Sembra
impossibile ma...
Questa
è una storia vera. Nasce nel gruppo di “Sembra impossibile ma”
grazie alla dottoressa Elisabetta Ranghino, psicologa che nel gruppo
tiene la rubrica “Storie di psicologia”.
Anno
1995. Internet è agli albori, i computer connessi sono meno di 10
milioni in tutto il mondo e viene pubblicata la primissima versione
di Internet Explorer; mentre in Europa i siti web si contano sulle
dita di una mano, negli Stati Uniti l'uso è più diffuso, specie in
aziende e uffici. E qui si presenta uno dei primi problemi: il tempo
che gli impiegati perdono giocando in maniera sempre più ossessiva a
Solitario o a Campo minato virtuali. Così Ivan Goldberg, importante
psichiatra newyorchese, diffonde online un questionario per la
diagnosi di quello che chiama IAD (Internet addiction disorder, in
italiano disturbo da dipendenza da Internet). Il test elenca 7
sintomi e ipotizza che lo IAD possa essere diagnosticato alla
comparsa di almeno tre di essi nell’arco di un anno. I 7 sintomi
ricalcano quelli in uso per le dipendenze da alcolici e stupefacenti,
come perdita di interesse verso attività diverse da Internet,
impossibilità di limitarne o controllarne l’uso, bisogno di
trascorrervi quantità di tempo sempre maggiori, sviluppo in caso di
impossibilità di connettersi delle crisi d’astinenza tipiche delle
droghe con sintomi come agitazione, nausea, cefalea, tremore, ansia e
movimenti involontari. E' come aver acceso una miccia: Goldberg viene
subito contattato da moltissimi psichiatri e psicologi: i loro
pazienti soffrono per l'uso eccessivo di internet, e loro non sanno
come curarli. Il documento di Goldberg è una rivelazione, e lo
psichiatra rischia di diventare un guru in materia.
Il
primo ad essere a dir poco sorpreso dalla reazione è lo stesso
Goldberg. Che come prima cosa riprende in mano il suo studio e si
affretta a cancellare la parola “dipendenza”, ridefinendo lo IAD
“Disturbo da uso patologico di Internet”. Ma perché tanto
stupore da parte dello psichiatra newyorchese? Semplice, il suo era
tutto uno scherzo, una boutade estemporanea nata con intento
provocatorio, ironico, goliardico. In realtà lui delle nascenti
problematiche legate all’uso di Internet non ne sa niente, non ha
svolto ricerche in merito, il disturbo da lui teorizzato se lo è
completamente inventato e non ha alcun fondamento scientifico.
Bisognerà
aspettare gli studi della professoressa Kimberly Young sui risvolti
psicologici della tecnologia, di poco successivi, che porteranno alla
nascita del primo centro clinico per la cura dei disturbi
psicopatologici correlati all’uso di Internet, per avere le linee
guida per la prevenzione e il trattamento della dipendenza da
Internet. Eppure ancora oggi online non mancano i riferimenti a
Goldberg (scomparso nel 2013) come padre e pioniere dello studio e
della cura di un disturbo che, stando alle più recenti stime Istat, riguarda
solo in Italia 300.000 giovani tra i 12 e i 25 anni.
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