sabato 7 novembre 2020

739 - PROFESSIONE EROE

 


Sembra impossibile ma...

Questa è una storia vera. Me la segnala l'amico Gei Gi, che ringrazio. Il protagonista è un atleta fenomenale, 17 volte campione del mondo di nuoto. La sua vittoria più bella non è però un'impresa sportiva, ma un'incredibile gara contro il tempo nella quale ha letteralmente strappato 20 persone dalle gelide braccia della morte.

Shavarsh Karapetyan nasce nel 1953 a Vanadzor, in Armenia. A 17 anni è una promessa del nuoto, entra nella squadra nazionale ma dopo pochi mesi viene scartato. Per lui è un duro colpo, ma non si arrende: punta sul nuoto pinnato e inizia subito a frantumare record. Nel giro di 4 anni vince 13 titoli europei, 17 mondiali e stabilisce 11 primati mondiali. Il 16 settembre del 1976 si sta allenando sul lungolago di Yerevan; sta per completare i 20 chilometri quotidiani di jogging quando accade l'incidente: un autobus esce di strada e precipita nel lago dal muro di una diga. E' lo stesso Shavarsh a raccontare ciò che accade dopo.

Eravamo a 25 metri di distanza, polvere e nebbia oscuravano l'aria. Con mio fratello Kamo ci siamo precipitati in acqua, in poche bracciate ho raggiunto il punto in cui avevo visto affondare il pullman. Era a una profondità di 10 metri, ma la visibilità era pressoché nulla a causa del fango che saliva dal fondo. Ho detto a Kamo di restare in superficie, mi sono immerso, ho rotto il finestrino posteriore con le gambe. Conoscevo i miei limiti, quanto potevo trattenere il respiro, e sapevo quanto tempo sopravvivono le persone prima di annegare. Sapevo anche di non poter aiutare tutti, e che ogni istante poteva significare una vita”.

Così il nuotatore inizia un drammatico viavai: scende a 10 metri, tira fuori un passeggero, risale, lo affida al fratello, prende fiato e torna giù. I membri di una squadra di canottaggio portano le persone salvate a riva. “Nel pullman non vedevo niente: il momento peggiore è stato quando sono riemerso e invece di un uomo mi sono trovato fra le braccia un sedile dell'autobus in pelle: un errore che costava una vita, e un incubo che mi avrebbe tormentato negli anni successivi. Sono andato avanti finché mi sono reso conto che non aveva più senso: tutti i passeggeri rimasti a bordo erano morti. Ero esausto, non ce la facevo a raggiungere la riva, mi ha aiutato mio fratello”. Dei 92 passeggeri sul pullman 46 sono morti e 46 si sono salvati. Di questi, 20 li ha tirati fuori, uno per uno, Shavarsh.

Che viene portato in ospedale. Ci resterà 45 giorni: i più di 20 minuti passati nell'acqua gelida gli causano una polmonite bilaterale, ci sono poi le numerose ferite per i frammenti di vetro, e una grave infezione del sangue provocata dalle acque inquinate. Quando esce, torna ad allenarsi, ma il suo fisico non è più lo stesso. Prima di ritirarsi però vuole un'ultima vittoria. Seguono mesi durissimi, in cui non fa che nuotare; e nel 1978 vince dopo un'incredibile rimonta la Coppa dell'URSS. “Ce l'avevo fatta, ma era giunto il momento per me di lasciare lo sport, il mio corpo non ne poteva più".

Così si trova un lavoro in una fabbrica. Fra l'altro nessuno sa niente del suo atto eroico: le autorità sovietiche hanno fatto cadere il silenzio sulla tragedia, solo i parenti delle vittime e i testimoni oculari sanno che è avvenuta, e tutte le foto, secretate, sono conservate dal procuratore distrettuale. Saranno pubblicate solo nel 1982, quando finalmente un articolo racconterà l'impresa. Nei mesi successivi l'eroe riceverà 70.000 lettere, e una dopo l'altra le persone salvate busseranno alla sua porta per ringraziarlo. In seguito riceverà la Medaglia al Coraggio, il Distintivo d'Onore e il premio "Fair Play" dell'Unesco. Shavarsh oggi ha 67 anni, vive a Mosca dove ha fondato un'azienda di scarpe (la "Second Breath"), è sposato con Nelly Sahakyan, un'economista, e i due hanno tre figli: Lusine, Zaruhi e Tigran, che è una promessa del nuoto.

Ah dimenticavo: torniamo al 1985, a Yerevan. Il 19 febbraio la Soviet Armenian Sports Hall prende fuoco. Indovinate chi passa da quelle parti? Shavarsh, che, afferrata una manichetta antincendio, si getta fra le fiamme e inizia a tirar fuori persone una dopo l'altra finché, soffocato dal fumo, sviene. Lo soccorrono i vigili del fuoco, semiasfissiato e con gravi ustioni. Seguono diversi mesi di ospedale. “Lo so, ho corso un grosso rischio, ma non potevo stare a guardare. Senza amore per gli altri, la vita non ha senso”.

 


 


 


 

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