mercoledì 30 settembre 2020

736 - ONESIMUS


 

Sembra impossibile ma...

Forse definirlo “il padre dei vaccini” è eccessivo, ma certo il suo contributo per la scoperta è stato determinante. E' Elisabetta Ranghino, che ringrazio, a segnalarmi la storia di Onesimus, schiavo africano deportato in America ai primi del 700. Il nome di Onesimus compare per la prima volta nel 1706, nel documento con cui lo schiavo viene regalato ad un personaggio illustre, Cotton Mather, ministro puritano fra i più attivi in Massachussets nei processi alle streghe. Nei suoi scritti Mather dice che è di etnia "Guaramantee" (i Coromantee Akan del Ghana?), è “infido e svogliato”, e lo sorveglia perché teme che lo derubi. Siccome però ritiene suo compito convertire gli schiavi al cristianesimo e istruirli, e visto che è assai più brillante dei suoi coetanei, lo fa studiare e in seguito gli dà anche un salario.

Nel 1721 a Boston scoppia una terribile epidemia di vaiolo. Il 30% dei contagiati muore, gli altri restano deturpati da cicatrici causate dalle vaste eruzioni cutanee. Onesimus dice al suo padrone che lui non ha paura del vaiolo. Lo protegge un'antica pratica africana. Mather, incuriosito, ne parla con un suo amico, il dottor Boylston, poi scrive una lettera alla Royal Society of London: “Il mio negro Onesimus, un tipo intelligente – spiega - mi disse che aveva subito un'operazione che gli aveva dato qualcosa del vaiolo, e lo avrebbe preservato per sempre da esso; e chiunque avesse il coraggio di farla, sarebbe per sempre libero dalla paura del contagio. Mi ha descritto l'operazione e mi ha mostrato nel suo braccio la cicatrice”.

L'antica pratica consiste nello sfregare gocce di pus di una persona infetta in una piccola ferita praticata sul braccio di una sana. Non proprio una vaccinazione, ma quanto basta per attivare la risposta immunitaria del ricevente. Boylston, convinto delle potenzialità di quella che chiama “inoculazione” comincia a sperimentare. E lo fa col figlio di 6 anni e con 2 dei suoi schiavi. Quando i bostoniani (intanto la metà di loro ha contratto l'infezione) iniziano a rivolgersi a Mather e Boylston, esplode la polemica. I giornali li attaccano e li ridicolizzano, i medici sostengono che l'inoculazione diffonderà la malattia, i religiosi che è immorale interferire con la volontà della divina provvidenza. E in tanti pensano che sia uno stratagemma degli schiavi neri per avvelenare i padroni bianchi. Viene anche lanciato un ordigno esplosivo attraverso la finestra di casa Mather.

Di lì a poco, i denigratori si dovranno ricredere: delle 242 persone inoculate, solo 6 muoiono, una su 40; i decessi fra chi non ha subito la procedura sono invece quasi uno su 3. Solo nel 1796 la tecnica di inoculazione sarà sostituita da un vero vaccino, realizzato da Edward Jenner sviluppando principi analoghi ma utilizzando il vaiolo bovino per provocare l'immunità contro la malattia. Di Onesimus a quel punto si è perso il ricordo; gli scritti del suo padrone ci dicono che si è sposato, ha avuto due figli ma sono morti tutti e due ancora bambini. Mather a quel punto ha fatto di tutto per farlo convertire, ma inutilmente; deluso per l'inutilità dei suoi sforzi ha poi deciso di non tenerlo più in casa. Così l'ha liberato, ma in cambio ha preteso da lui i soldi per acquistare un altro schiavo, la restituzione di altre 5 sterline frutto di un presunto furto, e l'impegno di lavorare per lui qualora ne avesse bisogno.

Nel 2016 il Boston Magazine Survey ha inserito Onesimus fra i "Migliori bostoniani di tutti i tempi". Nel 1980 l'Oms ha sancito ufficialmente la scomparsa del vaiolo (unica malattia infettiva ad esser stata completamente eliminata) grazie alla diffusione in tutto il mondo delle pratiche di immunizzazione.

Guarda i video con la storia di Onesimus.






domenica 27 settembre 2020

735 - INES, LA SPOSA CADAVERE

 


Sembra impossibile ma...

Questa è una storia vera. Una storia d'amore e di morte (segnalata da Antonella Freschi che ringrazio) che ha ispirato tragedie teatrali, balletti classici e trasposizioni operistiche. Protagonista Inés de Castro, che nasce a Comarca de La Limia, in Galizia, intorno al 1320. Figlia illegittima di Pedro Fernàndez de Castro, imparentato col re di Castiglia Sancho IV, cresce alla corte castigliana; nel 1339 è dama di compagnia della cugina Costanza Manuel di Castiglia; le due sono grandi amiche, e quando Costanza si sposa con l'erede al trono del Portogallo Don Pedro, figlio di Alfonso IV, chiede che Inés la accompagni a Coimbra. Il matrimonio, di pura convenienza, serve a mantenere la pace fra le due famiglie reali. Che però non hanno fatto i conti con Cupido.

Inés e Pedro si incontrano, si guardano e si innamorano follemente. Il principe trascura la moglie, che non tarda a intuire la relazione; il matrimonio però “must go on”. Nel 1345 Costanza dà alla luce Ferdinando, l'erede al trono, ma le conseguenze del parto le sono fatali. Via libera per i due amanti? Macché. Don Pedro, dopo aver rifiutato varie pretendenti, pochi mesi dopo grida al mondo il suo amore per Inés. Ma il re Alfonso IV non vede di buon occhio quella parvenu che oltretutto porterebbe a corte una famiglia scomoda e potenzialmente pericolosa. Per cui mette il veto. Pedro non ci pensa neanche a lasciare Inés, e nel 1346 i due si sposano in gran segreto. Dalla loro unione nascono 3 figli; il principe stravede per loro, sani e forti, tutto il contrario di Ferdinando, l'erede al trono.

La cosa non piace a re Alfonso, che istigato da tre consiglieri, decreta l'esilio per la donna. Ma il principe giura che la seguirà ovunque. Per salvare le forme, trovano un accordo: tutta la famiglia andrà a vivere lontano dalla reggia, in una splendida residenza di campagna vicino al convento di Santa Chiara de Coimbra. I soliti tre consiglieri però lavorano ai fianchi il re, che il 7 gennaio del 1355 prende la sua decisione: i 4 con una guardia armata approfittando dell'assenza di Pedro bussano alla casa di Coimbra. Inés apre, e capisce tutto. Disperata, si getta ai piedi del suocero; piange e implora pietà per se e per i suoi figli. Da qui storia e leggenda si confondono. Il re si commuove e decide di andarsene, ma mentre si allontana i 3 nobili furiosi saltano addosso a Inés e la uccidono a coltellate. Il Chronicon Conimbricensi riporta invece che fu proprio Alfonso IV a dare l'ordine fatale.

Al ritorno Don Pedro incrocia nell'ordine i demoni dell'orrore, della rabbia e della vendetta. Arma un esercito e scatena una guerra civile contro il padre. Per due anni tra i fiumi Duero e Miño scorre il sangue, poi nel 1357 padre e figlio stipulano una tregua, che prevede anche che gli assassini di Inés siano perdonati. Il principe china la testa, ma pochi mesi dopo Alfonso IV muore. E il primo atto di Pedro I re del Portogallo è far catturare i tre nobili in fuga, e fargli strappare lentamente il cuore dal petto, così come loro avevano fatto con lui uccidendo la sua amata.

Nel 1360 il re rende ufficiale il suo matrimonio con Inés de Castro. Non importa se è morta, è sua moglie, ed è lei la regina del Portogallo. Così ne fa riesumare il corpo. L'incoronazione avviene in pubblico, con una fastosa cerimonia: il popolo sfila davanti al cadavere seduto sul trono e rende omaggio, il clero e la nobiltà baciano l'anello e le ossa delle sue mani. Al termine fa seppellire i resti di Inés in una tomba regale nel monastero di Alcobaça dove alla sua morte sarà seppellito lui stesso. Riposeranno vicini, piedi contro piedi, in modo che alzandosi allo squillo delle trombe della resurrezione, si troveranno l'uno di fronte all’altra.

Guarda i video con la storia di Inés de Castro e alcune scene del film “Pedro e Inés” del 2018.

 


 


 

lunedì 14 settembre 2020

734 - LA LEGIONE PERDUTA

 


Sembra impossibile ma...

C'è un villaggio cinese dove molti abitanti hanno tratti occidentali: potrebbero essere i discendenti della legione romana scomparsa misteriosamente nel 53 a.C. dopo la battaglia di Carre. Ringrazio Giorgio Brambilla per la segnalazione e vi porto a Zhelaizhai nel Gansu, l'antica città di Liqian, a 7.000 chilometri da Roma.

Zhelaizhai è un borgo isolato (la città più vicina è a più di 300 chilometri) ai confini del deserto di Gobi; da qui passava l'antica via della Seta. E' il 1955 quando Homer H. Dubs, professore di storia cinese dell'Università di Oxford, elabora una teoria che pubblicherà due anni dopo nel libro "Una città romana nell'antica Cina". Gli abitanti – sostiene – discendono dai 6.000 romani presi prigionieri dai Parti dopo la battaglia di Carre (Turchia orientale), nella quale le legioni di Marco Licinio Crasso furono distrutte. Plinio racconta che una di queste, guidata da Marco Crasso, primogenito del generale, finisce deportata nell'attuale Uzbekistan; ma quando 33 anni dopo Romani e Parti firmano la pace e si restituiscono i prigionieri, è svanita nel nulla. In Cina intanto le cronache dell'Impero Han riportano che quando nel 36 a.C. l'esercito Han distrugge quello del generale Jzh Jzh della dinastia Hun, prende prigionieri un consistente gruppo di “stranieri”. 150 di questi in battaglia avrebbero assunto un'insolita formazione “a scaglie di pesce”, che Dubs identifica con la testuggine romana. Questi militi, reclutati per difendere il Gansu, avrebbero poi fondato la città di Liqian.

L'ipotesi di Dubs fa discutere da subito e solleva molte critiche. La teoria non è confermata da fatti, sostengono i detrattori, e i tratti europei degli abitanti di Zhelaizhai non ne provano l'origine romana: la vicinanza della via della Seta infatti ha favorito i contatti con gente di diversa origine etnica, e lo stesso esercito romano da quel punto di vista era tutt'altro che omogeneo. Sulla formazione a testuggine poi, all'epoca in Asia venivano utilizzate in battaglia doppie palizzate in legno che potrebbero venir descritte come “a scaglie di pesce”. Nel frattempo però vanno avanti le ricerche: gli studiosi dell' università di Lanzhou sono i più convinti assertori dell'ipotesi che i romani fossero arrivati in Cina 13 secoli prima di Marco Polo, da quando una campagna di scavi ha riportato alla luce i resti di antiche fortificazioni la cui struttura ricorda l'assetto a cardo e decumano di quelle romane, così come il sistema di canalizzazione dell'acqua. Oggi collaborano con archeologi di casa nostra nel nuovo Centro di studi italiani dell'Università di Lanzhou. Infine una decina di anni fa un'equipe di genetisti venuti da Pechino ha esaminato il sangue di 2000 persone mai uscite dalla regione. Risultato, il 46% dei test ha rilevato legami genetici con gli europei.

E loro, gli abitanti, cosa ne pensano? Sono certi di discendere dagli antichi legionari. E mostrano con orgoglio i loro tratti caucasici: naso troppo grosso per essere cinese, a volte aquilino, occhi e capelli chiari (talvolta ricciuti), sopracciglia folte, statura alta. Cai Junnian, uno dei più europei (il 58% dei suoi geni sono occidentali) e Luo Ying che per tutti è “Luoma”, il romano, sono fra i più conosciuti, campano con le mance dei visitatori che si aggirano intorno a uno strano padiglione con colonne doriche costruito nel 1994, dove una targa ricorda che “Una legione romana ha fondato qui una città che si chiamava Liqian”. Già, da quando è finito sui giornali e in tv il villaggio è diventato famoso, e i turisti arrivano da tutto il Paese per vedere i cinesi con la faccia da romani.

Guarda i video e approfondisci la storia della legione perduta.

 


 


 


lunedì 7 settembre 2020

733 - FANTASMI SUL SET


 

Sembra impossibile ma...

Un omicidio irrisolto, una pellicola cult e un famoso scrittore di horror-thriller sono gli ingredienti di una vicenda (ringrazio Federica SoBasita Verardi e Rossella Giuliano per la segnalazione) che appassiona gli amanti di cinema e di misteri. I libri che raccontano gialli nati sui set di Hollywood non si contano. Vi racconto due storie, una ancora senza soluzione, l'altra rivelata di recente.

La “donna delle dune” è un classico “cold case”, un omicidio irrisolto di quasi mezzo secolo fa sul quale si torna ad indagare alla luce di nuovi elementi. 26 Luglio 1974, una tredicenne scopre tra le dune della spiaggia di Cape Cod (Massachusetts) il corpo mutilato di una donna. Fra i 20 e i 30 anni, capelli castani lunghi con una bandana che li raccoglie in una coda di cavallo, blue jeans; è morta da tre settimane dice il medico legale. Le mani sono state amputate, quindi niente impronte digitali. Nessuna denuncia di sparizione, nessuno la riconosce dall'identikit che ne ricostruisce il volto. Il caso resta insoluto. E nel 2014 finisce insieme a tanti altri in un libro. Che l'anno dopo è sul comodino di Joe Hill, scrittore di horror-thriller di una certa fama. Il nome non vi dice niente? Forse però conoscete quello di suo padre: Stephen King (certo, Hill è un nome d’arte).

Al cinema proiettano “Jaws” (Lo Squalo) di Steven Spielberg per festeggiare i 40 anni dall'uscita. Hill, che ama quel film, è in prima fila con i suoi tre figli. Al minuto 54 fa un salto sulla sedia. Quando torna a casa riguarda il dvd col fermo immagine. E rabbrividisce. Sì, la ragazza che appare in mezzo ai turisti all'imbarcadero somiglia all'identikit della “donna delle dune”: il volto, i capelli, la bandana blu, i jeans: tutto sembra coincidere. Ma dove è stato girato “Lo Squalo”? Proprio vicino alla spiaggia dove è stato ritrovato il corpo, e le riprese si sono svolte nel giugno del 1974, quando la vittima era sicuramente ancora viva. Lo scrittore ne parla con un amico dell’FBI. Poi trasforma l'accaduto in una delle sue “ghost stories” e la pubblica su Tumbir: “La Donna e lo Squalo” in breve diventa virale, e gli investigatori riaprono le indagini. La responsabile del casting del film è morta nel 2009, non esiste una lista delle comparse. Chiunque fosse presente sul set durante quelle riprese viene invitato a presentarsi. Nessuno si fa vedere. A oggi la “donna delle dune” non ha ancora un nome. La ragazza che compare nel film neanche. “Non sappiamo se sono la stessa persona – dice Joe Hill – ma se così non è, perché nessuna donna ha contattato la polizia per dire “Quella che vedete nella scena di Jaws sono io?”.

Per una storia senza soluzione, eccone un'altra risolta: il film è “Tre scapoli e un bebè” del 1987, di Leonard Nimoy. Nella scena in cui Ted Danson presenta alla madre la neonata Emily, sullo sfondo dietro una tenda compare quello che sembra un ragazzino che niente ha a che vedere con la trama, e pare fissare in modo inquietante i protagonisti. La scena finisce fra i “film flubs”, la raccolta di errori delle pellicole hollywoodiane. Ma chi è quel bambino? Dal mistero alla leggenda il passo è breve: c'era un fantasma sul set. Per alcuni il figlio suicida di uno dei membri dello staff, per altri un ragazzino morto nell'appartamento newyorchese usato come set. Solo una trentina d'anni dopo Tom Selleck, uno dei protagonisti (ricordate Magnum P.I.?) racconterà la verità al Tonight Show di Jimmy Fallon: il bimbo fantasma era in realtà una sagoma di cartone di Ted Danson, un manifesto pubblicitario di cibo per cani, rimasto lì per sbaglio. Perché non dirlo prima? Semplice: il film ha fatto un sacco di soldi grazie alle migliaia di persone che hanno continuato a noleggiarlo per vedere lo spettro.
Guarda i video con le immagini della “donna delle dune” in “Lo Squalo” e del “ragazzino fantasma” in “Tre scapoli e un bebè”. 

 


 


 

giovedì 3 settembre 2020

732 - IL DIO DELLA GUERRA

 


Sembra impossibile ma...

Questa è una storia vera. La storia di una discesa all'inferno che per molti versi ricorda quella del Kurtz di “Cuore di tenebra” (o se preferite di “Apocalypse now”). Il protagonista lo incontrai tanti anni fa, in una memorabile avventura disegnata da Hugo Pratt per il suo Corto Maltese. Ringrazio Lapo Bini per la segnalazione.

Barone Pazzo, o Nero, o Sanguinario: se Roman Nicolaus von Ungern-Sternberg si è meritato via via questi soprannomi, il motivo c'è. A lui sono serviti per costruire la sua leggenda, ma l'appellativo che più ha amato è un altro: Ungern Kahn. Nasce a Graz nel 1886 ma cresce a Tallinn nell'impero zarista da una famiglia di nobili tedeschi. Nel 1908 si laurea alla Scuola militare di San Pietroburgo; in Siberia, dove è assegnato, conosce la cultura nomade di mongoli e buriati e ne subisce il fascino. Scoppia la prima guerra mondiale, e va al fronte in Galizia, dove si segnala per coraggio e instabilità mentale. Nel 1917 dopo la rivoluzione di febbraio torna in Siberia con le milizie del governo provvisorio sotto il comando di Grigorij Semënov; arriva la rivoluzione d'ottobre e i due si schierano contro le odiate truppe Rosse bolsceviche, ma anziché supportare l'Armata Bianca dei controrivoluzionari decidono di mettersi in proprio. E si distinguono subito per le crudeli rappresaglie contro la popolazione locale filobolscevica e per i sanguinosi attacchi ai treni della transiberiana, non importa se Bianchi o Rossi. In realtà il piccolo esercito di Semënov e von Ungern-Sternberg è sostenuto dai giapponesi, che li riforniscono di armi e denaro e gli promettono un regno tutto loro: lo Stato cosacco filonipponico di Transbajkalia.

E' in questi anni che il barone si merita i suoi soprannomi: si fa temere dai nemici, e ancor di più dai suoi uomini che sopportano una disciplina ferrea e non reggono la fredda fissità del suo sguardo quando commina punizioni corporali per le minime disobbedienze. Orgogliosamente aristocratico, disprezza la gente del popolo e odia gli ebrei che nel 1918 scrive di voler sterminare; cosa che mette in pratica con tutti quelli che incontra, e sono tanti, in fuga verso oriente da guerre e rivoluzioni: li massacra crudelmente, spesso scorticandoli vivi. Nel 1920 il Barone Pazzo è pronto per andare avanti da solo: si separa da Semënov e insegue il suo sogno: creare in Asia, lui convertito al buddhismo, una teocrazia lamaista restaurando la dinastia Qing in Cina e conquistando tutto l'oriente, da contrapporre poi a un occidente corrotto e degenerato. Crea così la Divisione Asiatica di Cavalleria, una vera legione dei disperati: avventurieri e tagliagole di 16 nazionalità - russi e tartari, polacchi e giapponesi, tedeschi e cinesi - che vanno alla carica sventolando la bandiera con la U nera urlando “Ungern! Ungern!”. Saccheggiano i villaggi, torturano gli uomini e violentano le donne. Una folle cavalcata fra Mongolia, Siberia e Manciuria, una serie folgorante di successi: il Barone Pazzo diventa il dio della guerra, la reincarnazione di Gengis Khan. E lui è il primo a crederci.

La Mongolia dal 1919 è occupata dai Repubblicani cinesi; nel 1921 von Ungern-Sternberg entrato nel Paese su richiesta del capo religioso, l'VIII Bogdo Khan, assedia la capitale Urga (l'attuale Ulan Bator). Dopo diversi attacchi respinti con pesanti perdite il 3 febbraio fa accendere centinaia di falò sulle colline intorno alla città; gli assediati pensano di essere circondati da un enorme esercito, e si arrendono: il vessillo con la U sventola su Urga, centinaia di abitanti vengono giustiziati. Il 13 marzo con una fastosa cerimonia il Barone Pazzo in abiti di seta gialla e rossa e un copricapo di penne di pavone diventa Ungern Khan: il XIII Dalai Lama Thubten Gyatso lo proclama “emanazione di Mahakala”, principe Qing-Wáng, dittatore militare e religioso con diritto ereditario. “Arriverò con i miei Mongoli a Lisbona” dice il novello Gengis Khan.

Tre mesi dopo un grosso contingente bolscevico riconquista Urga; Ungern Khan si ritira e dopo un'ultima battaglia a Troitskosavsk si rifugia dal capo Calmucco Ja Lama, che lo tradisce e lo consegna al generale Bljucher a Novonikolajevsk. Dopo inutili tentativi di convincerlo ad entrare nell'esercito sovietico viene condannato a morte e fucilato il 15 settembre 1921. Ha solo 35 anni. E queste vicende sono avvenute non nel Medioevo ma meno di un secolo fa.

Guarda i video con la storia di Roman von Ungern-Sternberg. 

 


 


 

760 - DIETRO IL PADRINO

    Un'offerta che non si può rifiutare. A trovarsela davanti è stato Francis Ford Coppola al momento di iniziare a girare I...