mercoledì 22 aprile 2020

471 - PIONIERE PER CASO




Sembra impossibile ma...
Questa è una storia vera. Nasce nel gruppo di “Sembra impossibile ma” grazie alla dottoressa Elisabetta Ranghino, psicologa che nel gruppo tiene la rubrica “Storie di psicologia”.

Anno 1995. Internet è agli albori, i computer connessi sono meno di 10 milioni in tutto il mondo e viene pubblicata la primissima versione di Internet Explorer; mentre in Europa i siti web si contano sulle dita di una mano, negli Stati Uniti l'uso è più diffuso, specie in aziende e uffici. E qui si presenta uno dei primi problemi: il tempo che gli impiegati perdono giocando in maniera sempre più ossessiva a Solitario o a Campo minato virtuali. Così Ivan Goldberg, importante psichiatra newyorchese, diffonde online un questionario per la diagnosi di quello che chiama IAD (Internet addiction disorder, in italiano disturbo da dipendenza da Internet). Il test elenca 7 sintomi e ipotizza che lo IAD possa essere diagnosticato alla comparsa di almeno tre di essi nell’arco di un anno. I 7 sintomi ricalcano quelli in uso per le dipendenze da alcolici e stupefacenti, come perdita di interesse verso attività diverse da Internet, impossibilità di limitarne o controllarne l’uso, bisogno di trascorrervi quantità di tempo sempre maggiori, sviluppo in caso di impossibilità di connettersi delle crisi d’astinenza tipiche delle droghe con sintomi come agitazione, nausea, cefalea, tremore, ansia e movimenti involontari. E' come aver acceso una miccia: Goldberg viene subito contattato da moltissimi psichiatri e psicologi: i loro pazienti soffrono per l'uso eccessivo di internet, e loro non sanno come curarli. Il documento di Goldberg è una rivelazione, e lo psichiatra rischia di diventare un guru in materia.

Il primo ad essere a dir poco sorpreso dalla reazione è lo stesso Goldberg. Che come prima cosa riprende in mano il suo studio e si affretta a cancellare la parola “dipendenza”, ridefinendo lo IAD “Disturbo da uso patologico di Internet”. Ma perché tanto stupore da parte dello psichiatra newyorchese? Semplice, il suo era tutto uno scherzo, una boutade estemporanea nata con intento provocatorio, ironico, goliardico. In realtà lui delle nascenti problematiche legate all’uso di Internet non ne sa niente, non ha svolto ricerche in merito, il disturbo da lui teorizzato se lo è completamente inventato e non ha alcun fondamento scientifico.

Bisognerà aspettare gli studi della professoressa Kimberly Young sui risvolti psicologici della tecnologia, di poco successivi, che porteranno alla nascita del primo centro clinico per la cura dei disturbi psicopatologici correlati all’uso di Internet, per avere le linee guida per la prevenzione e il trattamento della dipendenza da Internet. Eppure ancora oggi online non mancano i riferimenti a Goldberg (scomparso nel 2013) come padre e pioniere dello studio e della cura di un disturbo che, stando alle più recenti stime Istat, riguarda solo in Italia 300.000 giovani tra i 12 e i 25 anni.

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