giovedì 31 ottobre 2019

102 - CHI HA PAURA DEL PUFFO CATTIVO?




Sembra impossibile ma...
Sui social fa furore una rilettura delle storie dei Puffi. Dove il terribile Gargamella non è il cattivo, ma rappresenta un prete domenicano impegnato a combattere gli spiriti maligni della foresta: gli ometti blu appunto, che incarnano i peccati capitali, mentre il Grande Puffo di rosso vestito è il diavolo. Tesi suggestiva? Forse, ma è una bufala. L'ultima di una lunga serie di interpretazioni del mondo dei Puffi.

Ringrazio Simonluca Cavallini per l'idea, e vi racconto le più strane fra le molte letture alternative dei personaggi ideati dal belga Peyo (Pierre Culliford) a fine anni cinquanta. Il francese Antoine Bueno nel suo "Le Petit livre bleu, essai sur les schtroumpfs" sostiene che "La società dei Puffi è un archetipo di utopia totalitaria impregnata di nazismo. Vivono nell'autarchia, in una società autosufficiente, sono guidati da un capo unico, e sono razzisti: l'unica Puffetta è bionda ariana e i Puffi neri sono una calamità da estirpare”. 

Un lungo saggio di Cristian Fineschi arriva a conclusioni opposte: le fattezze del Grande Puffo ricordano Carl Marx, in cui il popolo sovietico (i Puffi) credono ciecamente. Il Puffo Quattrocchi, l'unico che gli tiene testa nelle scelte per la vita del villaggio, è un leader nell'ombra, che rimanda a Trotsky, il Puffo Forzuto rappresenta la violenza legittima, braccio dell'esecutivo e spia del Kgb, e l'economia del villaggio è pianificata e centralizzata, senza attività private né classi sociali: insomma è un Kolchoz sovietico.

Antonio Soro invece nel libro "I Puffi, la vera conoscenza e la massoneria" parla di una loggia massonica di natura gnostica: il blu è dei figli del Dio misterioso, il berretto bianco è simbolo di purezza, il Grande Puffo è il “Maestro di Loggia”, vestito di rosso con riferimento al Fuoco dello Spirito; i Puffi poi sono 99 come i gradi di certe massonerie, e ovviamente non manca il Puffo Muratore, mentre Gargamella vestito da prete è il profano che cerca di entrare nel villaggio-loggia.

Di diverso avviso il mondo cattolico, che in alcuni articoli usciti su Avvenire vede le dinamiche dei Puffi come simbolo delle prime comunità cristiane con Gargamella e il gatto Birba nei ruoli di Nerone e dei leoni, sottolineando che Peyo e la scuola dei fumettisti belgi si sono formati nell’associazionismo e nelle scuole della Chiesa sui valori del cattolicesimo tradizionale.

Un'altra teoria che arriva da oltreoceano vede nei Puffi una comune di hippy anarchici col Grande Puffo vecchio figlio dei fiori, dove si vive senza leggi né tribunali o forze dell'ordine, a contatto con la natura dentro enormi funghi allucinogeni. Chi avrà ragione? Peyo direbbe “Inutile puffare ciò che non si può più puffare”.

101 - L'ATLETA DEI SOGNI




Sembra impossibile ma…
Questa è una storia vera. Gennaio 1988, Gerald e Sharon Bricker di Hardinville, un paesino dell’Illinois, adottano la piccola Jennifer, nata senza gambe tre mesi prima e abbandonata dai genitori biologici. La bambina cresce in campagna, seguita con amore dalla famiglia, padre madre e tre figli, che “non mi hanno fatto mai sentire diversa” dirà lei più avanti.

Jennifer impara a spostarsi veloce reggendosi sulle braccia, e i fratelli le insegnano a far capriole, a salire sugli alberi, a saltare sul trampolino elastico. Anzi, quando si tratta di fare acrobazie non ha rivali, un vero talento. Sedia a rotelle e protesi restano in un angolo, inutilizzate.

Luglio 1996, Jennifer ha 9 anni. Segue in tv le Olimpiadi di Atlanta. La sua passione è la ginnastica artistica. Il suo idolo Dominique Moceanu, quattordicenne di origine rumena, la più giovane olimpionica di sempre negli Stati Uniti. Da allora Jennifer non si perde una gara di Dominique, la sua stanza si riempie di poster dell’atleta, e dal suo esempio nasce il sogno di diventare una ginnasta.

Sette anni dopo Jennifer è un’atleta pluripremiata, specializzata in tumbling (capriole a corpo libero) ed è ancora una grande fan di Dominique. Sedici anni sono anche l’età giusta per saperne di più sul suo passato: la ragazzina chiede ai genitori. Che rispolverano i vecchi documenti di adozione. I genitori biologici di Jennifer sono di origine rumena, il cognome è Moceanu. Le basta un attimo per capire: “Dominique, il mio mito, il modello a cui mi sono ispirata, è mia sorella. Ecco perché l’ho sempre sentita così vicina…”.

Ci vogliono altri quattro anni perché Jennifer trovi conferme. E il coraggio di contattare la sorella. “Per tutta la vita sei stata il mio idolo – le scrive – e ora viene fuori che sei mia sorella. Lo so, per te non è facile buttar giù una storia così. Ma non ti chiedo niente…”. Poco più di un mese dopo Jennifer risponde al telefono. Dall’altra parte del filo c’è Dominique. Il resto è roba da Carramba che sorpresa.

Oggi Dominique insegna ginnastica, Jennifer è acrobata “aerialist”, danzatrice sui tessuti aerei, con alle spalle esibizioni in megashow come il Britney Spears Circus Tour. E la storia è diventata un libro, “Everything is possible: finding the faith and courage to follow your dreams”.




100 - UN SALTO NEL FUTURO




Sembra impossibile ma...
C’è un film che se lo vedi oggi è un altro film da quello che uscì nelle sale nel 1991, e non potrà mai più essere lo stesso. “Fino alla fine del mondo” di Wim Wenders è classificato come film di fantascienza. Se lo vedi oggi e non lo hai visto un quarto di secolo fa, ti domandi: “Ma dov’è la fantascienza?”. Semplice. Non c’è più.

Tutto quello che sembrava impossibile nel 1991 e per i 3 o 4 anni successivi, oggi è reale e utilizzato da tutti. Il regista tedesco farcisce la pellicola con una serie di ritrovati tecnologici che al tempo sembravano visioni da un futuro lontano. Vado a braccio e ricordo il navigatore satellitare, la moto con tre ruote, il videotelefono, il computer interattivo col touchscreen, il localizzatore di persone, l’auto con pilota automatico e i messaggi vocali e altre invenzioni oggi di uso quotidiano.

Ora, Wenders non è Giulio Verne, ma, oltre che grande regista, è un figlio di buona donna (chissà se c’è il concetto, in tedesco): sicuramente prima di girare, si è fatto un tour fra le aziende ad alta tecnologia segnandosi i progetti in fase di realizzazione. E mentre noi al cinema pensavamo a come sarebbe migliore il pianeta con tutti quei gadget a facilitarci la vita, il mondo cambiava (in meglio?)
grazie a quelle invenzioni. Ricordando un vecchio cartoon di Hanna & Barbera, da Antenati in breve siamo diventati Pronipoti. E non ce ne siamo manco accorti. Lo vedi quanto è effimero il concetto di impossibile?


99 - LE FOTO VIVENTI DI HEATHER E DAN




Sembra impossibile ma...
Heather Ackroyd e Dan Harvey hanno elaborato una disciplina “impossibile”: il controllo perfetto della crescita dell’erba. E anziché fumarsela, come parecchi loro colleghi, ne hanno fatto il materiale con cui realizzano veri propri capolavori.

Pensiero laterale, efficienza occidentale, pazienza zen. Una spruzzata di verde, ed ecco il cocktail da cui nascono le splendide opera d’arte viventi di Heather e Dan, coppia di artisti inglesi che da una trentina di anni intrecciano scultura, fotografia, ecologia e biologia. Le loro foto viventi, spesso di dimensioni molto grandi, vengono realizzate regolando la quantità di luce che colpisce l’erba. La lavorazione procede così: dopo aver coperto una grande tela con una particolare sostanza adesiva, vi incollano i semi e lasciano germogliare l’erba. Poi portano la tela in camera oscura, e vi proiettano sopra il negativo di una fotografia. Da questo momento in poi l’erba crescerà di più nelle zone più colpite dalla luce. Il risultato, per il quale serviranno diverse settimane, sarà una stampa vivente.

Dove la luce colpisce più intensamente l’erba _ spiega nel dettaglio Dan _ si producono per fotosintesi clorofilliana più pigmenti verdi; dove invece c’è poca o punta luce, l’erba cresce lo stesso, ma è assai più pallida, giallastra. Il risultato è simile alle foto in bianco e nero, ma con tonalità che vanno dal verde al giallo”. Non pensate poi che le foto viventi abbiano vita breve: basta innaffiarle regolarmente e tenerle in condizioni di scarsa luce, per mantenerle molto a lungo, anche per anni, come qualunque immagine fotografica. Il contrasto poi diminuirà nel tempo, modificando i colori, e l’effetto finale sarà quello di una foto d’epoca.

Heather e Dan oggi sono artisti di successo; negli anni, hanno trovato ostacoli e scetticismo sul loro cammino. Ma, come recita un versetto zen, “L’uomo che dice 'questo non può essere fatto' non interrompe quello che lo sta già facendo”. Seguite il link per visitare la galleria con le opere più importanti.

https://www.ackroydandharvey.com/category/works/




98 - LA LEGGENDA DELLE PAPERELLE SULL'OCEANO




Sembra impossibile ma...
Navigando sull’oceano, ti può capitare di veder apparire all’orizzonte migliaia di paperelle di plastica, tante da tingere il mare di giallo. Impossibile? Macché, è già successo a marinai e viaggiatori di mezzo mondo, e può accadere anche a te.
Come l’Olandese Volante, che secondo un’antica leggenda marinara è un vascello fantasma che solca i mari per l’eternità senza una mèta precisa, l’esercito di paperelle, di quelle che i bambini di tutto il mondo usano per giocare nella vasca da bagno, da un quarto di secolo attraversa gli oceani. Avvistarle non è, come per il Flyng Dutchman, presagio di sventura, se non per i pesci e i cetacei che ogni tanto le ingoiano per poi andarsi a spiaggiare su qualche lido lontano. Ma da dove arrivano i giocattoli galleggianti? Le cose sono andate così.
L’anno è il 1992, il luogo è il Pacifico del Nord. Scoppia la tempesta e la portacontainer Ever Laurel partita da Hong Kong con destinazione Tacoma, non lontano da Seattle, lotta per non affondare. Tre container si sganciano, e rovesciano in acqua le merci trasportate: giocattoli. Ventottomila pezzi made in China, tutti galleggianti. La maggior parte sono paperelle gialle. Nei mesi successivi iniziano gli incontri ravvicinati durante la navigazione con l’incredibile flotta giocattolo. E la storia diventa quasi una leggenda. Di quelle destinate a navigare sul web, dove fra una bufala e l’altra iniziano a piovere scatti e filmati delle “Moby Ducks”, imperturbabili dietro ai loro occhialetti da sole che sia calma piatta o tempesta.
Poi arrivano gli scienziati, che ne tracciano i percorsi per studiare i flussi delle correnti oceaniche. E la casa produttrice che mette una “taglia”: 100 dollari per ogni paperella che verrà riportata alla base. Così scendono in acqua anche i cacciatori di paperelle. Mese dopo mese, naviganti le avvistano un po’ ovunque, dall’Alaska al Messico all’Australia. A oggi hanno percorso sicuramente più di 30.000 chilometri, onda su onda.
Scrive Fabrizio Brancoli, grande giornalista toscano: “Se solo potesse, ogni paperella racconterebbe la sua odissea. Mangiate da squali distratti, spiaggiate su isole e coste, pescate da barche che cercavano altro. Incastrate tra gli scogli, invischiate nelle alghe, macchiate dal catrame. Erranti, perdute, ritrovate. Sopravvissute. Buffe, tenaci. Mai arrese. E sempre a galla, anche se non sanno dove stanno andando. Potremmo imparare da loro”.

97 - IL MONDO OLTRE LA PORTA DI CASA





Sembra impossibile ma...
Una giovane coppia di australiani ha fatto una scelta insolita: abbandonati i loro tranquilli posti di lavoro e si sono trasformati in viaggiatori a tempo pieno. Oggi sono fra i più apprezzati e pagati travel blogger.

Una scelta che mi ispira un sentimento: invidia. Perché hanno fatto la scelta che avrei voluto poter fare una trentina d’anni fa, quando avevo la loro età. Brook e Rahda, ancora under 30, stanno insieme da qualche anno. Come milioni di altre coppie nel mondo decidono di andare a vivere insieme, e quindi di comprare una casa. Qualche soldino l’hanno messo da parte, così cercano e trovano una villetta giusta per le loro esigenze, e decidono di accendere un mutuo per pagarla. Quando è tutto pronto e mancano solo la firma sotto il contratto e quella per il mutuo, sentono che qualcosa non va.

Parliamone: ma davvero questa casa è in cima alla lista dei nostri desideri? Ok, questo è un passaggio che fanno tutte le coppie, sembra la cosa giusta. E allora perché in fondo in fondo tutti e due più che entusiasti ci sentiamo inquieti?”. Parlando parlando _ cosa che tutte le coppie dovrebbero fare di più, specie agli inizi _ viene fuori che c’è qualcosa che i due sognano più che metter su casa: girare il mondo. L’alternativa è il trantran quotidiano che nel bene e nel male scandisce la vita di tutti i loro amici e conoscenti, con tanto di straordinari al lavoro per pagare il mutuo.

E allora qual è il vero sogno? “Passiamo da questo pianeta solo una volta. Dovremmo girare e conoscerlo meglio quando siamo ancora giovani, anziché accumulare un grosso debito”. Sì, la risposta è quella: viaggiare. 

A questo punto serve una buona dose di coraggio, proprio quello che non tutti hanno. Brook e Rahda sì. Un po’ come gli sposi che scappano dall’altare, quattro giorni prima della scadenza dei termini per firmare i due lasciano i rispettivi lavori (lui giornalista, lei assistente di volo), ritirano dalla banca i soldi che sarebbero dovuti servire per l’anticipo della casa e acquistano due biglietti per Parigi. Il resto è storia recente.

Il viaggio “full time” è diventato il loro nuovo lavoro: come travel blogger postano foto, video e racconti delle loro avventure ontheroad, sponsorizzati da alcuni marchi che promuovono sul loro sito. In pochi mesi hanno visitato numerosi Paesi e una quarantina di grandi città. Ed è solo l’inizio. Magari un giorno metteranno su casa. Ma intanto ogni mattina si svegliano nel bel mezzo del loro sogno più bello.

mercoledì 30 ottobre 2019

96 - IL CUBO PIU' VELOCE DEL WEST




Sembra impossibile ma...
Usein Bolt è l'uomo più veloce al mondo, ma Anthony Brooks gli sta alla pari.Il primo, lo conosciamo tutti, è l’atleta giamaicano che ha stracciato in poco tempo tutti i record di velocità su pista, fissando (per ora) il limite delle capacità umane a 9 secondi e 58 centesimi per correre i 100 metri.

Il secondo è americano, laureato all’Accademia delle Scienze del Sud Texas, è campione di “speed cube”, ovvero le gare di velocità nella soluzione del cubo di Rubik, rompicapo maledetto, impossibile da risolvere per una grossa percentuale di quelli che tentano di ricomporre le sei facce colorate anche con qualche settimana a disposizione.

In realtà se non si è proprio negati (come chi scrive) non c’è bisogno di essere fuoriclasse per completare il puzzle tridimensionale, bastano un po’ di pazienza e di applicazione. Farlo in pochi minuti è già un’impresa. Ma il giovane texano, citando Groucho Marx, si è detto: “Perché fare le cose difficili, quando si possono fare impossibili?”. Così non si è accontentato di essere “il cubo più veloce del West”, ha voluto esagerare, e si è inventato una serie di performance “ai confini della realtà”.

Ad esempio detiene il record del maggior numero di rompicapi risolti sott’acqua in apnea: con un solo respiro trattenuto per un minuto e 18 secondi ha ricostruito cinque cubi. O ancora, è stato lui a guidare il team che ha battuto il primato di velocità per la soluzione del cubo di Groovik, il cubo in stile Rubik con le funzioni più complesse del mondo.

Ma il suo sogno, e al tempo stesso il suo incubo, vai a capire perché, era diventato Bolt: quei 9 secondi e 58 centesimi con cui il giamaicano è entrato nella storia erano diventati una misura con cui confrontarsi. Così ha lanciato la sfida, si è allenato a ritmi vertiginosi, poi ha convocato giudici e stampa e si è accovacciato davanti al televisore col filmato della corsa da record, dove il centometrista stava per prendere il via, proprio come se anche lui fosse ai blocchi di partenza.

Al colpo di pistola dello starter le dita sono scattate velocissime, e nel medesimo istante in cui Bolt ha toccato il nastro d’arrivo, l’ultimo quadratino colorato è andato al suo posto. Ora non resta che farli incontrare: sarà più veloce Brooks a correre i cento metri o Bolt a risolvere il cubo?

95 - QUANDO IL CANE E' IL RE DELLA FESTA


 

Sembra impossibile ma...

C'è una grande festa nella quale gli uomini hanno il ruolo di comprimari, e le star sono i cani. Amici del miglior amico dell’uomo, segnatevi questa data: venerdì 10 novembre. E se vi piace l’idea cominciate ad attrezzarvi per un viaggetto in compagnia del vostro peloso coinquilino nel lontano Nepal.
Si chiama Kukur (che significa appunto cane) Tihar, la giornata è tutta dedicata a loro con tanto di ringraziamenti e riconoscimenti per la fedeltà e la lealtà. La festa è parte di una più grande kermesse, il “Diwali” (in nepalese appunto Tihar), la “Festa delle Luci” indù celebrata ogni anno da milioni di persone anche in India e in altri Paesi asiatici. Ma solo in Nepal si celebra il “Kukur Tihar”.

Gli animali (tutti, anche quelli randagi) vengono addobbati con ghirlande in segno di dignità e di rispetto, polvere rossa simbolo di sacralità e con la Tika (il punto colorato in rosso che per uomini e donne va sopra il “terzo occhio”) in mezzo alla fronte. I cani vengono anche benedetti, e per tutta la giornata sono coccolati e nutriti con cibi prelibati: carne, uova, latte, ciambelle dolci e anche e mangimi di gran qualità.

Una piccola grande festa che ci racconta secoli di altissima civiltà. Del resto tutto il Diwali-Tihar celebra il trionfo della luce sulle tenebre, e sta lì a dimostrare che non è impossibile che la conoscenza trionfi sull’ignoranza e che le barriere che separano gli uomini da un’autentica esperienza del mondo, si possono dissolvere.

94 - L'ENERGIA PULITA DI LAS VEGAS




Sembra impossibile ma...
Las Vegas è una città all'avanguardia nello sfruttamento di energie pulite e rinnovabili.

Vegas”, come sintetizzano gli americani, è una città dalle molte anime. Non date retta a chi la liquida con un’alzata di spalle e aria di sufficienza. E’ kitsch, sicuramente, ma non è solo il baraccone luminoso che attira i clienti/polli delle diaboliche macchinette mangiasoldi. Si, è vero, è stata la città del gioco d’azzardo, del vizio e del peccato, fondata (e gestita a lungo) da gangster. Scorsese in “Casinò” ne disegna un quadro attendibile e inquietante. Poi negli anni settanta c’è stata la svolta, e lungo la Strip, l’arteria principale, è nata la città del divertimento e dello spettacolo, con un target assai più “familiare”, senza mai però abbandonare del tutto il fascino un po’ perverso delle origini.

Di sicuro vale una sosta, per scoprire hotel che non sono hotel ma enormi parchi a tema, attrazioni che fanno spettacolo giorno e notte e spettacoli così grandiosi da competere con gli effetti speciali del cinema. Personalmente ogni volta che vado a Las Vegas vivo un’ambigua sensazione di sdoppiamento, una parte di me si lascia prendere dalla magia della città e ne gusta piacevolmente tutti gli aspetti, dal trash alla grandeur. Un’altra parte osserva eccessi e sprechi con occhio critico e un filo di senso di colpa. Insomma, mi sento come Pinocchio nel paese dei balocchi.

Ma Las Vegas è anche la città dell’impossibile, e non solo perché qui si ha la sensazione che tutto possa accadere. Intanto lo è dalla nascita: era impossibile appena pochi decenni fa immaginare che dal niente, in mezzo a un deserto dal clima torrido fra i più invivibili del mondo, dove l’acqua era un miraggio, sarebbe sorta la città dalle mille luci. La Hoover Dam, enorme diga costruita sulle alture nei dintorni, ha fatto il miracolo.

Di recente poi dal Nevada è arrivata la notizia di questo inatteso primato: da dicembre 2016 Las Vegas è la più grande città americana a sfruttare unicamente energie rinnovabili e pulite per soddisfare il fabbisogno delle strutture pubbliche. La trasformazione è cominciata nel 2008, e il percorso si è concluso con l’attivazione di Boulder Solar, una megacentrale solare fotovoltaica che consente di risparmiare 5 milioni di dollari e il 30% di energia all’anno. Oggi tutte le infrastrutture comunali sono alimentate a energia rinnovabile. E Las Vegas, come i serpenti che sopravvivono nel deserto tutto intorno, ha cambiato di nuovo pelle: da simbolo mondiale dello spreco a capitale del risparmio energetico in soli 8 anni.

93 - UN COLPO DI GENIO



Sembra impossibile ma...
Avete presente “La pupa e il secchione (e viceversa)”, versione italiana del reality show americano “Beauty and the geek”? Bene, Jason Padgett, venditore di futon di Tacoma negli Stati Uniti, è entrato in un locale notturno da “beauty”, ha preso un colpo in testa ed è uscito da “geek”: sì, il body builder è diventato un cervellone. Un po' come quei vecchi motori che funzionano meglio dopo una bella botta. Ringrazio Emanuele Romano per la preziosa segnalazione e vi racconto le due vite di Jason.

Che ha un'adolescenza simile a quella di tanti teenager americani e non solo: non gli piace studiare e lascia il college, ma i professori dicono che è tutt’altro che stupido. "Ero molto superficiale – racconta -, la mia vita ruotava attorno alle ragazze, alle feste, al bere, ai risvegli coi postumi delle sbornie. E detestavo la matematica: è stupida – dicevo – che te ne fai nel mondo reale?”. La notte di venerdì 13 settembre 2002 Jason tira tardi come al solito con gli amici in un bar karaoke. A tarda ora esce un po' alticcio ridendo. Nel parcheggio due malviventi lo aggrediscono, gli strappano di dosso la giacca di pelle, lo derubano. E lo colpiscono con forza: "Ho sentito un tonfo sulla testa, e ho visto un flash di luce bianca, come quando ti fanno una foto. Ero in ginocchio e tutto ha iniziato a girare”. Jason si risveglia all'ospedale, ha una forte commozione cerebrale. Gli danno antidolorifici e lo rimandano a casa. E qui si accorge di essere un altro.

E' spaventato dal mondo esterno, inchioda coperte e asciugamani sulle finestre, lascia la casa solo per fare scorta di cibo, è ossessionato dai germi, si lava ossessivamente le mani. Ma soprattutto è il suo sguardo sul mondo ad essere cambiato: "Tutto ciò che è curvo mi sembra leggermente pixelato, l'acqua che scende dallo scarico, la luce del sole, le nuvole sembrano fatti di piccole linee tangenti... mi sembra di essere in un vecchio videogame. E' tutto più bello e al tempo stesso spaventoso”.

Ma più di ogni altra cosa, Jason vede forme geometriche ovunque, quadrati perfetti che racchiudono altri quadrati e via all'infinito. Inizia a disegnarli, e realizza frattali, intricatissimi motivi geometrici, a mano libera: un'abilità ai limiti dell'impossibile. La matematica diventa la sua chiave di lettura del mondo, si rende conto di comprendere concetti di estrema complessità. Rinchiuso in casa, attinge le sue informazioni su internet. E alla fine si decide a sottoporsi a test medici. La diagnosi è sindrome da savantismo acquisito. In tutto il mondo esistono solo una quarantina di casi. Lo vede anche Darold Treffert, il più grande specialista di “idiot savant”, persone non istruite in grado di eseguire calcoli impossibili, stile “Rain man”. E conferma. I test rilevano un danno all’emisfero cerebrale destro e una super attivazione del lobo parietale sinistro. Berit Brogaard, un neuroscienziato cognitivo, completerà in seguito la diagnosi accertando una forma di sinestesia, un cablaggio incrociato del cervello in cui i sensi si confondono.

Un fisico che ha visto per caso i frattali disegnati dal ragazzo lo convince a tornare sui banchi per corsi di matematica e fisica, e lui dopo tre anni abbandona il mondo virtuale in cui si è autorecluso, va a scuola, impara a combattere il suo disturbo ossessivo compulsivo e incontra anche la donna che diventerà sua moglie. Oggi Jason esegue calcoli difficilissimi e ricorda interi libri anche al contrario. Ha scritto la sua storia nel libro "Struck by genius" e vende i suoi frattali come opere d'arte. "Vedo bellezza ovunque – dice – una goccia di pioggia in una pozzanghera è una sinfonia di complessi motivi increspati. Ogni momento in cui la realtà esiste lo vivo con stupore; oggi lo so, tutto intorno a noi è magia assoluta".
Guarda il video Jason Padgett che racconta la sua storia e segui il link per visitare il suo sito.





92 - UN CASO DA MANUALE




Sembra impossibile ma...
Phineas Gage nel 1848 stava lavorando alla costruzione della ferrovia nel Vermont. Un terribile incidente gli cambiò la vita. E lo portò nei libri di testo di neurologia per i successivi 170 anni.

Gage nasce a Lebanon in Pennsylvania nel 1823; a 25 anni è caporeparto dell'Atlantic Railroad. Ha in mano un'asta di ferro quando una carica esplode in anticipo. Il bastone lo colpisce alla testa, perfora il cranio e lo attraversa distruggendo parte del lobo frontale sinistro del cervello. I presenti raccontano di aver raccolto l'asta a 30 metri di distanza, imbrattata di sangue e di materia cerebrale. Tutti lo danno per morto, ma lui miracolosamente sopravvive, e dopo pochi minuti è di nuovo cosciente e in grado di parlare; affidato alle cure del dottor John Marlow, dopo tre settimane si rialza dal letto e torna a muoversi in maniera del tutto autonoma. Unica conseguenza apparente: ha perso l'occhio sinistro.

Phineas però conosciuto come un ragazzo modello, mite, gran lavoratore, in una prima fase mostra grossi cambiamenti di comportamento: non rispetta niente e nessuno, è sempre rabbioso e con i suoi comportamenti mette a rischilo se stesso e gli altri. Così la Ferrovia lo licenzia. Il dottor Marlow scrive: “Non è più Gage", e prende nota dei suoi cambiamenti. E' un pioniere della frenologia, neo-scienza che cerca di determinare le facoltà associate alle diverse aree del cervello. Il caso Gage attira fior di uomini di scienza. L'ex operaio fa diverse apparizioni di fronte a dottori e studenti nelle scuole mediche di mezza America. Nel frattempo mostra segni di recupero mentale; in seguito emigra in Cile dove lavora come conduttore di una diligenza a cavalli, e secondo i resoconti tratta educatamente i passeggeri e in sostanza recupera gran parte del suo carattere originario. Dopo poco però inizia ad avere convulsioni, e muore all'età di 37 anni. 

Il dottor Harlow, avvisato, riesce a far riesumare il cranio di Gage e lo consegna al Warren Medical Museum a Harvard. Diventerà uno dei casi di studio più famosi in neurologia. Nel 2012 ricercatori della California University utilizzando un modello in 3D del cranio di Gage simulano l'incidente e analizzano le lesioni, concludendo che il cambio di personalità fu causato dal danneggiamento di una quantità maggiore al 10% della materia grigia cerebrale. Le ultime simulazioni del suo infortunio chiariscono anche le ragioni della sua miracolosa riabilitazione: la verga di ferro è passata solo attraverso il lobo frontale sinistro, lasciando completamente intatto il lobo destro. Oggi gli studi sul caso Gage sono considerati fondamentali per comprendere le funzioni cerebrali riguardo a emozioni e personalità e la loro localizzazione.


91 - LA VALLE DELLE BALENE




Sembra impossibile ma...
Nel bel mezzo del deserto egiziano cè una valle arida e riarsa dal sole, uno degli ultimi posti al mondo in cui ti aspetti di trovare gli scheletri di oltre 500 balene. E tante altre meraviglie.

Ringrazio l'amico Roberto Mantovani per l'idea, e vi porto nel Wādī al-Ḥītān (valle delle balene, appunto). Anche se siamo solo 150 km a sudovest del Cairo, il luogo è isolato e remoto, tanto che i fossili sono stati scoperti solo durante l'inverno del 1902. In realtà non si tratta di balene, ma dei loro antichissimi progenitori, gli archeoceti, vissuti nell'Eocene (fra 40 e 37 milioni di anni fa). Fino ad oggi qui sono stati documentati oltre 500 scheletri di tre diverse specie di questi cetacei; e il ritrovamento di arti posteriori provvisti è stata la prova cercata da sempre di come le balene siano divenute mammiferi marini evolvendo da progenitori terrestri. L'esemplare più grande ritrovato è un Basilosaurus Isis lungo ben 21 metri, un cetaceo carnivoro con denti seghettati; ma nel 2015 è stato rinvenuto l'unico scheletro completo di Basilosaurus, lungo 18 metri, con tanto di coda provvista di spine (mai vista prima); al suo interno conservava, in corrispondenza dello stomaco, i resti dell'ultimo pasto: granchi, un pesce sega e un piccolo cetaceo. La presenza di numerosi denti di squalo testimonia come lo stesso cetaceo sia stato divorato dopo la morte. Nella valle sono presenti i fossili di molti altri animali: dal Moeritherium, un antenato dell'elefante, a coccodrilli, squali, pesci sega, razze, pesci ossei, tartarughe e serpenti di mare. Tutti animali vissuti 40 milioni di anni fa in quello che era un oceano chiamato Tetide, e in questa valle che era una laguna con acqua bassa e una folta vegetazione di mangrovie.

Ma i fossili non sono l'unica meraviglia del Wādī al-Ḥītān, che non a caso è Patrimonio dell'umanità dell'Unesco. Ai piedi del Garet Gohannam, la montagna dell'inferno, che al tramonto si infiamma con un'incredibile luce rossa, fra dune e basse colline calcaree il vento disegna pilastri e formazioni rocciose dalle forme più suggestive, come le battikh (angurie), rotonde e solcate da intricati reticoli. Un luogo incredibilmente ancora selvaggio, per quanto a sole due ore di macchina dal Cairo: qui si arriva solo in taxi o in auto privata lungo la Fayoum Desert Road (ma per l'ultimo tratto, senza piste segnate, serve un veicolo 4X4). E i visitatori sono solo un migliaio all'anno.

martedì 29 ottobre 2019

90 - QUANDO BOLOGNA ERA MANHATTAN




Sembra impossibile ma...
Con oltre 100 torri lo skyline di Bologna intorno al 1300 somigliava più a quello di Manhattan che al profilo di una città medievale.

Dai primi del 1100 e per due secoli le torri a Bologna crescono come funghi: sicuramente ne vengono erette almeno un centinaio, ma alcuni storici non escludono che siano almeno 180, senza contare le case-torri e i torresotti delle mura. Già, perché qui stiamo parlando di altissimi edifici fatti costruire dalle famiglie più nobili e ricche. Perché? Ancora oggi questo non è chiaro. Probabilmente nascono come strutture difensive, e a un certo punto diventano status symbol tali da accendere vere e proprie gare a chi sale più in alto, stile Paperone e Rockerduck. Di certo si sa che chi le fa costruire, non le abita: al più le utilizza come temporaneo rifugio in caso di pericolo. Le case-torri invece oltre a testimoniare il prestigio sociale del padrone, sono il rifugio degli abitanti delle case vicine quando viene lanciato l'allarme; i torresotti infine sono le porte fortificate della cerchia di mura medievale; quella bolognese ne comprende 18. Di questi oggi ne restano 4.

Edificare una torre nel medioevo oltre che molto oneroso (pur con l'utilizzo di servi della gleba), non è facile. Servono fondamenta profonde dai 5 ai 10 metri consolidate con lunghi pali conficcati nel terreno, una base costruita con grossi blocchi di pietra e il resto dell'edificio con muri via via più sottili e leggeri. Costruire una torre di 60 metri richiede da 3 a 10 anni di lavori. I calcoli ingegneristici sono spesso assai naif, non a caso quasi tutte le torri pendono, e già durante il 13° secolo molte crollano o sono abbassate o abbattute per motivi di sicurezza. Delle 100 e più torri medievali Bologna oggi ne conserva 22. Molte, anche importanti (Conforti, Artenisi, Riccadonna) sono state demolite fra il 1918 e il 1919 nell'ambito di uno sciagurato piano di ristrutturazione urbanistica. 

Fra le superstiti la Azzoguidi (61 metri), la Prendiparte (59,50 m), la Scappi (39 m), la Uguzzoni (32 m). E naturalmente le torri degli Asinelli e della Garisenda realizzate fra il 1109 e il 1119; la prima (97,2 m) quasi certamente era più alta di una ventina di metri, la seconda (48 m) inizialmente era 60. Nel 14° secolo erano unite da una suggestiva passerella aerea; l'aveva voluta Giovanni Visconti per sorvegliare il turbolento mercato che sorgeva in mezzo e prevenire rivolte popolari.


89 - LA COPPA CHE ARRIVO' DAL FUTURO




Sembra impossibile ma...
Al British Museum di Londra è conservato un oggetto “impossibile” di quelli che avrebbero fatto la gioia di un Peter Kolosimo (chi di voi lo ricorda?): la Coppa di Licurgo. A parte il fatto che è bellissima, è un oggetto che la scienza ci dice non sarebbe potuto esistere nel passato. Un po’ come lo smartphone che sembra apparire nelle mani di uno spettatore a bordo ring durante un incontro di Tyson del 1995, quando i telefonini non esistevano. Ma questa è un’altra storia.

In questo caso quello che ammiriamo non è un filmato confuso (e alterabile) ma un oggetto solido, concreto, che ci arriva dall’antica Roma, che in quell’epoca nessuno avrebbe potuto costruire. Fino a poche settimane fa il mistero era ancora più fitto, ma qualcosa gli scienziati che studiano l’antica coppa l’hanno svelata. Il manufatto è una rara coppa di diatreta, massima espressione della tecnica di lavorazione del vetro romana. Un recipiente interno liscio viene decorato con un guscio esterno istoriato. La Coppa di Licurgo, vecchia di duemila anni e acquisita negli anni cinquanta dal British Museum, è la meglio conservata, praticamente intatta. La sua caratteristica è che iI vetro assume colori diversi se illuminato frontalmente o da dietro. Il perché fino ad oggi era inspiegabile. Quarant'anni di studi hanno svelato questo mistero: la coppa è stata sottoposta ad una lavorazione che richiede una tecnica molto complessa. Nel vetro sono state innestate micro-particelle di oro e d'argento. Sono queste a creare il cambiamento di colore.

Ma il mistero più grande resta: le particelle hanno la dimensione di 50 nanometri. Come facevano gli antichi romani a padroneggiare una tecnica che non solo anche oggi è assai complicata, ma richiede microscopi e nanomacchine. Le indagini hanno anche appurato che non può essersi trattato di un caso fortuito, i diversi manufatti erano stati infatti tutti lavorati con la medesima tecnica. La domanda (per ora) rimane senza risposta: come hanno fatto ad inserire i microcristalli metallici nel vetro? La certezza è che i Maestri vetrai duemila fa hanno realizzato l’impossibile.

88 - IL MISTERO DEL VILLAGGIO DEI NANI




Sembra impossibile ma…
La città dei nani non esiste solo nella Terra di mezzo immaginata da Tolkien. A Yangsi, nella provincia cinese del Sichuan, 36 degli 80 abitanti (il 40%) non superano il metro di altezza: 1,17 il più alto, 64 centimetri il più basso. Un dato totalmente anomalo se confrontato con la media mondiale: meno di un caso di nanismo su ventimila. Il motivo? Un mistero.

Gli anziani del villaggio raccontano che tutto cambiò una notte di tanti anni fa. Una malattia avrebbe colpito all’improvviso un gran numero di bambini, bloccandone per sempre la crescita. L’anomalia è emersa ufficialmente nel 1951, ma di nani in questa zona si parla dal 1911 e nel 1947 lo scienziato inglese Karyl Robin Evans scrisse di averne incontrati centinaia in una valle remota del Sichuan.

In passato erano molti di più: ancora nel 1985 il censimento registrò a Yangsi 119 di tali casi. Molti di loro hanno lasciato la regione per cercare di sfuggire a un destino segnato: il nanismo infatti era ereditario. L’ultima generazione invece - mistero nel mistero – è rimasta esente dal fenomeno.

Da anni gli scienziati studiano gli abitanti del villaggio uno per uno. Così come l’acqua, il suolo e le coltivazioni della regione. Senza esito. Anche la recente teoria di un’elevata presenza di mercurio nel sottosuolo non ha avuto riscontri scientifici. Gli abitanti sono divisi: chi parla di un cattivo (pessimo…) feng shui, chi di spiriti malvagi. I più incolpano una tartaruga nera che in tempi remoti avrebbe lanciato una potente maledizione prima di essere uccisa e mangiata.

Le autorità oggi ammettono l’esistenza del villaggio (difficile smentire le molte foto) e per il resto non si pronunciano. L’accesso a Yangsi è vietato agli stranieri. Così, se non siete elfi, per vedere la città dei nani è più facile fare un salto nella Terra di mezzo.


87 - SE CE L'HANNO FATTA I SIOUX




Sembra impossibile ma...
140 anni esatti dopo Little Big Horn i Sioux hanno sconfitto di nuovo le giacche azzurre. Nessuno ci avrebbe scommesso un cent bucato, e lo sapevano bene. Ma hanno deciso di far sentire lo stesso la loro voce, di agire, di sfidare l’impossibile. La gloriosa tribù di nativi americani ha dissotterrato l’ascia di pace e ha vinto la più difficile delle battaglie contro i visi pallidi del Dakota Access Pipeline, l’oleodotto che avrebbe dovuto attraversare i loro territori in Nord Dakota, passando sotto il lago Oahe.

Il genio militare americano, la notizia è recente, ha annunciato che il percorso previsto è stato bocciato, che sarà studiato un tracciato alternativo. La protesta degli indiani era partita in aprile. Di fronte, una delle più potenti majors del petrolio. Possibilità di successo, zero. Una manifestazione dopo l’altra però i proiettili di gomma, i cannoni ad acqua e i gas lacrimogeni delle forze dell’ordine hanno trovato migliaia di persone arrivate da tutti gli States a fare da muro umano davanti ai Sioux. E come in un film di Frank Capra alla fine “E’ arrivata la felicità”.

Che non è durata a lungo: è arrivato Trump, e la nuova amministrazione americana ha ribaltato ancora una volta tutto. Dalle terre dei Sioux però si è alzato un messaggio di fumo: “Donald Trump si prepari perché non daremo tregua”. La battaglia va avanti. “Yellow hair” non fa paura ai Sioux, ne hanno già sconfitto uno tanti anni fa.

86 - IL FIGLIO DEL BARO




Sembra impossibile ma…
Questa è una storia vera. San Francisco, anno 1858, un saloon come altri mille nel vecchio west. La scena è di quelle che i film americani (senza contare Sergio Leone, Trinità & c.) ci hanno mostrato mille volte. Quattro giocatori a un tavolo da poker.

Robert Fallon ha una fortuna sfacciata. Troppa. Cala le carte lento, una alla volta. Ha vinto ancora. 600 dollari, una grossa cifra. Allunga le mani per incassare. “Sei un baro!”. Mano alle pistole. E’ un attimo, l’ultimo per Robert. Non giocherà mai più.

Gente dura nel vecchio west. Spostano il corpo, la partita continua. Manca però un giocatore. E quei 600 dollari non li tocca nessuno. Soldi maledetti. Portano sfortuna. Si avvicina un ragazzo mai visto, neanche 20 anni. Sorride. “Gioco io”.
Non ha un dollaro in tasca. Ma non è superstizioso. I 600 dollari saranno la sua posta. Con le carte è un diavolo. Quando entra lo sceriffo li ha già trasformati in 2200. Il morto è ancora lì, steso sotto il bancone. Mani in alto, tutti in cella.

Seguono le indagini. Risultato: il ragazzo che ha “ereditato” i 600 dollari è il figlio di Robert Fallon. Non ne sapeva assolutamente niente. Il padre, giocatore di professione, se ne era andato da casa quando lui era un bambino, senza più dare notizie. Non poteva riconoscerlo, era solo un nome, un vago ricordo.

85 - UDRE UDRE IL CANNIBALE




Sembra impossibile ma...
La tomba di Udre Udre, principe di una tribù di cannibali delle Figi, è circondata da una lunga linea di pietre. Ogni sasso commemora un essere umano mangiato dal capo. Se ne contano 872.

Ratu Udre Udre era il principe di Rakiraki, un villaggio a nord di Viti Levu, l'isola più grande delle Figi, ed è morto intorno al 1840. Ecco la sua storia come ce la racconta Richard Lyth, reverendo evangelizzatore che nel 1849 conobbe un figlio di Udre: “Ravatu, uno dei figli del principe dei cannibali, mi ha portato fuori della città per circa un miglio, e mi ha mostrato le pietre che commemoravano il numero di essere umani mangiati da suo padre. Anche coloro che erano stati mangiati in gioventù erano stati contati: una lunghissima linea di pietre posizionate l’una accanto all’altra. Erano 872. Fra queste, c'erano i segni di alcune pietre rimosse. Secondo gli anziani del villaggio, dovevano contarsi anche queste, il che porta il numero a ben oltre 900 persone. Le vittime, secondo Ravatu, erano esclusivamente nemici uccisi in guerra. Il giovane mi ha assicurato che suo padre li ha mangiati tutti da solo, visto che non lasciava a nessuno la possibilità di prendere parti delle sue “pietanze. Il cibo veniva conservato e ri-cucinato più volte, in modo da durare diverso tempo. Oltre agli esseri umani, Udre mangiava anche tartarughe e maiali che condivideva con amici e figli soltanto alla seconda cottura. Ma non la carne umana. Quella, era il privilegio del capo”.

Oggi è storicamente accertato che i Figiani mantenessero memoria dei propri pranzi cannibali con il metodo delle pietre, e gli studiosi ritengono che Udre Udre abbia mangiato tra le 872 e le 1000 persone durante la sua vita, un record. I resti del suo villaggio sono ancora visibili, con pareti in pietra, tumuli domestici e una grande fossa lovo (forno) usata per cucinare le persone. La tomba del capo, a pochi chilometri dal villaggio lungo King’s Road, è circondata da molte delle pietre originali. La gente che abita nei dintorni evita di passarci vicino, crede che lo spirito del cannibale risieda ancora lì. L'ultimo caso accertato di cannibalismo alle Figi è quello del reverendo Thomas Baker, mangiato nel 1867. Cannibal Tom, ritenuto “l’ultimo cannibale delle Figi”, è morto a fine 800.

lunedì 28 ottobre 2019

84 - TAVOLE FREDDE




Sembra impossibile ma...
A Helsinki è aperto il “Take in”, un ristorante senza cucina dove i camerieri prendono le ordinazioni e le girano a uno o più dei 20 locali cittadini convenzionati, che preparano e consegnano i piatti in tempi brevi. Ad Amsterdam invece c'è un locale, l'Eenmaal, dove è proibito andare in compagnia: si mangia esclusivamente da soli.

Il “Take in” di Keskuskatu 5, in centro nella capitale finlandese, è l'unico ristorante al mondo senza una cucina. La logica è quella del cibo da asporto, solo che in questo caso non viene consumato a casa ma in un altro locale. I vantaggi, secondo gli ideatori, non mancano. La possibilità di ordinare da 20 diversi ristoranti permette di mettere d’accordo tutti quando ognuno vorrebbe andare a cena in un posto diverso. Il locale poi permette a chi vuol evitare una trista cena take away da solo di mangiare cibo da asporto ma in compagnia. Gli ospiti scelgono un pasto da uno dei ristoranti convenzionati, che non addebitano commissioni; anzi, 4 dei migliori locali di Helsinki hanno ideato speciali menu da asporto per il “Take in”. Non è prevista quota di iscrizione né prenotazione, il ristorante ha 50 coperti e fornisce posate e piatti, c'è un bar per le bevande e camerieri pronti a prendere le ordinazioni e a servire il cibo.

All'Eenmaal di Amsterdam (il nome significa "una porzione") è nata una vera moda; come temporary restaurant ha infatti aperto la strada a una serie di locali analoghi avviati a tempo determinato in diverse metropoli europee e americane. Denominatore comune, tutti i tavoli sono monoposto ed è proibito venire accompagnati.Mangiare da soli al ristorante - spiega la designer Marina van Goor, ideatrice di Eenmaal - è un'esperienza spesso triste, che noi
trasformiamo in piacevole e anche utile: nel nostro mondo iperconnesso ci aiuta a disconnetterci per un po'". Così l'interazione umana è ridotta al minimo, limitata al momento dell'aperitivo servito in un'area comune; poi i clienti, che devono consegnare i cellulari all'ingresso, vengono invitati a stare ognuno al proprio posto, dove vengono servite le tre portate della cena e dove tra un piatto e l'altro possono leggere un libro o una rivista. Ma se volete scambiare quattro chiacchiere col vicino, cercatevi un altro ristorante.

domenica 27 ottobre 2019

83 - IL PESO DELL'UOMO




Sembra impossibile ma...
Se si pesassero (in chili) tutti gli organismi viventi nel mondo, i 7,6 miliardi di esseri umani sarebbero solo lo 0,01% del totale. Ringrazio l'amico Wolf Waldbauer per l'idea, e vi porto con me in un viaggio pieno di incredibili sorprese sul pianeta Terra. 
 
La nostra guida è il professor Ron Milo, del Weizmann Institute of Science di Israele, che ha di recente pubblicato una ricerca sul peso delle diverse specie viventi. Il totale (biomassa terrestre) è stimato in 550 gigatonnellate (GT) di carbonio (1 gigatonnellata equivale a 1 miliardo di tonnellate). La prima sorpresa è che l'86% della materia vivente si trova sulla terraferma, il 13% sottoterra e solo l'1% negli oceani. Ed ecco la stupefacente classifica: l'82% della materia vivente è costituito dalle piante, con circa 450 GT di peso, ben 7.500 volte quello dell'uomo. Al secondo posto ci sono i batteri: sono il 13% con 70 GT, 1.200 volte più pesanti di noi. Al terzo posto, udite udite, troviamo i funghi, il 2% del totale con 12 GT, 200 volte l'intera umanità. Ora, 82 più 13 più 2 fa 97, il che vuol dire che tolte ancora le alghe e altri organismi vegetali non resta che un misero 0,4% del totale per tutte, ma proprio tutte le specie animali. E anche fra queste, non siamo certo in prima fila; i più “pesanti” sono gli insetti (e crostacei): 1 GT, 17 volte più di noi. Seguono i pesci, 0,7 Gt, 12 volte più presenti dell'uomo. Anche i vermi sono 3 volte più abbondanti di noi, così come i molluschi. E finalmente, fra i già sparuti mammiferi, arriva l'uomo, secondo (dopo il bestiame) con 0,06 Gt di carbonio, lo 0,01% del totale.

Ok, pesiamo poco, ma la nostra presenza non passa inosservata: dagli albori della civiltà l'uomo ha causato la perdita dell'83% di tutti i mammiferi selvatici, del 15% degli animali marini e del 50% delle piante. E ha rimodellato il pianeta: oggi solo il 30% degli uccelli è costituito da specie selvatiche; il restante 70% è pollame da allevamento. E fra i mammiferi, il fatto che noi siamo il 36% e gli animali da allevamento (bovini, ovini e suini) il 60% ci dice che resta un misero 4%: sono i reduci di tutti gli animali selvatici che abbiamo trovato alla nostra comparsa sulla Terra.

venerdì 25 ottobre 2019

82 - DERBY CON SORPRESA




Sembra impossibile ma...
Gli indiani Ojibwe organizzarono una partita di baggatiway, sport tradizionale con la palla, e invitarono la guarnigione inglese di un forte nel Michigan a uscire fuori dalle mura per assistere al match. Poi fingendo di rincorrere la palla all'interno si chiusero dentro e, una volta conquistato il forte, fecero strage dei soldati.

Anno 1763, gli inglesi da qualche tempo hanno conquistato Fort Michilimackinac, costruito dai francesi nel 1713 lungo lo stretto che collega il lago Huron e il lago Michigan. Una guarnigione di 35 soldati molto ben armati controlla l'area intorno al forte, abitata da pochi coloni inglesi, mercanti francesi, meticci e qualche centinaio di indiani della tribù Ojibwe, che vivono accampati intorno al fortilizio e commerciano scambiando pellicce con merci con i molti mercanti di passaggio. I rapporti sono buoni, ma il maggiore George Etherington, comandante del forte, non sa che una coalizione di tribù guidata da Pontiac, il capo degli Odawa. si è ribellata agli inglesi, e sta mettendo a ferro e fuoco le regioni vicine.

Il 2 giugno i due capi degli Ojibwe, Minweweh e Madjeckewiss organizzano una partita di baggatiway (simile all'odierno lacrosse che a sua volta ricorda l'hockey) tra gli Ojibwe e i Sauk, e invitano il comandante a vedere l'incontro, che si svolgerà davanti all'ingresso del forte. I molti canadesi francesi che vivono lì lo sconsigliano, ma lui non li ascolta. Gli sembra brutto rifiutare, anche perché i capi gli hanno detto che si gioca per celebrare il compleanno di Re Giorgio III. Così indossa la parrucca migliore e la divisa delle grandi occasioni, raduna gran parte della guarnigione, lascia le armi nel forte e il cancello aperto e si schiera davanti al campo da gioco. Prima dell'inizio scommette anche sulla vittoria degli Ojibwe. Alla partita è normale partecipi tutta la tribù, così in campo ci sono 500 giocatori. Presi dal gioco, nessuno si accorge delle donne indiane che indossano coperte voluminose, neanche fosse inverno, e si mettono vicine al portale. Accade tutto in pochi secondi: i contendenti lanciano la palla oltre la palizzata, corrono in massa a riprenderla, le donne aprono le coperte e distribuiscono coltelli e tomahawk, gli atleti diventano guerrieri, ed è un bagno di sangue. Gli indiani uccidono solo gli inglesi, quelli chiusi all'interno e quelli rimasi all'esterno, disarmati e senza riparo. I morti accertati sono 37. Etherington fugge nel bosco, ma poi verrà catturato e due mesi dopo tornerà a casa dietro pagamento di un riscatto.

Agli indiani Fort Michilimackinac non interessa, il loro obiettivo era scacciare gli inglesi. Che però dopo un anno torneranno con 3000 soldati nel forte deserto e lo riprenderanno senza spargimenti di sangue.

giovedì 24 ottobre 2019

81 - CONSOMME' D'ELEFANTE



Sembra impossibile ma...
Il Natale forse più duro della storia di Parigi, quello del 1870, è passato alla storia per il cenone nel ristorante più importante della città, il Voisin. Lo chef preparò per i commensali un incredibile menù. A base di pietanze cucinate utilizzando gli animali dello zoo.

E' dal 17 settembre che le truppe tedesche stringono d'assedio Parigi, tre mesi terribili: la città è stremata, la fame si fa giorno per giorno più insopportabile. Terminati i viveri, sulle tavole dei parigini vanno prima oltre 70.000 cavalli, poi sui banchi dei mercati si cominciano a vedere cani, gatti, perfino topi. I pochi ristoranti rimasti aperti improvvisano con quel poco che c'è. Alexandre Étienne Choron ha 33 anni ed è già molto famoso. E' lo chef del favoloso Voisin di rue Saint Honoré, luogo d'incontro della più raffinata nobiltà parigina. Arriva Natale, pensare a un cenone è una follia. Ma Choron non ci sta a darla vinta ai tedeschi: la notte di Natale si deve festeggiare come non si è mai visto prima. Ma cosa portare in tavola? Lo chef viene a sapere che lo zoo del Jardin del Plantes non può più nutrire i suoi animali. E fa due più due. Pensa a tutto lui: escluse le scimmie (troppo umane), i leoni e le tigri (carni troppo selvatiche) l'ippopotamo (disgusterebbe molti, abituato com'è a nuotare nella sua sporcizia), acquista tutto il resto.

E annuncia un menù destinato a passare alla storia, che propone la notte di Natale agli ospiti che riempiono il Voisin. Ecco la traduzione (anche se in francese suona molto meglio). Hors d'oeuvre: Burro, Radici, Sardine, Testa d'asino farcita. Potages: Passata di fagioli rossi con crostini, Consommè di elefante. Entrées: Pesciolini fritti, Cammello arrosto all'inglese, Spezzatino di canguro, Costolette d'orso arrostite in salsa al pepe. Portate principali: Pancetta di lupo in salsa di cervo, Gatto “affiancato dai topi", Insalata di crescione, Terrina di antilope in salsa di tartufo, Porcini alla Bordolese, Pisellini al burro. Entremets: Torta di riso con marmellate. Dessert: Formaggio Gruyère. I vini? Da sogno: Mouton-Rothschild 1846, Romanée-Conti 1858, Château Palmer 1864, Latour blanche 1861 e Grand Porto 1727. Da consumare come se non ci fosse un domani per cancellare la paura e gli orrori della guerra.

L'assedio terminerà tre settimane dopo. Choron, che nel frattempo ha scoperto le qualità gastronomiche dell'elefante, per Capodanno ha trasformato Castor e Pollux, già ospiti del Jardin zoologique, in Trompe di elefante in salsa cacciatora e Bourguignon di elefante. Piatti che anche negli anni successivi saranno fra i più richiesti alla cucina del Voisin.

80 - UN NOBEL PER SOMMERFELD




Sembra impossibile ma...
Lo scienziato tedesco Arnold Sommerfeld, una delle menti più brillanti del ventesimo secolo, non ha mai ricevuto il premio Nobel, pur essendo stato nominato un numero incredibile di volte.

Avete presente il film di Woody Allen Broadway Danny Rose, nel quale un piccolo impresario di spettacoli produce fior di artisti, che però appena diventano famosi se ne vanno e lo lasciano con un pugno di mosche in mano? Bene, a Sommerfeld le cose sono andate pressappoco così. Nato nel 1868 a Königsberg nella Prussia orientale, consegue un dottorato di ricerca in matematica e fisica a 23 anni. Non immaginatelo però come il tipico topo di biblioteca: Sommerfeld è fisicamente un marcantonio, col portamento di un colonnello degli Ussari, e proprio durante il servizio militare si procura una vistosa cicatrice sul viso in uno dei ripetuti duelli che affronta, che copre in parte con baffi e barba.

Nel 1895 inizia a insegnare all'università di Göttingen; brillantissimo, in breve diventa presidente del dipartimento di matematica e ottiene anche la cattedra di Meccanica applicata ad Aquisgrana dove realizza la sua teoria dell'idrodinamica. Qui è docente di Peter Debye, che vincerà il Nobel per la chimica nel 1936. Nel 1906 dirige l'Istituto di fisica teoretica dell'Università di Monaco, dove insegna a Werner Heisenberg , che vincerà il Nobel per la fisica nel 1932. Subito dopo segue Wolfgang Pauli nella sua tesi sulla teoria dei quanti: anche Pauli sarà Nobel per la fisica nel 1945. Il successivo allievo prediletto è Hans Bethe, Nobel per la fisica nel 1967. Il suo amico Einstein osserva: "Ciò che ammiro di te è il fatto di avere, per così dire, fatto germogliare un così gran numero di giovani talenti".

Eppure la didattica non pregiudica il lavoro pionieristico nella teoria quantistica, considerato prodigioso, né gli studi su idrodinamica ed elettromagnetismo che gli valgono i premi più prestigiosi, e tante nomination al Nobel, che però non arriva. Lui continua a sperare, del resto anche Otto Stern, nominato moltissime volte, nel 1943 il premio lo ha portato a casa. Durante il periodo nazista Sommerfeld aiuta per quanto può i colleghi ebrei ad espatriare, poi continua ad insegnare fino a tarda età. Muore nel 1951 investito da un camion: praticamente sordo, non ha sentito il clacson. Se ne va senza il “suo” Nobel, dopo esser stato nominato ben 84 volte.

760 - DIETRO IL PADRINO

    Un'offerta che non si può rifiutare. A trovarsela davanti è stato Francis Ford Coppola al momento di iniziare a girare I...