione. Insomma non improvvisa niente e si costruisce solide basi; nel 2006 si laurea in discipline artistiche a Lisbona e l'anno dopo inizia a produrre professionalmente le sue opere, con le quali negli anni successivi si fa conoscere anche fuori dai confini portoghesi con mostre, lavori per grandi aziende e club, eventi e festival internazionali. Per le sue creazioni utilizza solo vernice spray usando le bombolette come laser che “tagliano” le finestre sul muro. Per completare un'opera di solito non impiega più di un giorno, ma in realtà la parte operativa è preceduta da un lungo lavoro di progettazione, e quando arriva sul posto scelto ha pronti numerosi schizzi preparatori e i risultati di un lungo studio sulla giusta combinazione di colori; perché la parte più difficile del suo processo creativo è proprio la corrispondenza dei colori, che devono essere scelti con cura in base alle tonalità reali e alla luce della location. L’effetto finale è stupefacente, un invito, dice lui, ad esplorare quello che c’è dietro, ad andare sempre oltre l'apparenza.

sabato 14 dicembre 2019

240 - LA PROMESSA DEL CALCIO




Sembra impossibile ma...
Un calciatore indiano è riuscito a farsi credere un enfant prodige, il più giovane talento mai sceso in campo in India, segnando una rete in Super League a meno di 16 anni. Solo che di anni ne aveva 28.

Gourav Mukhi nasce il 4 maggio 2002. Così almeno sta scritto sulla carta d'identità, che però, come vedremo, è falsa come i soldi del monopoli. Nato e cresciuto a Harijan Bustee, è figlio di Chhotelal Mukhi, un ex calciatore dilettante, e gioca a pallone da sempre. Dalle giovanili del Jamshedpur, terza forza del massimo campionato indiano, passa alla squadra B, in seconda divisione, dove segna a raffica. Così firma per la prima squadra, allenata dallo spagnolo César Ferrando, dove milita un big internazionale, l’australiano Tim Cahill. Il 7 ottobre 2018 debutta in Super League contro il Bengaluru: entra in campo al 71' e segna il gol del pareggio dieci minuti dopo. Nella storia del torneo è la prima volta che un giocatore di 16 anni va a segno, e per questo Mukhi riceve un premio e un consistente assegno. E da un giorno all'altro diventa una star. I tifosi lo acclamano, e la stampa locale è convinta: finalmente è nato un fuoriclasse.

Ma in un'intervista rilasciata al quotidiano locale "The Telegraph" Gourav in pochi secondi cancella la favola che sta vivendo: inavvertitamente rivela al giornalista che la sua età non è proprio quella scritta sui documenti. Poi fa marcia indietro, ma ormai è troppo tardi; solo allora tutti sembrano accorgersi che né la complessione fisica, né il folto baffo sfoggiato dal calciatore sembrano compatibili con un sedicenne. L'inchiesta che segue rivela che il bomber ragazzino tanto ragazzino non è: ha 28 anni compiuti, e, probabilmente con la connivenza della società, ha già fatto il giochino più di una volta in passato.

Come nel 2015, quando il Jamshedpur viene punito dalla federazione per aver schierato 4 giocatori fuori età in un torneo under 15, e uno di questi è Gourav; o come quando sempre nel 2015 viene cacciato per lo stesso motivo dalla Nazionale indiana under 16 dopo aver giocato 166 minuti (un assist e un gol), e su tutta la vicenda cala il silenzio. Così Mukhi è stato squalificato dal giudice sportivo per 6 mesi e ha dovuto restituire premio e assegno. Poi ha ricominciato a giocare: chissà, magari viene in Europa e riparte dalla Primavera...


239 - L’UOMO GUFO




Sembra impossibile ma…

Fra le attrazioni dei side-show, gli spettacoli itineranti che proponevano freaks e fenomeni da baraccone al seguito di circhi e luna park a fine ottocento e nella prima metà del novecento, ebbe grande successo “The human owl, the boy with the revolving head”.

Martin Joe Laurello, nome d’arte di Martin Emmerling, nasce a Norimberga in Germania nel 1885. Soffre fin dalla nascita di una patologia rarissima: la sua colonna vertebrale è contorta e ha una conformazione ed una elasticità tali da permettergli di girare la testa di 180° fino ad arrivare a camminare in avanti guardando dietro. Nel momento della massima torsione la spina dorsale assume la forma di un punto interrogativo. Nel 1921 Martin arriva negli Stati Uniti insieme ad altre persone con rarità biologiche, e qui trova lavoro nel mondo dello spettacolo e rimane per tutta la vita. La sua carriera lo vede protagonista di tutti i più importanti side show dell’epoca; dopo l’esordio al Bailey come "Bobby il bambino con la testa girevole" lavora in inverno al New York City based museo di Hubert e in estate al Coney Island Sideshow Dreamland Circo.

Sposato con Amelia, viene arrestato a Baltimora nel 1931 per aver abbandonato la moglie e passa qualche mese in carcere. Nel 1930 firma un contratto per il “Ripley Believe It or Not Odditoriums” dove attira folle enormi che lo applaudono anche alla Fiera mondiale di Chicago del 1933-34. In seguito viene scritturato nel Barnum & Bailey Circus con un numero dove addestra anche cani e gatti a fare acrobazie e si esibisce come ventriloquo. In questo periodo arriva a guadagnare oltre 50 dollari la settimana. La sua ultima apparizione è nello show tv “You Asked For It” del 24 marzo 1952.

Ripley lo pubblicizza come l'unico al mondo che può camminare dritto e guardare dritto dietro: “Quest’uomo può voltarvi le spalle e ancora guardarvi negli occhi”. I colleghi di lavoro (alcuni dei quali lo accuseranno di simpatie naziste) raccontano che si allena ogni giorno per effettuare la torsione, e lui stesso conferma che “una tale impresa richiede un sacco di pratica: ho trascorso tre anni a far girare lentamente sempre di più la mia testa”. Durante le sue esibizioni, nelle quali indossa sempre una camicia bianca, nel momento della massima torsione Martin non riesce a respirare ma è comunque in grado di bere. Martin Joe Laurello muore di infarto nel 1955, a 70 anni. Ecco un breve filmato di una sua esibizione.


238 - UN ALTRO POSTO



Sembra impossibile ma…

Vicino a Liverpool c’è una spiaggia dove dal mare emergono cento figure umane a grandezza naturale. Un’immagine che sembra rubata a un film di fantascienza e crea, dicono i visitatori, una straordinaria atmosfera, specie per chi si ferma ad ammirare lo spettacolo della marea che sommerge le statue quando si alza, e le fa “sorgere” dalle onde quando si abbassa.

Si chiama Another Place (Un altro posto) ed è un'installazione dell’artista londinese Antony Gormley, realizzata a Crosby Beach nel Merseyside, in Inghilterra. L’opera si allunga su una striscia di sabbia lunga due miglia, ed è formata da cento figure di ghisa rivolte verso il mare. Ogni statua è alta 189 centimetri e pesa 650 kilogrammi. Le figure sono repliche esatte del corpo nudo dell'artista. Questo è uno dei motivi per cui il lavoro è stato oggetto di polemiche nel Merseyside. Lo scontro è stato duro: contrari gli appassionati di sport acquatici supportati dalla guardia costiera, preoccupati i primi della loro sicurezza, la seconda che i bagnanti “incantati” si facessero sorprendere dall’alta marea; nel fronte del no anche gli ambientalisti che temevano l’aumento del turismo con conseguenza negative per le aree di interesse ornitologico. Favorevoli gli esercenti locali e un pool di appassionati d’arte, tanto determinati da fondare una ​​società, la Another Place Ltd. Nel 2007, ribaltando una precedente decisione, il consiglio locale ha concesso il permesso per Another Place di rimanere a Crosby Beach in modo permanente, purché fossero realizzati investimenti per un totale di 194.000 euro, interamente finanziati da Another Place Ltd.

Sir Antony Mark David Gormley, l’autore, è considerato uno dei maggiori scultori viventi, e il Daily Telegraph lo ha classificato al quarto posto nella lista delle "100 persone più potenti nella cultura britannica". Fra i suoi lavori più famosi, l'Angel of the North, mega scultura che dal 1998 domina il panorama di Gateshead nel nord dell'Inghilterra, Event Horizon, installazione temporanea con decine di figure umane inserite via via nel cuore di città come Londra, New York, San Paolo e Hong Kong, e l’Asian Field 180.000 statuine di argilla realizzate in 5 giorni da 350 cinesi con 100 tonnellate di argilla, presentata alla Biennale di Sydney. Nel video che segue, le suggestioni di “Another place”.





237 - LA CHIESA TACCO 12




Sembra impossibile ma...
Neanche la fantasia dell'autore di Cenerentola, Charles Perrault, avrebbe potuto immaginare che 390 anni esatti dopo la sua nascita, nel giorno del suo anniversario, sarebbe stata inaugurata una chiesa che riproduce la scarpetta di cristallo della favola.

La gigantesca scarpetta di Cenerentola, composto da 322 grandi tessere di vetro trasparente, ha aperto i battenti il 12 gennaio del 2018 a Budai, lungo la Southwest Coast National di Taiwan. La mega cappella di vetro multi sfaccettato color azzurro cielo che brilla al sole e si illumina di notte ha la forma di una scarpa col tacco a spillo. E' alta quasi 18 metri, larga 12 e lunga 25, e non è lontana dalla costa dell'Oceano. Costruita in una una zona turistica di primo piano a Taiwan, più che per regolari servizi religiosi è stata pensata per servizi fotografici pre-matrimonio e cerimonie nuziali, "un luogo beato e romantico _ dicono gli amministratori locali che hanno voluto la struttura – quello che ogni ragazza sogna per il giorno delle nozze. Sarà anche un incentivo al matrimonio e uno stimolo a partecipare alle funzioni religiose”. All’interno sono presenti un centinaio di elementi di orientamento femminile e romantico, ideali per scattare foto; e poi dolci, biscotti, oggetti e immagini che parlano d'amore, e angoli per gli innamorati.

La chiesa, oltre che a Cenerentola, si ispira ad una storia locale: negli anni cinquanta una ragazza molto povera affetta dalla malattia di blackfoot subì l'amputazione delle gambe; per questo il suo promesso sposo rifiutò di sposarla, e lei fu costretta a cancellare il matrimonio già fissato. Rimasta nubile,trascorse il resto della sua vita in una chiesa. La scarpetta vuole onorare la sua memoria. Inoltre si rifà alla tradizione taiwanese: prima del matrimonio la sposa calza una scarpa col tacco con la quale infrange una piastrella e ne getta via i frammenti, un gesto che simbolizza la fine di un capitolo della sua vita e l’inizio di un altro. Di recente il Guinness World of Records ha certificato che la chiesa di Budai è la più grande struttura a forma di scarpa col tacco alto del mondo. 
 
 

 
 

 

236 - AL CINEMA SOTTO LE COPERTE




Sembra impossibile ma...
In Svizzera sono state inaugurate due sale cinematografiche con letti e sofà al posto delle poltroncine.

Cinema contro televisione: la scelta spesso è determinata dai dettagli. Fra i punti a favore del salotto di casa, la comodità: meglio un filmetto americano su Netflix spaparanzati in poltrona o un capolavoro su poltroncine spesso scomode? Ok, anche stasera al cinema ci vado domani. Quelli della Pathé Schweiz, catena di sale svizzere, devono aver pensato a come risolvere questo problema quando hanno deciso di aprire a Spreitenbach, vicino a Zurigo, due sale con letti e sofà al posto delle poltrone. Così è possibile scegliere fra la sala Vip Bed, 11 letti a due piazze completi di morbide lenzuola, cuscini, poggiatesta regolabili, due paia di pantofole e due comodini per appoggiare bevande e snack, che sono comprese nel prezzo del biglietto. E la Vip Lounge, con tanti sofà colorati, più confortevoli del più comodo divano di casa. Letti e divani naturalmente vengono cambiati con lenzuola nuove e igienizzati a ogni proiezione. Al Pathé di Spreitenbach poi hanno pensato a tutto: prima di infilarsi sotto le lenzuola infatti la coppia più o meno legittima può lasciare i bambini all'ingresso di una terza sala a loro riservata, alla quale si accede scendendo da un lungo scivolo; all'interno una piscina di palline, giochi vari e, per guardare il film, morbide poltrone a sacco che sembrano grandi cuscini.

Qualcuno ha accennato maliziosamente al rischio che i letti matrimoniali favoriscano fin troppo l'intimità delle coppie. La risposta dei proprietari è che finora (le sale sono state inaugurate in maggio) non c'è stato alcun problema del genere. Certo, la Svizzera non è Ibiza, ma in effetti qualche malinteso potrebbe nascere, visto il prezzo del biglietto, 44 euro a persona, più vicino a quello di una camera a ore che a quello di una normale sala cinematografica.

235 - L'INQUILINO DEL SESTO PIANO




Sembra impossibile ma...
La metropolitana numero 2 a Chongqing in Cina passa attraverso un grosso condominio del centro e fa una fermata giusto al sesto piano. Mi viene in mente quella vecchia barzelletta: il marito spalanca le porte dell'armadio e scopre l'amante della moglie; lui lo guarda flemmatico e chiede: “Scusi, passa di qui il 2?”.

Si, passa di qui: a Chongqing, metropoli da 39 milioni di anime costrette in un'area di poco più di 80.000 chilometriquadri, la fantasia supera la realtà. In questo contesto gli urbanisti devono inventare ogni giorno soluzioni diverse per risolvere i problemi di spazio; in questo caso i progettisti del tracciato della metropolitana hanno scelto di non demolire il megacondominio ma di far passare direttamente le rotaie all'interno attraverso tutta la lunghezza dell’edificio; così oggi i treni entrano ed escono dallo stabile continuamente, e si fermano anche nel bel mezzo, alla stazione Liziba, al sesto di 19 piani. Per realizzare la fermata sono stati demoliti tre piani del palazzo; ai proprietari sono state assegnate altre strutture. Ma prima di procedere con l'opera, gli amministratori hanno avuto il consenso da tutti residenti del palazzo, convinti che l'intervento avrebbe aumentato il valore degli immobili. E poi vuoi mettere la comodità di avere una fermata letteralmente dentro casa. Se poi vi preoccupate per gli immaginabili problemi e danni acustici e infrastrutturali, tranquilli: sono state utilizzate le tecnologie più avanzate, materiali di assorbimento delle vibrazioni e particolari isolamenti acustici. Per gli inquilini il rumore dei treni che passano è paragonabile a quello di una lavastoviglie.

La Cina oggi è fra i Paesi più inquinati del mondo, e in questo momento c’è un'attenzione senza precedenti all'ecocompatibilità. Il traffico nelle metropoli è una delle principali fonti di inquinamento, e l’uso del metrò è diventato indispensabile. Negli ultimissimi anni il governo Cinese ha chiuso 84.000 imprese di tutti i settori, perché ritenute nocive per l’ambiente, e si è impegnato a fondo nella realizzazione di aree verdi e di opere di rimboschimento.


234 - IL GRANDE VECCHIO




Sembra impossibile ma...
Una tartaruga gigante delle Seychelles ha da poco compiuto 188 anni, ed è l'essere vivente che cammina da più anni sulla Terra.

Si chiama Jonathan ed è un esemplare di Aldabrechelys gigantea, il più vecchio animale terrestre vivente al mondo, uno dei pochi rimasti della propria specie. Jonathan nasce nel 1832 alle Seychelles, dove vive i primi 50 anni; nel 1882 gli inglesi lo “deportano” con altre tre tartarughe sull’isola di Sant’Elena, proprio come Napoleone. Il nome glielo darà sir spencer Davis, governatore negli anni Trenta. La stima della sua età sarà invece fatta grazie a una foto del 1886, che mostra un esemplare completamente maturo, il che significa che ha superato i 50 anni. Su questa base gli studiosi ritengono la datazione al 1832 sicuramente precisa, e in quanto tale è stata recepita dal Guinness dei primati: Jonathan ha 187 anni. Gli mancano solo 2 anni per superare il detentore del record di tutti i tempi: Tu'i Malila, la tartaruga più antica del mondo, morta a Tonga nel 1965 a 189 anni.

Oggi, nonostante gli acciacchi dell'età, Jonathan gode buona salute. E’ cieco a causa della cataratta e ha perso l'olfatto, ma il suo udito funziona bene; è lento come una tartaruga lenta, ma riesce ancora a camminare, e ogni giorno viene accompagnato al cibo. Dal 2016 gli viene somministrata una nuova dieta studiata per mantenerlo sano e prolungarne la vita. Chi vuol vederlo, deve far visita alla Plantation House, la residenza ufficiale del Governatore; lui vive nel parco circondato da attenzioni, e come tutti i grandi vecchi è una vera celebrità, tanto che la sua immagine compare sulla moneta da cinque centesimi di Sant’Elena.

Un'ultima curiosità: nel corso dei decenni, Jonathan ha condiviso il territorio con molte altre tartarughe, sia maschi sia femmine, ma per lui non è stato possibile procreare perché le femmine appartenevano a un gruppo diverso di tartarughe giganti di Aldabra. Dal 1991 però convive con Frederica, la sua tartaruga preferita, della stessa specie: una coppia di amanti inseparabili. I due non si sono mai riprodotti, si pensava per l'età avanzata di Jonathan. Invece solo di recente i guardiani hanno scoperto che Frederica era Frederic. A causa di una malformazione della corazza tutti avevano sempre pensato fosse una femmina; in seguito a una lesione, è stata portata dal veterinario. E' stato lui a scoprire che la fidanzata di Jonathan era un maschio.
Guarda i video, incontra Jonathan e scopri i 10 animali più vecchi del pianeta.
 

  


233 - FOREST MAN




Sembra impossibile ma...
Jadav Payeng a 16 anni ha piantato un albero. Il giorno dopo un altro, poi un altro e un altro ancora. Ha continuato a piantare un albero al giorno per 40 anni, e oggi quello che era un luogo arido e semidesertico si è trasformato in una foresta di 550 ettari.

Jadav nasce nel 1963 a Majuli, l’isola fluviale più grande del mondo; fa parte della tribù indiana dei Mising, nell'Assam. Nel 1979 sulle sponde del fiume Brahmaputra vede un gran numero di animali morire di fame per la siccità. In particolare su un grande banco di sabbia senza alberi l'eccesso di calore uccide centinaia di serpenti. Colpito e dispiaciuto, pianta una ventina di piantine di bambù nel terreno arido. Decide poi di piantare un alberello ogni giorno, e inizia con quelli più facili da coltivare, come il bambù e il pioppo nero. Dopo qualche mese, le autorità locali lanciano un programma di riforestazione e Jadav inizia a lavorare per loro. Il progetto dura 5 anni, dopodiché lui torna al suo lavoro: alleva bufali e mucche e ne vende il latte. E continua a piantare i suoi alberi.

La gente lo considera un po' pazzo, ma nel 2007 un giornalista scopre per caso il “Forest Man of India” e racconta la sua storia. Jadav diventa un eroe civile per il governo e un ambientalista modello a livello internazionale. Oggi continua a vivere nella sua capanna nella foresta con la moglie Binita e i suoi 3 figli, alleva
bestiame e si mantiene vendendo il latte; di recente ha ricevuto il dottorato honoris causa da due università. I suoi alberi sono diventati la foresta Molai: grande come 800 campi da calcio, ospita rinoceronti, oltre 100 elefanti, conigli, scimmie, decine di cervi, cinghiali, rettili, diverse varietà di uccelli e anche alcune tigri del Bengala. Payeng ha perso il conto degli alberi che ha piantato, ma ritiene siano molte decine di migliaia. “Non l'ho fatto da solo – dice -
piantate uno o due alberi e loro faranno i semi; poi il vento sa come piantarli, gli uccelli sanno come seminarli, le mucche sanno, gli elefanti sanno, persino il fiume sa. L’intero ecosistema sa cosa fare e come farlo. Io continuerò a piantare alberi fino al mio ultimo respiro. Spero di lasciare 2.000 ettari di foresta”.



232 - TRENI CON LE ALI




Sembra impossibile ma...
In Svizzera è stato realizzato un progetto destinato a rivoluzionare i trasporti: un passeggero potrebbe salire su una capsula in una stazione degli autobus, addormentarsi e svegliarsi in un'altra città dall'altra parte del pianeta, dopo un viaggio su strada, ferrovia e per via aerea durante il quale non ha mai lasciato il suo posto.

Si chiama Clip-Air, ed è un concetto innovativo sviluppato dall'Istituto Politecnico Federale di Losanna sotto la guida del professor Claudio Leonardi. L'idea è quella di un aereo modulare con una grande ala volante capace di trasportare capsule mobili e intercambiabili con passeggeri o merci. Attaccate sotto l'ala, le capsule sostituiscono la fusoliera dell'aeroplano, ma senza motori, cabina di pilotaggio, carburante e carrello di atterraggio. Un paio di lunghe gambe metalliche infatti sporgono da ciascun lato dell'ala volante, mantengono la cellula alta sopra il terreno e contengono il meccanismo delle ruote di atterraggio; l'altezza è tale da consentire che le capsule vengano appese dal ventre dell'aereo, un po' come accade per gli aerei da guerra che trasportano bombe e missili. Ogni aereo potrà portare tre moduli da 150 passeggeri ciascuno a una velocità analoga a quella dei normali voli di linea.

L'obiettivo è quello di rivoluzionare i trasporti così come i container di spedizione, una delle invenzioni più dirompenti del secolo scorso, hanno fatto col commercio globale: il trasferimento continuo dal camion alla nave al treno merci e il fatto che container possa essere utilizzato ancora e ancora, hanno ridotto drasticamente il costo della spedizione a lunga distanza. Proprio come i container, le capsule Clip-Air possono essere facilmente trasferite su camion e treni: autonome, delle dimensioni di un vagone ferroviario (lunghe circa 30 metri e pesanti 30 tonnellate), aprirebbero possibilità non solo per il trasporto merci ma anche per il settore passeggeri. Oltre a tagliare i tempi di attesa e le code infatti limiterebbero i ritardi e gli overbooking, con gli operatori che potrebbero proporre itinerari multimodali che iniziano o finiscono ben oltre l'aeroporto.

I ricercatori hanno avviato contatti con l'industria aerospaziale, consapevoli comunque che saranno necessarie ulteriori ricerche e test per convalidare un concetto che sembra assai valido; e forse proprio per questo, e perché andrà a toccare interessi forti e consolidati, c'è il rischio che non se ne faccia di niente.






231 - IL DOTTOR FRANKENSTEIN E I SUOI CANI ZOMBIE




Sembra impossibile ma...
Uno scienziato americano ha tentato per anni di ridare la vita a cadaveri di uomini e di animali. E con due cani ci è anche riuscito.

Robert E. Cornish nasce nel 1903. Bambino prodigio, completa il liceo a 15 anni, si laurea con lode alla California University a 18 e consegue il dottorato a 22. Lavora a esperimenti di grande rilievo finché nel 1932 comincia ad essere ossessionato dall’idea di poter rianimare i cadaveri. Inventa una sorta di letto rotante fissato su un fulcro su cui legare il morto da riportare in vita. “Se il decesso è avvenuto da poco e gli organi interni non sono danneggiati – sostiene - facendolo muovere in su e in giù mi aspetto una circolazione artificiale del sangue”. Cornish riesce a testare la sua tavola su diversi corpi di defunti: nessuno torna in vita dopo essere stato sbatacchiato a lungo, ma lui annota che dopo un’ora passata a basculare il cadavere “il volto sembrava essersi riscaldato improvvisamente, gli occhi erano tornati a brillare e si potevano osservare deboli pulsazioni in prossimità della trachea”.

Ottenere cadaveri non è facile, e nel 1934 lo scienziato decide di mettere a punto il suo metodo sugli animali. Utilizza così 5 fox terrier; li chiama Lazarus I, II, III, IV e V. Dopo averli uccisi per asfissia, li sottopone alle sue tecniche di rianimazione: oltre al basculamento, iniezioni di eparina (un anticoagulante) e adrenalina, mentre Cornish aspira ossigeno da una cannuccia e lo soffia nella bocca del cane morto. Dopo 3 insuccessi, l'incredibile avviene: Lazarus IV e V riprendono conoscenza, tornano a respirare e a vivere, seppur con irreparabili danni cerebrali: i cani sono ciechi e non riescono a stare in piedi. Ma Cornish diventa famoso. Sulla vicenda Hollywood gira il film “Life returns” dove lui compare nei panni di se stesso mentre ridà vita a un cane. La fama di novello Frankenstein non gli giova, gli animalisti protestano, l'università lo caccia. Per 13 anni sparisce, si ritira a Berkeley, dove continua i suoi esperimenti a casa. Nel 1947 convoca i giornalisti: sostiene di aver perfezionato le tecniche e di poter resuscitare pubblicamente un uomo. Un detenuto condannato a morte si offre volontario. Le autorità della California però gli negano il permesso. Per Cornish è la sconfitta finale; deluso, interrompe le ricerche. Negli anni successivi, e fino alla sua morte nel 1963, vive vendendo un preparato di sua invenzione: il “Dentifricio del Dottor Cornish”.

 

venerdì 13 dicembre 2019

230 - LA QUERCIA DELLE ANIME GEMELLE




Sembra impossibile ma...
La Quercia dello sposo è l'unico albero al mondo ad avere un proprio indirizzo postale. Ogni anno arrivano più di mille lettere da single di tutto il mondo in cerca dell'anima gemella: un'insolita agenzia matrimoniale grazie alla quale fino ad oggi prima si sono conosciute poi sono andate all'altare più di 100 coppie.

Siamo vicino a Eutin, cittadina dello Schleswig-Holstein nell'estremo nord della Germania. La Quercia dello sposo (Bräutigamseiche in tedesco) ha più di 500 anni, il tronco ha una circonferenza di 5 metri e a 3 metri di altezza ha un grosso buco naturale raggiungibile con una scala a pioli. Chiunque sia in cerca di moglie o di marito può spedire una lettera che il postino deposita nella cavità dell'albero. Qui l’accesso è libero: chi è interessato, può prendere e aprire le lettere, leggerle, e se il messaggio lo intriga può rispondere e mettersi in contatto col mittente. Nell’ultimo secolo decine di migliaia di persone hanno affidato i loro sogni nuziali alla quercia.

Come sia nata la tradizione lo spiegano una serie di storie vietate a chi ha problemi di glicemia. Prima c'è la leggenda: è il figlio di un capo celtico catturato dai nemici e liberato da una bella ragazza cristiana a piantare la quercia per ringraziarla e giurarle eterno amore. Tutto falso, dicono gli storici: un'invenzione dei missionari cristiani per riscrivere il culto pagano delle querce. Poi c'è la love story vera: fine ottocento, la figlia del capo delle guardie forestali e il figlio di un cioccolataio di Lipsia si innamorano, ma il padre di lei non ne vuol sapere; i due si scambiano in gran segreto lettere d’amore, lasciandole nel buco della quercia. Poi il padre ci ripensa, e gli innamorati si sposano sotto l’albero addì 2 giugno 1891. 
 
La romantica storia si diffonde, e iniziano ad arrivare le lettere; tante che nel 1927 le Poste tedesche sono costrette ad assegnargli un suo indirizzo. Ne arrivano in media 5 al giorno, e nel 2006 il postino dopo 20 anni di consegne racconta la storia della quercia in tv, una ragazza lo vede, si innamora e scrive una lettera proprio a lui. Oggi sono marito e moglie. Nel 2009 poi la stessa quercia è stata unita simbolicamente in matrimonio con tanto di cerimonia nuziale con un ippocastano secolare di Dusseldorf. Infine nelle notti di luna piena si vedono ragazze camminare intorno all'albero: dopo 3 giri pensando all'amato, si dice, in capo a un anno le nozze sono garantite. Un'ultima informazione, se vi può interessare: l'indirizzo della quercia è Bräutigamseiche, Dodauer Forst, 23701 Eutin.
 
 

 




760 - DIETRO IL PADRINO

    Un'offerta che non si può rifiutare. A trovarsela davanti è stato Francis Ford Coppola al momento di iniziare a girare I...