mercoledì 22 aprile 2020

471 - PIONIERE PER CASO




Sembra impossibile ma...
Questa è una storia vera. Nasce nel gruppo di “Sembra impossibile ma” grazie alla dottoressa Elisabetta Ranghino, psicologa che nel gruppo tiene la rubrica “Storie di psicologia”.

Anno 1995. Internet è agli albori, i computer connessi sono meno di 10 milioni in tutto il mondo e viene pubblicata la primissima versione di Internet Explorer; mentre in Europa i siti web si contano sulle dita di una mano, negli Stati Uniti l'uso è più diffuso, specie in aziende e uffici. E qui si presenta uno dei primi problemi: il tempo che gli impiegati perdono giocando in maniera sempre più ossessiva a Solitario o a Campo minato virtuali. Così Ivan Goldberg, importante psichiatra newyorchese, diffonde online un questionario per la diagnosi di quello che chiama IAD (Internet addiction disorder, in italiano disturbo da dipendenza da Internet). Il test elenca 7 sintomi e ipotizza che lo IAD possa essere diagnosticato alla comparsa di almeno tre di essi nell’arco di un anno. I 7 sintomi ricalcano quelli in uso per le dipendenze da alcolici e stupefacenti, come perdita di interesse verso attività diverse da Internet, impossibilità di limitarne o controllarne l’uso, bisogno di trascorrervi quantità di tempo sempre maggiori, sviluppo in caso di impossibilità di connettersi delle crisi d’astinenza tipiche delle droghe con sintomi come agitazione, nausea, cefalea, tremore, ansia e movimenti involontari. E' come aver acceso una miccia: Goldberg viene subito contattato da moltissimi psichiatri e psicologi: i loro pazienti soffrono per l'uso eccessivo di internet, e loro non sanno come curarli. Il documento di Goldberg è una rivelazione, e lo psichiatra rischia di diventare un guru in materia.

Il primo ad essere a dir poco sorpreso dalla reazione è lo stesso Goldberg. Che come prima cosa riprende in mano il suo studio e si affretta a cancellare la parola “dipendenza”, ridefinendo lo IAD “Disturbo da uso patologico di Internet”. Ma perché tanto stupore da parte dello psichiatra newyorchese? Semplice, il suo era tutto uno scherzo, una boutade estemporanea nata con intento provocatorio, ironico, goliardico. In realtà lui delle nascenti problematiche legate all’uso di Internet non ne sa niente, non ha svolto ricerche in merito, il disturbo da lui teorizzato se lo è completamente inventato e non ha alcun fondamento scientifico.

Bisognerà aspettare gli studi della professoressa Kimberly Young sui risvolti psicologici della tecnologia, di poco successivi, che porteranno alla nascita del primo centro clinico per la cura dei disturbi psicopatologici correlati all’uso di Internet, per avere le linee guida per la prevenzione e il trattamento della dipendenza da Internet. Eppure ancora oggi online non mancano i riferimenti a Goldberg (scomparso nel 2013) come padre e pioniere dello studio e della cura di un disturbo che, stando alle più recenti stime Istat, riguarda solo in Italia 300.000 giovani tra i 12 e i 25 anni.

martedì 21 aprile 2020

470 - LA MEDUSA HIGHLANDER




Sembra impossibile ma...
Questa è una storia vera. Estate 1988, Rapallo. Christian Sommer, ventenne studente tedesco di biologia marina, non è arrivato sulla riviera ligure per farsi una vacanza, ma per studiare nel loro habitat naturale gli idrozoi, minuscoli organismi con caratteristiche affini alle meduse. Un'immersione dopo l'altra, raccoglie un certo numero di Turritopsis dohrnii, piccole meduse del diametro di pochi millimetri, e le porta nell'acquario dove si appoggia per i suoi studi, con l'intenzione di osservarne il ciclo vitale. Insieme al biologo genovese Giorgio Bavestrello, lascia le meduse in recipienti adeguati e va a riposarsi. La mattina dopo i due tornano in laboratorio. E hanno una grossa sorpresa: al posto delle meduse ci sono dei polipi. Come dire che le Turritopsis erano regredite ad uno stadio precedente del proprio sviluppo, o se preferite erano ringiovanite. Un po' come se dopo aver lasciato un pollo, avessero trovato un uovo. Sulla singolare scoperta inizia a lavorare un team di scienziati guidati da Ferdinando Boero, professore dell'Università del Salento, che nel 1996 pubblica uno studio intitolato “Invertendo il ciclo della vita” nel quale spiega come i Turritopsis riescano a “ritornare” polipi, e come avendo la possibilità di replicare la trasformazione possano scampare alla morte e acquisire così una sorta di immortalità.

Gli esperimenti hanno mostrato che la “medusa immortale” è l'unico essere vivente ad avere la capacità di invertire il processo di invecchiamento; in ogni stadio della sua vita può ritrasformarsi in polipo, ma solo in presenza di determinate condizioni: quando è sottoposta a stress ambientale, o in caso di in pericolo, di sbalzi improvvisi di temperatura, di riduzione di salinità o di danni subiti alla “campana”. In questi casi si attiva un processo di sviluppo cellulare chiamato transdifferenziazione, che in poche ore la fa ringiovanire. Teoricamente, questo processo può continuare all'infinito rendendo la medusa immortale

Nella pratica però in natura le Turritopsis muoiono a causa dei predatori e di malattie e altre cause che non innescano il ringiovanimento. In realtà però non si sa cosa le accade veramente perché è praticamente impossibile studiarla nel suo ambiente naturale, e in cattività non sopravvive facilmente. Al momento il professor Shin Kubota della Kyoto University, è riuscito a mantenerne una viva per oltre 20 anni. La potenziale immortalità biologica della Turritopsis dohrnii ha sollevato grande interesse nel campo della farmaceutica e della ricerca sull'invecchiamento; l'obiettivo è quello di scoprire metodi per rinnovare i tessuti danneggiati o morti negli esseri umani.


lunedì 20 aprile 2020

469 - EREMITI DA GIARDINO




Sembra impossibile ma…
Sui giornali inglesi dell’ottocento non era difficile trovare annunci come questo (pubblicato sul Courier nel 1810): “Cercasi giovane uomo che desideri ritirarsi dal mondo e vivere come un eremita, disposto ad impegnarsi con nobili o gentiluomini desiderosi di averne uno”. E’ la moda dell’eremita da giardino o ornamentale, persone che accettavano di vivere in eremi, grotte e giardini rocciosi appositamente costruiti nelle dimore di ricchi proprietari terrieri. Vestiti con rozze tuniche, avevano il compito di mostrarsi agli ospiti del padrone di casa; talvolta erano tenuti a rispondere a domande e dare consigli. In altri casi non comunicavano coi visitatori, ma erano solo i personaggi di un diorama vivente. Un contratto stabiliva il costo e la durata della prestazione.

A lanciare la moda pare sia stato San Francesco di Paola che agli inizi del XV secolo visse da eremita in una grotta nella proprietà di suo padre e poi fu consigliere di Carlo VIII di Francia. E sono i nobili francesi i primi a costruire residenze con cappelle in cui risiede un asceta religioso. Ma è nell’Inghilterra dei secoli XVIII e XIX che l’eremita ornamentale diventa trendy. E “niente delizia gli occhi più di vedere un vecchio con una lunga barba grigia, vestito di pelle di capra, dibattersi tra i disagi ed i piaceri della natura”.

Così nel Lancashire un proprietario promette un vitalizio di 50 sterline l’anno a chi accetti di trascorrere 7 anni in una grotta sotto terra senza mai parlare e senza tagliarsi capelli, barba e unghie. L’unico candidato resiste “solo” 4 anni. Nel Surrey un altro annuncio richiede all’eremita di indossare pelli di capra, di lasciar crescere capelli, barba, e unghie e il voto del silenzio assoluto; in cambio fornisce una Bibbia, occhiali, un tappeto, un cuscino, una clessidra, acqua, cibo e 100 sterline l’anno, ma solo alla fine dei 7 anni concordati, altrimenti neanche uno scellino. L’unico che accetta, è scoperto a bere birra in un pub e licenziato dopo tre settimane. A fine ottocento la moda degli eremiti da giardino è finita. A perpetuarne il ricordo, l’esercito di nani e gnomi in gesso che ancora oggi adorna i peggiori giardini europei.
 
 

 
 
 

 


468 - COLPI DI CANNONE




Sembra impossibile ma…
Fino a pochi decenni fa il “blowing from a gun” era una pratica diffusa in diversi Paesi del mondo. Si tratta di uno dei metodi di esecuzione più cruenti e feroci mai ideati dalla mente dell’uomo. In sostanza il condannato viene legato davanti alla bocca di un cannone, fustigato e poi fatto saltare in aria con un colpo della terribile arma. Di recente la stampa ha riportato la notizia di un’esecuzione di questo tipo avvenuta in Corea del Nord, ma con ogni probabilità si tratta di un fake propagandistico. Ciò che invece è certo, è che Paesi considerati fra i più civili, come Gran Bretagna e Portogallo, hanno abbondantemente utilizzato questo metodo.

I primi ad usare il cannone per eliminare i ribelli sono i sovrani dell’impero Moghul in India nel sedicesimo secolo subito imitati dai portoghesi che nei due secoli successivi lo importano nelle colonie, dallo Sri Lanka al Brasile fino al Mozambico. Ma è l’impero Britannico a farne un uso sistematico giustiziando a colpi di cannone dai primi del settecento al 1871 centinaia di condannati. La pena è prevista per chi si macchia del reato di ammutinamento. Nel 1857 scoppia la rivolta dei Sepoy, i soldati indiani della Compagnia Britannica delle Indie Orientali, e la rappresaglia è terribile: le esecuzioni col “blowing from a gun” non si contano.

Ecco come George Carter Stent descrive l’esecuzione (chi è impressionabile, salti il paragrafo): “Il prigioniero è legato a un cannone con la parte superiore della schiena appoggiata alla sua bocca. Quando il cannone fa fuoco la testa salta in aria per circa 10 metri, le braccia volano via a destra e sinistra e cadono a decine di metri di distanza; la gambe si accasciano a terra sotto la bocca del cannone, il corpo è letteralmente spazzato via, non se ne vede più traccia. Al termine avvoltoi e cani si precipitano su pezzi di carne e ossa sparsi ovunque nella piazza”. Dopo l’Impero Britannico la pratica verrà usata in medio oriente. L’ultima esecuzione col cannone di cui si ha notizia viene eseguita in Afghanistan nel 1929.







467 - IL DITO MEDIO DI GALILEO




Sembra impossibile ma…
Esposta in un museo fiorentino c’è un’urna di vetro che contiene un dito medio alzato: con ogni probabilità un oltraggio neanche troppo velato ai detentori del potere. Siamo a Firenze, al museo Galileo di Storia della scienza. Il dito è quello della mano destra del grande astronomo. E’ lì dal 1927, dopo due secoli in bella mostra fra Biblioteca Laurenziana e Museo della Fisica.

Era stato prelevato e messo sotto vetro nel 1737, quando la salma dello scienziato fu traslata in Santa Croce su iniziativa di Vincenzo Viviani, il suo ultimo discepolo. Celebra Galileo “eroe e martire della scienza”, processato dalla Chiesa per eresia. Sarà riabilitato solo nel 1992. «È questi il dito, onde la mano illustre - del Ciel scorse segnando i spazi immensi - e nuovi astri additò» si legge sulla base in marmo della teca. Già, ma che senso ha usare il medio per “additare gli astri”? Di solito si usa l’indice. Cos’è allora quel medio alzato da quasi tre secoli, se non uno sberleffo all’oscurantismo?

Dice: ma il medio alzato non è un’offesa tutta americana entrata in uso solo negli anni ottanta grazie ai film di Hollywood? Macchè, niente di più falso. Diciamo che in Italia era stato soppiantato dal più colorito gesto dell’ombrello. In realtà è un insulto antichissimo: Giulio Polluce, vissuto ai tempi di Commodo, scrive che gli Attici lo chiamavano Katapygon, che significa anche “persona perversa”; e del medio alzato per offendere parlano Diogene Laerzio e Giovenale, mentre Isidoro di Siviglia nomina il terzo dito “impudicus” e Persio “digitus infamis”. Insomma, l’origine è greco-romana.

Curiosa la genesi della “variante” dei Paesi anglosassoni, dove oltre al medio alzano l’indice col dorso della mano rivolto all'offeso: Guerra dei 100 anni fra francesi e inglesi. L’arma più temuta di questi ultimi sono gli arcieri. Che per scoccare le loro frecce usano indice e medio. Ogni volta che i francesi catturano un arciere, gli amputano le due dita. Così prima della battaglia gli arcieri inglesi scherniscono i nemici mostrando loro le due dita che sì, sono al loro posto, pronte a fare il loro letale lavoro. Poi 5 secoli dopo arriva Winston Churchill, allarga un po’ le dita, gira il palmo verso l’esterno, ed ecco la V di Victory: potenza del linguaggio dei gesti.
Guarda i video: il primo racconta la storia del dito medio alzato, nel secondo Caparezza canta la sua "Il dito medio di Galileo".
 
 
 
 
 
 
 


466 - IL VERO CYRANO




Sembra impossibile ma…
Dietro la storia romantica e amara di Cyrano de Bergerac, personaggio reso eterno dall’opera teatrale scritta nel 1897 da Edmond Rostand, c’è un uomo in carne ed ossa: spadaccino sì, ma anche filosofo, scrittore, drammaturgo e autore satirico di successo.

Hercule Savinien de Cyrano de Bergerac (questo il vero nome: Cyrano era il cognome) nasce a Parigi nel 1619 da un’antica famiglia della piccola nobiltà, anche se amerà farsi passare per guascone, visto che il valore dei soldati di Guascogna era allora proverbiale. Studia prima con un prete, quindi nel collegio di Presles-Beauvais. Ma in realtà legge e si forma su autori in odor di eresia, da Luciano a Campanella, da Moro a Castiglione. Eccellente danzatore e abilissimo spadaccino, a 20 anni affronta il primo duello. Ne seguiranno a decine. Entrato come cadetto nella Compagnia delle Guardie, nel 1640 si fa notare all’assedio di Arras: gioca, beve e si batte con tutti. In battaglia due colpi di spada ne deturpano il volto, già caratterizzato dalle esagerate dimensioni del naso. Tornato a Parigi, diventa famoso per aver insieme al cavaliere Lignieres, messo in fuga un gran numero di uomini del conte de Guinche, lasciando sul campo 2 morti e 7 feriti.

Colpito a 26 anni dalla sifilide, appende la spada e si dedica agli studi e inizia a scrivere opere di vario genere: teatro (con grandi successi: il suo “Le Pédant joué” sarà plagiato da Molière e riutilizzato in diverse commedie famose), romanzi fantastici (che ne fanno un precursore della fantascienza), satira, trattati di fisica; intanto legge Galileo e Copernico, e frequenta la scuola dell’epicureo Gassendi. Animatore dei circoli mondani parigini, dove la scoperta di una relazione con Charles Coypeau ne rivela l’omosessualità, è apprezzato per la “singolare rara intelligenza" e ritenuto per la laicità dei suoi lavori un intellettuale libertino. Insomma, Rostand non ha inventato molto... Minato nel corpo e nella mente dal mal francese, Cyrano morirà per le lesioni causate dalla caduta di una trave, non è certo se a casa di un cugino o in un manicomio. A soli 36 anni.









465 - A BEAUTIFUL MIND




Sembra impossibile ma…
Questa è una storia vera. Che comincia a Borgata Norat, quattro case sulle colline di Cuneo. E’ il 13 ottobre 1867 quando nasce Giacomo Inaudi; la famiglia è poverissima, il tempo di imparare a camminare e il piccolo “Giacu” segue il padre sui pascoli alti. Il bimbo non va a scuola, ma a 6 anni guarda il gregge e inizia a combinare numeri nella mente. E’ un ragazzino strano, piccolo di statura (da adulto supererà di poco il metro e mezzo), una gran testa su un corpo tarchiato, carattere taciturno ma dolce e modesto.

Persa la madre, Giacomo va in Provenza col fratello, che suona la fisarmonica nelle piazze. Lui fa ballare una marmotta e raccoglie i soldi. E stupisce la gente risolvendo a mente complicati calcoli matematici. Garzone in un caffè di Marsiglia, fa a mente i conti dei clienti, anche lunghissimi. E non sbaglia mai. A 12 anni incontra Bénédit Jules Dombey che ne intuisce le enormi potenzialità. Diventerà il suo impresario (oltre che il suocero), l’uomo che lo farà conoscere prima alla comunità scientifica, poi al grande pubblico. All’Accademia di Francia lo affida al matematico Alfred Binet (con lui nella foto). Sarà Binet ad esplorare i confini di una memoria straordinaria e di una mente prodigiosa. All’Accademia delle Scienze gli danno lavagna e gesso, ma Giacomo li rifiuta: “Non so scrivere, vado a istinto, la mia lavagna è qui” dice toccandosi la fronte. Allora gli chiedono quanti minuti erano passati dalla nascita di Cristo. Pochi istanti, poi la risposta. Riscontrata esatta dopo lunghi e faticosi calcoli. Da lì inizia la parabola del “Prodigioso calcolatore umano”, le tournée nei circhi, la fama mondiale.

Le sue performance diventano leggendarie: Inaudi riesce in pochi istanti a fare calcoli con numeri di 20 cifre, indica il giorno della settimana di una qualsiasi data, estrae la radice cubica di numeri di 9 cifre o la radice quinta di numeri di 12, il tutto a mente e con cifre proposte dagli spettatori. Durante lo show tutte le cifre vengono scritte su una lavagna; alla fine lui le ripete tutte, una dopo l’altra (da 300 a 400) in un uragano di applausi. Inaudi si ritira dalle scene nel 1934. Morirà nel 1950 a Champigny, dimenticato da tutti.
 

 
 


domenica 19 aprile 2020

464 - LE ISOLE DEL LIBERO AMORE




Sembra impossibile ma…
C’è un arcipelago nel sud Pacifico dove i nativi iniziano a fare sesso fin dalla più tenera età, autorizzati e incoraggiati dalle famiglie, e non smettono finché hanno fiato in gola. Benvenuti alle isole Trobriand, al largo della Nuova Guinea. I moralisti sono pregati di scendere, perché qui di usanze strane ai nostri occhi ne hanno diverse, ma in fatto di abitudini sessuali non hanno rivali nel mondo.

Fra le tradizioni strane (non a caso sono state studiate dai più grandi antropologi), la società matriarcale, le foglie di banano usate come valuta, un sistema di scambi commerciali studiato come un modello nei corsi universitari di economia, l’usanza di regolare ogni conflitto con maratone di cricket che si concludono con grandi feste danzanti. Ma questo è niente rispetto alle usanze sessuali. Che resistono al progresso e ai contatti con culture e religioni diverse.

Ringrazio l’amico Gabriele Baldocci per avermi segnalato la storia, e vi porto nelle isole del libero amore. Dove la nudità è normale, ed è considerato naturale per i bambini seguire gli atti sessuali dei familiari, in modo che per gioco e per imitazione ne imparino i contenuti. A soddisfare le residue curiosità saranno gli anziani, ma rapporti sessuali fra bambini e anziani sono disapprovati. Il primo rapporto completo si verifica per le femmine fra i 7 e i 12 anni, per i maschi fra i 10 e i 13. La verginità non ha alcun valore e gli adolescenti sono incoraggiati ad avere diversi partner. Ogni villaggio ha una capanna speciale per quelli che vogliono fare l'amore. L’approccio è diretto, il corteggiamento contempla due frasi: magigu yokwa (ti voglio) e tamasisi? (facciamo l’amore?). Se una ragazza rimane incinta, la sua famiglia tiene il bambino. Del resto la paternità è un concetto sconosciuto.

Il matrimonio invece c’è, ma gli isolani cambiano spesso i coniugi, e sia gli uomini che le donne possono avere quanti amanti vogliono. Anzi, c’è un’altra capanna, chiamata bukumatula, per gli incontri extraconiugali. Una terza è quella per i single: ci vivono scapoli e zitelle in un “matrimonio di gruppo”. Per sposarsi basta fare colazione insieme in pubblico sulla veranda della capanna. Già, perché un tabù c’è: non si può spartire il cibo con amici occasionali. Insomma, la mamma ti dice “Vai con chi vuoi, 5, 10, o 50 amanti, e divertiti, ma mi raccomando, non ti far vedere che mangi con lui…”. Se chiedi a un anziano, non importa di quale sesso, quanti amanti ha avuto, sorride: “E chi lo sa? Centinaia”. Fra l’altro rispetto al livello di attività sessuale, la natalità qui è bassa. Il motivo? Pare sia lo Yam, un tubero che è il principale alimento dell’isola, che ha forti proprietà contraccettive. Non a caso profilattici e pillola da queste parti non sanno neanche cosa sono.

Un’ultima informazione, se qualcuno ci avesse fatto un pensierino: i costumi dei nativi non si estendono agli stranieri. I bianchi in particolare, sono ultimi in classifica nei loro criteri estetici, ci vedono brutti e trasandati. E con noi l’amore no, non lo farebbero mai.


 




463 - LA MINIERA DEI LUNGHI CRISTALLI




Sembra impossibile ma...
Sono passati appena 18 anni da quando un gruppo di speleologi e scienziati, superata una parete di rocce si trovò in un ambiente incredibile, dove ogni membro della spedizione sembrava un soldatino sperso in un enorme gioco di costruzioni.

Messico 1794, nello stato del Chihuahua entra in funzione la miniera di Naica, ricca di piombo, argento e zinco. Più di un secolo dopo, nel 1910, gli scavi portano alla scoperta della Grotta delle Spade, così chiamata per i cristalli di selenite (una qualità di gesso) simili a spade che ricoprono le pareti. Per preservare la grotta, ne viene decisa la chiusura. Nel 2002 alcuni operai che lavoravano in miniera scoprono per caso a 300 metri di profondità una camera di 8 metri di diametro che contiene altri cristalli di selenite, ma di dimensioni molto più imponenti. E' solo l'anticamera di una caverna assai più ampia, che pochi giorni dopo si apre davanti agli occhi increduli degli speleologi: qui le formazioni cristalline superano i 15 metri di lunghezza e i 2 di diametro (generalmente non superano il centimetro) e arrivano a pesare oltre 50 tonnellate. In più come in un immane gioco di shangai, si incastrano l’uno con l’altro creando uno spettacolo naturale unico al mondo.

E' la Grotta dei Cristalli, larga 35 metri, lunga 20 e alta due e mezzo; la temperatura si aggira attorno ai 48°, con un'umidità quasi al 100%. Una vera fornace dove un uomo può resistere solo per pochi minuti, e solo con attrezzature protettive. Secondo gli ultimi studi l'abnorme crescita dei cristalli potrebbe esser stata favorita dai microbi sconosciuti, ritrovati dagli studiosi, e sopravvissuti 60mila anni: ceppi di batteri solforiduttori che hanno vissuto isolati dal resto del mondo e non hanno simili sulla superficie terrestre.

L'ambiente si è formato sott'acqua dove è rimasto per millenni, ed è riemerso a causa dei lavori minerari. L'esposizione all'aria potrebbe danneggiarlo, e visto che per altri motivi la compagnia di gestione ha annunciato la chiusura definitiva della miniera, gli studiosi hanno deciso che la grotta finirà di nuovo sott'acqua. Così la Cueva de los Cristales sta per tornare nel suo ambiente naturale, e la finestra che per una quindicina di anni ci ha permesso di ammirarne la straordinaria bellezza sta per chiudersi, forse definitivamente.

462 - COL PESCE PALLA IL DELFINO SBALLA




Sembra impossibile ma…
Ai delfini non piace solo giocare, saltare sulle onde, esibirsi in acrobatiche evoluzioni: all’occorrenza sembra che se la godano un sacco a sniffarsi un pesce palla. Perché? Così, per tirarsi un po’ su.

Ebbene sì, fra le tante virtù “umane” che ci rendono simpatico il mammifero marino e che hanno fatto nascere storie e leggende sulla sua intelligenza, c’è anche un vizio: i delfini si drogano. La scoperta (segnalatami da Valentina Donzella che ringrazio) è di un gruppo di ricercatori inglesi. Durante la lavorazione di un documentario della Bbc, “Dolphins: Spy in the Pod” hanno filmato i delfini che si passano delicatamente un pesce palla come fosse uno spinello, aspirano l’aria che contiene e sembrano godersela un mondo.

Il pesce palla è notoriamente velenoso, produce una potente neurotossina che usa per difendersi dai predatori dopo essersi gonfiato d’aria. In piccole quantità (verrebbe da dire modiche) il veleno non è letale, ma diventa un potente narcotico, presente nell’aria contenuta nel pesce. E’ questa che, una volta inalata sembra dare ai delfini una sensazione di benessere, visto che anziché mangiarsi la preda, come farebbero con qualunque altro pesce, continuano a passarsela l'un l'altro pressandola col muso in modo da farle rilasciare il gas narcotico nell’acqua. Il gioco prosegue anche per una mezz’ora, poi i partecipanti lasciano libero il pesce palla e si abbandonano “stonati” a galleggiare senza controllo sotto il pelo dell’acqua in una sorta di trance psichedelica.

Impossibile che gli animali si droghino? Certo. A parte le capre che raschiano dalle rocce licheni psicoattivi, i gatti che non resistono al richiamo afrodisiaco dell’erba gatta e si eccitano con la valeriana, il pettirosso che va in overdose di bacche di agrifoglio e si schianta a terra, i babbuini che mangiano bacche rosse euforizzanti, scimmie, passeri e pipistrelli che si ubriacano intenzionalmente con la frutta fermentata, i lemuri che addentano e si strofinano addosso millepiedi tossici, gli orsi ghiotti di funghi allucinogeni come l’amanita muscaria, gli elefanti e le alci che vanno pazzi per le sostanze alcoliche, i cani australiani che finiscono dal veterinario leccando i rospi delle canne che secernono bufotossina…


461 - LA NAVE PIU' PAZZA DEL MONDO




Sembra impossibile ma…
Questa è una storia vera. Si svolge fra il 1943 e il 1945, ma la Marina Militare Americana l’ha tenuta segreta fino al 1958.

Il cacciatorpediniere USS William D. Porter (DD-579) detto “Willie Dee“ entra in servizio l’8 luglio 1943. Nonostante l’equipaggio, 125 marinai agli ordini del comandante Wilfred Walter, sia composto in larghissima parte da reclute alla prima esperienza in mare, la prima missione è segreta e molto importante: far parte del convoglio che scorta il presidente Roosevelt nell’Atlantico infestato dagli U-boat nazisti fino al Nord Africa per una conferenza con Stalin e Churchill. Il presidente col Segretario di Stato e le massime cariche politiche e militari, è a bordo della corazzata Iowa.

La Willie Dee parte col piede giusto: a Norfolk non completa la manovra per levare l’ancora, che sbatte impazzita sulla nave di fianco e ne demolisce mezza fiancata, oltre a causare danni consistenti al molo. Il comandante Walter si scusa imbarazzato via radio, e si affretta a raggiungere il convoglio. Il primo degli 8 giorni previsti per il viaggio, in una zona dove incrociano i sommergibili tedeschi, una forte esplosione rompe il silenzio. E’ allarme generale, con la quasi certezza di essere sotto attacco. Finché un messaggio radio di Walter “tranquillizza” tutti: “Scusate, una delle nostre bombe di profondità è accidentalmente caduta in acqua ed è esplosa, non ci sono danni”.

Poche ore dopo arriva una burrasca: un marinaio cade in mare. Le ricerche rallentano la navigazione. Non verrà più ritrovato. Indovinate da che nave è caduto? Passano poche ore e la Willie Dee chiama la Yowa via radio: in sala macchine c’è un’avaria, la nave deve rallentare. Il comandante, pesantemente redarguito, si scusa e promette di “migliorare la performance della nave“. A bordo il nervosismo è alle stelle.

Il giorno dopo al largo delle Bermuda il capitano della Iowa decide di mostrare a Roosevelt l’efficacia delle difese in caso si attacco, e avvia un’esercitazione che prevede il lancio di palloni sonda come bersagli dei cannoni, e una simulazione con i siluri. La Willie Dee segue a una certa distanza, ma Walter vuol dimostrare che il suo equipaggio non è poi così male. Spara a qualche pallone sonda, poi prepara un lancio di siluri, ovviamente disinnescati: fuori uno, fuori due, fuori tre… il rumore che segue è inconfondibile: no, il terzo siluro non era disinnescato, ed è partito. Il bersaglio, di default, è l’obiettivo più grosso nelle vicinanze, la Yowa: la Willie Dee ha appena sparato un siluro contro il presidente degli Stati Uniti.

Panico a bordo. Seguono 4 minuti di confusione totale: lanciare l’allarme? C’è il silenzio radio. I messaggi inviati da un marinaio terrorizzato sono incomprensibili. Il comandante alla fine decide di usare comunque la radio: “Siluro in acqua, virate a destra!”. La virata in extremis salva la Yowa, il siluro esplode a pochi metri senza fare danni. Pare che il presidente che l’ha visto arrivare gli abbia anche sparato contro con una pistola. Per la Willie Dee non ci sono scusanti, anzi il sospetto che a bordo ci sia più di un sabotatore è forte. La nave lascia il convoglio e sbarca alle Bermuda dove un plotone di marines scorta tutti in carcere. Seguono mesi di indagini e la conferma che tutto è stato causato solo da incompetenza. Il marinaio che ha rilasciato il siluro viene condannato a 14 anni di lavori forzati. Roosevelt lo grazierà.

La Willie Dee viene spedita in Alaska, dove non può far danni. All’ingresso di ogni porto trova gli equipaggi delle altri navi che la deridono al grido di “Non sparate, siamo repubblicani”. Tornata in servizio attivo, nella battaglia di Okinawa colpisce un aereo nemico che si inabissa e finisce per esplodere. Dove? proprio sotto la chiglia della nave, che cola a picco. Tutto l’equipaggio si salva. Una fine degna della Willie Dee: affondata da un aereo già abbattuto.
Guarda i video con la storia della Willie Dee.
 

 




460 - L'UOMO SEPOLTO SULLA LUNA




Sembra impossibile ma…
Se Neil Armstrong è stato il primo uomo a mettere piede sulla luna, Eugene Shoemaker è il primo e fino ad oggi unico uomo i cui resti non riposano sulla Terra ma sulla superficie lunare.

Shoemaker nasce a Los Angeles nel 1928, e diventa un geologo fra i più esperti in scienze planetarie. E’ noto per aver scoperto la Cometa Shoemaker-Levy 9 assieme alla moglie Carolyn e a David Levy, e molte altre comete. Negli anni sessanta lavora alle missioni del Programma Ranger sulla luna, e collabora all'allenamento degli astronauti americani. Selezionato per essere il primo scienziato a visitare la luna, sarà poi scartato a causa di problemi alle ghiandole surrenali. E questo diventa il più grande rimpianto della sua vita. Quando nel 1997 lo scienziato muore in un incidente d'auto in Australia, la moglie fa di tutto per far trasportare le ceneri su quel suolo che avrebbe dovuto calcare da vivo. La cosa non è semplice, nelle missioni spaziali ogni carico è calcolato al milligrammo. Ma Carolyn non si arrende ai primi cortesi e imbarazzati rifiuti, e alla fine convince gli amici della Nasa che quello è il modo migliore di onorare un uomo che ha dato tanto alla conquista americana dello spazio. Ma come fare? Basta rivolgersi a Celestis.

Celestis è un'azienda nata da pochi mesi. Lancia in orbita resti umani cremati per dargli una “sepoltura spaziale”. Di solito si rivolge a chi sta per effettuare lanci di missili, satelliti etc. ed acquista qualsiasi spazio residuo inviando le ceneri come carico aggiuntivo. Il primo volo ha portato con sei resti del creatore di Star Trek Gene Roddenberry, seguito fra gli altri vip dall'astronauta Gordon Cooper, dall’attore di Star Trek James Doohan (Mr. Scott) e da alcuni scienziati di nome. Tutti però destinati “solo” a orbitare intorno alla Terra. Non è facile trovare ospitalità sui veicoli spaziali, per cui quelli di Celestis sono assai stupiti quando ricevono la telefonata della Nasa che chiede aiuto per organizzare le esequie lunari di Shoemaker. Il servizio viene organizzato (gratis) ritagliando un piccolo spazio adeguato sul Lunar Prospector della Nasa in partenza per il polo sud lunare, che il 6 gennaio 1998 decolla con a bordo la capsula di policarbonato fornita da Celestis con le ceneri di Shoemaker. Il 31 luglio 1999 la sonda, terminata la missione principale, impatta volutamente con la superficie lunare, e le ceneri dello scienziato si confondono finalmente con la polvere lunare.

Celestis prosegue la sua attività, e i suoi programmi prevedono in tempi brevi trasporti senza ritorno nello spazio profondo e nuove sepolture lunari: Shoemaker non resterà solo ancora per molto.


459 - L'ISOLA FUORI DAL TEMPO




Sembra impossibile ma…
Nel terzo millennio sul pianeta globalizzato dal web c’è un’isola che resiste ad ogni contatto col mondo civilizzato: è un paradiso naturalistico, ma non la trovi sui depliant delle agenzie di viaggio. Non la puoi visitare: sono in pochi ad esservi sbarcati, molti meno quelli che lo hanno potuto raccontare. Ringrazio Cettina Negretti per la segnalazione, e vi porto con me a North Sentinel.

Siamo nel golfo del Bengala, arcipelago delle Andamane. L’isola, quasi un quadrato di 60 km², è circondata dalla barriera corallina e non ha attracchi naturali. A parte le scogliere e una stretta spiaggia, è ricoperta da una fitta foresta. La tribù dei sentinelesi la abita da 60.000 anni, e resiste da sempre a qualsiasi contatto col mondo esterno. Chiunque si avvicina alla costa, viene accolto da una pioggia di frecce. Difficile quantificare la popolazione: attualmente è stimata tra i 50 e i 500 individui. Anche il linguaggio è assai diverso da quello delle popolazioni vicine. Sappiamo solo che sono cacciatori e raccoglitori, vivono in capanne nella foresta e il loro livello di progresso è pari a quello di una tribù paleolitica.

Storicamente, l’impero Maratha aveva basi navali nelle Andamane, ma North Sentinel non è mai citata nei testi dell’epoca. Nel 1771 una nave inglese segnala "una moltitudine di luci" sull’isola; nel 1867 un funzionario britannico scende a terra scortato dalla polizia. Pochi mesi dopo il mercantile Ninive fa naufragio sulla barriera corallina, e i 106 sopravvissuti, poi salvati, sono costretti a difendersi dagli attacchi dei sentinelesi. Nel 1880 una spedizione scientifica sbarca sull'isola, cattura 6 abitanti (una coppia di anziani e 4 bambini) e li conduce a Port Blair. L'intero gruppo, privo di difese immunitarie, si ammala rapidamente, il vecchio e sua moglie muoiono; i 4 bambini sono riportati sull’isola.

Nei decenni successivi varie squadre esplorative tentano inutilmente di sbarcare portando doni. Nel 1974 è la volta di una troupe cinematografica con un fotografo del National Geographic, scortati da poliziotti armati. Il tempo di lasciare doni sulla spiaggia, poi una fuga rapida inseguiti da un intenso lancio di frecce, una delle quali colpisce ad una coscia il regista. Seguono una serie di attacchi con frecce e zagaglie contro crocieristi curiosi, sfortunati pescatori, imbarcazioni varie ed elicotteri. Unico contatto pacifico, nel 1991 con un antropologo indiano e il suo team, poi finalmente nel 2005 il governo locale dichiara l’intenzione di non interferire con lo stile di vita degli indigeni e proibisce la ricerca di ulteriori contatti con loro. Dopo lo tsunami del 2004, preoccupati per la sorte dei sentinelesi, un elicottero governativo sorvola l’isola. Lo accoglie un fitto lancio di frecce. Tutto bene, sono ancora vivi. Meno bene nel novembre 2018 va ad un missionario statunitense, John Allen Chau: tenta di sbarcare sull'isola per convertire la popolazione al cristianesimo, ma gli indigeni lo uccidono appena appena messo piede sull'isola. La polizia arresta sette persone che hanno aiutato Chau a raggiungere North Sentinel.
 
 

 

 
 
 
 

458 - RISATE CONTAGIOSE





Sembra impossibile ma…
Fra le pagine dei libri di storia sono nascosti fenomeni che hanno coinvolto centinaia di persone che fino ad oggi non hanno avuto spiegazione. Come le “epidemie” impossibili. Oggi vi porto in Tanganica, l’attuale Tanzania.

E’ il 30 gennaio 1962, in una scuola gestita da missionari vicina al villaggio di Kashasha, sulla costa occidentale del lago Victoria. Durante una lezione, senza un motivo logico, tre ragazzine iniziano a ridere, e non riescono a fermarsi. L’attacco irrefrenabile di risa si trasmette come un contagio in tutta la scuola.

L’epidemia colpisce 95 dei 159 studenti di età compresa tra i 12 e i 18 anni. Gli insegnanti no, sembrano immuni. Gli attacchi si ripetono con continuità tre o quattro volte al giorno e durano da pochi minuti a molte ore, in alcuni casi oltre due settimane. I sintomi sono uguali per tutti, come le conseguenze: dolore, svenimenti, flatulenza, problemi respiratori, eruzioni cutanee, attacchi di pianto.

Il 18 marzo la scuola viene chiusa, ma le cose non migliorano, anzi. Il contagio si propaga in un’altra dozzina di scuole vicine e in diversi villaggi, e coinvolge solo giovanissimi, più frequentemente ragazze. L’epidemia di risate terminerà misteriosamente così come era iniziata 18 mesi dopo. Difficile dire quante persone ha colpito, sicuramente molte centinaia, forse migliaia.

Il fenomeno, studiato per anni, è stato classificato come isteria di massa. Più specificamente si è parlato di episodi indotti da stress in un quadro di MPI (Mass Psychogenic Illness) che ha colpito i ragazzi in quanto fasce più deboli. Una sorta di reazione a un’aspettativa sociale troppo elevata, nell’anno in cui il Tanganica ha ottenuto l’indipendenza. Una spiegazione razionale forse un po’ stiracchiata. Per chi si accontenta…


457 - IL SALVATAGGIO PERFETTO



Sembra impossibile ma…
Un’anziana signora che stava soffocando per un boccone andato di traverso è stata salvata grazie alla manovra di Heimlich. Poi il suo salvatore si è presentato: “Piacere, sono il professor Heimlich”. Un po’ come fare due chiacchiere sulla relatività con Einstein.

Henry Heimlich, il famoso chirurgo che nel 1974 elaborò e descrisse la manovra anti soffocamento, aveva 96 anni quando, mentre pranzava nella casa di riposo di Cincinnati dove ha trascorso gli ultimi anni di vita, ha visto che la signora del tavolo accanto non riusciva più a respirare a causa di un boccone andato di traverso. Il medico è subito intervenuto e ha messo in pratica la tecnica che aveva mostrato per decenni a migliaia di studenti: ha abbracciato da dietro la donna e ha fatto pressione sotto il diaframma. Subito un pezzo di carne è saltato fuori dalla sua bocca, e ha ripreso a respirare. L’ottantaseienne Patty Ris, che era in visita ad un’amica, ha detto: «Sarei sicuramente morta se lui non fosse intervenuto. È stato Dio a farmi sedere vicino a lui». La donna si è subito ripresa, non ha avuto effetti collaterali e il giorno dopo ha pranzato insieme al suo salvatore per festeggiare.

La manovra, che è semplice ed efficace e può essere praticata da tutti, è stata ideata nel 1974; in precedenza per salvare qualcuno dal soffocamento si cercava di dargli dei colpi sulla schiena. Il chirurgo americano dimostrò che in quel modo si rischiava spingere ancora più in basso l’oggetto che impediva di respirare.

Il salvataggio di Patty Ris è ancora più straordinario se si pensa che Heimlich ha dichiarato che questa era la prima volta che si trovava ad applicare la manovra di soccorso in situazione d’emergenza. «È stato molto gratificante – ha aggiunto – un momento memorabile. So che negli anni la mia manovra ha salvato molte vite e per anni ho fatto dimostrazioni per spiegare come farla, ma per la prima volta l’ho usata per salvare qualcuno seduto vicino a me. E ho avuto la conferma che qualcosa di buono nella mia vita l’ho fatto».




456 - TUTTI I FIGLI DI MARION




Sembra impossibile ma…
Questa è una storia vera. Marion van Binsbergen nasce nel 1920 ad Amsterdam, il padre Jacob è un giudice liberale che la educa alla tolleranza e all’antirazzismo negli anni in cui l’ombra del nazismo si allunga sull’Europa. Nel maggio 1940 i tedeschi occupano i Paesi Bassi; pochi mesi dopo la ragazza viene arrestata per aver violato il coprifuoco con degli amici. Alcuni di questi a sua insaputa avevano trascritto messaggi della BBC. Torturata a lungo, Marion resta in carcere per 7 mesi. Nella primavera del 1942 la donna è testimone di una violenta retata di bambini ebrei. “Rimasi scioccata e in lacrime - scriverà - e capii che il mio impegno per salvarli era più importante di qualsiasi altra cosa potessi fare”.

Così inizia a collaborare con la Resistenza olandese. Porta cibo e vestiti a chi si nasconde dai nazisti, falsifica documenti e tessere per le razioni e li fornisce ai fuggitivi insieme a beni di prima necessità. Ma la sua specialità è quella che in gergo chiamano la "missione della disgrazia": si ​​dichiara falsamente madre non sposata di un bambino per nasconderne l'identità ebraica, e lo registra come figlio proprio, nascondendolo poi in case di non ebrei. Un trucco che ripeterà decine di volte. Alla fine saranno più di 150 gli ebrei salvati direttamente da Marion, la maggior parte bambini.

Per tre anni poi nasconde la famiglia di Fred Polak, famoso filosofo di religione ebraica, negli alloggi del personale della villa di un amico a Huizen. I Polak nel tempo si erano allenati a scivolare sotto le assi del pavimento in 17 secondi, e per impedire al bambino di piangere gli davano dei sonniferi. Nel 1944 l’ennesima ispezione dei nazisti guidati da un olandese non dà risultati; quest’ultimo però è solito tornare mezz’ora dopo nei luoghi visitati. Anche quella volta, come spesso accadeva, i rifugiati sono usciti dai nascondigli. A Marion non rimane che sparare al collaborazionista. Il suo cadavere, nascosto in una bara che conteneva già un’altra salma, non sarà mai scoperto, e l’intera famiglia Polak si salverà.

Finita la guerra, Marion lavora nei campi per sfollati dell’Onu, poi si sposa con l’americano Tony Pritchard e si trasferìsce nello stato di New York, dove si laurea ed esercita la professione di psicoanalista e assistente sociale per bambini. Nel 1981 riceve l’onorificenza di “Giusto tra le nazioni”. Muore l’11 dicembre 2016 a 96 anni.
Guarda i video con la storia di Marion e la sua testimonianza integrale per l'Archivio della Shoah.




455 - LE FOTO PROIBITE DELLA TORRE EIFFEL




Sembra impossibile ma…
Fotografare la Torre Eiffel di notte è proibito. L’amico mentalista Graham Kite mi segnala una curiosità davvero ai confini della realtà in un mondo fatto di foto e di selfie ovunque e ad ogni ora. Fateci caso: foto e filmati notturni della celebre architettura parigina sono rari, nei siti di stock fotografici online poi non si trovano proprio.

Il motivo? La Torre Eiffel è protetta da copyright. Le cose stanno così: in generale la legge sul copyright nell'Unione Europea tutela un'opera artistica (non importa se una foto, un video, una canzone o un monumento) per tutta la vita del suo creatore, e per altri 70 anni dopo la sua morte. Questo vale per tutti gli edifici artistici del mondo? No. Quasi tutti i Paesi infatti applicano una deroga per tutelare la "libertà di panorama", che permette di includere edifici protetti da copyright nelle foto panoramiche. L’Unione Europea però consente ai Paesi che lo desiderano di rinunciare a questa deroga, ed è proprio ciò che ha fatto la Francia.

I titolari del copyright e il creatore per la Torre Eiffel però morirono nel 1923, così dal 1993 l'immagine della Torre Eiffel è diventata di pubblico dominio. Questo è il motivo per cui ad esempio il Paris Hotel e Casinò di Las Vegas con la sua Torre Eiffel, sono stati completati nel 1999. E allora? Il problema sono le luci che la ricoprono e la disegnano nel cielo notturno di Parigi: installate nel 1985, sono considerate un lavoro artistico, quindi sono protette dal copyright.

Ora, non si sa se qualcuno è mai stato multato per uno scatto notturno alla Torre Eiffel, ma il primo flic che si sveglia male (e i parigini non sono famosi per gentilezza e disponibilità) potrebbe decidere di applicare la legge. E poi non è illegale solo scattare la foto, ma anche condividerla, ad esempio sui social: per pubblicare una Tour Eiffel la nuit, serve il permesso dalla Société d'Exploitation de la Tour Eiffel. Io, nel dubbio, ho scelto un tramonto.
 
 

 
 

 

454 - IL PITTORE ABBANDONATO




Sembra impossibile ma…
Quasi 200 anni fa a Tristan de Cunha un pittore inglese visse una disavventura tanto assurda da sfiorare il comico. Ma prima di raccontarvela, facciamo un salto sull’isola più remota del mondo.

Tristan da Cunha è un’isola vulcanica nell’Atlantico meridionale, il luogo abitato più vicino, a 2172 chilometri, è l’isola di Sant’Elena, dove Napoleone finì i suoi giorni. La città più vicina è Città del Capo, a 2810 chilometri. L’isola è ancora oggi l’insediamento umano più remoto al mondo: non ha un vero porto né un aeroporto. Si raggiunge solo in nave con sei giorni di navigazione, e nel corso dell’anno ci sono solo 10 date per andare o tornare. Gli abitanti sono 300, contadini e pescatori di aragoste. Nel 1961 ll vulcano eruttò e gli abitanti furono trasferiti in Inghilterra. Il tempo di ricostruire le case, e sono tornati tutti.

Questo è il presente. Adesso andiamo nel 1824. E’ il 17 febbraio quando Augustus Earle, pittore viaggiatore entra nella rada di Tristan a bordo della “Duke of Gloucester”, scampata a una furiosa tempesta. Mentre la nave ripara i danni, Earle scende a terra col suo cane e il marinaio Thomas Gooch. E’ entusiasta come un bambino, inizia subito a dipingere. Tre giorni dopo, mentre ritrae la nave in rada, la vede allontanarsi finché diventa un puntino all’orizzonte. Il capitano ha dato l’ordine di salpare. Ha mollato lì Earle con cane e marinaio. Motivo? Non si sa. Il sospetto è che abbia deciso di liberarsi di un rompiballe da competizione. A far compagnia a Earle e Gooch sull’isola ci sono 6 abitanti. I due restano a Tristan fino al 29 novembre, poi una nave li recupera. Il pittore porterà con se 16 opere, che oggi sono i soggetti di preziosi francobolli dell’isola. In una di queste è su uno scoglio col suo cane, i due osservano il mare, tristissimi. Titolo: “Solitudine”. Torneremo a Tristan de Cuhna per raccontare altre avventure impossibili di marinai liguri e di pirati livornesi. Ma questa è un’altra storia… 

 

453 - IL PRIMO PAPARAZZO




Sembra impossibile ma…
Uno scienziato norvegese è stato il primo paparazzo della storia. Carl Størmer nasce a Skien nel 1874. Matematico, fisico e astronomo di fama mondiale, verrà ricordato per la teoria dei numeri che porta il suo nome e per gli studi sulle aurore boreali. Un personaggio eclettico che fra le sue passioni coltiva anche quella per la fotografia. E in pratica inventa un genere che qualche decennio dopo avrà grande successo.

A 19 anni studia matematica alla Royal Frederick University, e gran parte del tempo libero lo dedica al suo nuovo hobby. L’anno è il 1893, la fotografia non è già più una novità, e parecchi di quelli che in futuro saranno considerati pionieri e maestri della giovane arte sono all’opera. Ma Størmer, apprese le basi tecniche, fa qualcosa di inconcepibile per l’epoca. Va in giro per le strade del centro di Oslo con una macchina fotografica nascosta e ruba scatti a passanti ignari, persone comuni che non sanno di essere immortalate in ritratti che i posteri ammireranno molti decenni dopo. Una rivoluzione, se si pensa alle lunghe e rigorose pose che dominano la fotografia di quegli anni.

"Avevo una scatola rotonda e piatta nascosta sotto il gilet – racconterà lo scienziato - con la lente che spuntava attraverso un'asola. Sotto i vestiti avevo una corda infilata in un buco nella tasca dei miei pantaloni, e quando tiravo la corda la fotocamera scattava una foto. Passeggiavo per Carl Johan, cercavo una vittima, appena ricevevo un sorriso gentile scattavo a ripetizione, sei immagini alla volta. Poi tornavo a casa per cambiare il piatto".

In totale Størmer collezionerà oltre 500 immagini segrete. Foto assai diverse da quelle che si scattavano in quegli anni, dove i soggetti hanno sorrisi ed espressioni naturali tanto insolite da risultare moderne e colpire anche gli osservatori di oggi. Non perdetevi la galleria fotografica nei video e nel link che segue.
 

 

 

 


452 - I FANTASMI DI TAU TONA


 

Sembra impossibile ma…

C’è una miniera in Sudafrica dove i minatori lavorano a quasi 4 chilometri di profondità nel luogo più profondo raggiunto dall’uomo sulla Terra. Qui nell’oscurità c’è una città sotterranea dove vivono in condizioni durissime 5600 lavoratori. E migliaia di fantasmi.

Si chiama TauTona ("grande leone"), vicino a Carletonville, produce 15 tonnellate d’oro all'anno, è proprietà di AngloGold Ashanti ed è attiva dal 1962. Un posto pericoloso dove lavorare: qui ogni anno solo per incidenti muoiono in media 5 minatori.

Con i suoi 3,9 chilometri di profondità è la miniera più profonda del mondo. Ha 800 chilometri di gallerie che si raggiungono scendendo chiusi in gabbie a tre piani che trasportano 120 persone alla volta a una velocità di 16 metri al secondo. Fra ascensori e carrelli orizzontali il viaggio dalla superficie ai luoghi di lavoro richiede più di un'ora.

Qui le rocce raggiungono i 65 gradi e l’aria arriva a 55. Un impianto di condizionamento abbassa temperature che sarebbero mortali. Raffredda la miniera da 55 a 28 gradi grazie a una poltiglia di ghiaccio e sale pompata giù dalla superficie con enormi ventilatori che soffiano aria sul ghiaccio. Nonostante questo, chi c’è stato dice che "È come strisciare in un forno per la pizza”.

Nelle gallerie lavorano ufficialmente 5.600 persone. E sono quelli che stanno meglio. Poi ci sono i minatori fantasma: il 10% dell'oro infatti viene rubato da minatori illegali supportati da una complessa rete criminale. Dopo essersi introdotti furtivamente nella miniera, ci vivono per mesi senza riemergere. Lì di nascosto lavorano, dormono, mangiano, e ricevono persino prostitute. C'è una vera economia sotterranea che coinvolge i minatori legali. Che li riforniscono ad esempio di cibo facendolo pagare 12 volte il prezzo normale. La mancanza di luce solare li rende simili a spettri. I fantasmi di Tau Tona, a due passi dall’inferno.








451 - TSUNAMI DI BIRRA




Sembra impossibile ma…
Un’ondata alta più di 5 metri si è abbattuta su uno dei quartieri più centrali di Londra distruggendo ogni cosa al suo passaggio e causando la morte di almeno 9 persone. Ma la tragedia non è conseguenza del maltempo o di un maremoto, e non ne sentirete parlare nei notiziari. Anche perché sono passati più di 200 anni da quando lo tsunami ha sconvolto Tottenham Court Road e l’intero distretto di St. Gilles in the Fields. Uno tsunami di birra.

17 ottobre 1814, alle 16,30 un impiegato del birrificio Meux and Company nota che un cerchio metallico di un grande tino di maturazione in legno di oltre 500 metricubi alto 7 metri e contenente 610.000 litri di birra porter si sta allentando. Il principale gli dice che non è la prima volta, non ci sono pericoli. E rinvia la riparazione. Alle 18 il cerchio cede e la botte esplode e fa collassare altre cisterne di birra, fra cui una da 400 metricubi.

Un'onda liquida di 1500 metricubi si abbatte sulla zona circostante e riversa in New street e George street un milione e mezzo di litri di birra. Siamo nella parte povera di St. Giles, la più densamente abitata. I piccoli edifici nei quali vivono ammassate migliaia di famiglie si allagano, l'ondata distrugge un muro in mattoni alto 7 metri e rade al suolo diverse case e un pub, il Tavistock Arms.

I morti accertati saranno 8: la giovane impiegata del pub, madre e figlia intente a prendere il tè nel loro appartamento, e 5 persone (fra cui due bambini) riunite con un’altra trentina per una veglia funebre. Una nona persona morirà qualche giorno dopo per intossicazione alcolica. Salvi per miracolo tre lavoratori della birreria e un pollivendolo con la sua famiglia travolti e trascinati dall’ondata.

Il birrificio Meux, citato in giudizio, se la cava: il giudice archivia il caso come “Act of God”, cioè imprevedibile. Anzi, lo Stato gli condona i debiti e lo salva dalla chiusura. Sarà demolito nel 1922. Oggi lì sorge il Dominion Theatre. E ogni anno il 16 ottobre un pub del luogo commemora il London beer flood.
Guarda i video sullo tsunami di birra e sulle inondazioni non causate da acqua.





760 - DIETRO IL PADRINO

    Un'offerta che non si può rifiutare. A trovarsela davanti è stato Francis Ford Coppola al momento di iniziare a girare I...