mercoledì 7 ottobre 2020

738 - GLI ALBERI DEL SECONDO PIANO

 


Sembra impossibile ma...

Un'antica tecnica di arboricoltura giapponese consente la raccolta di legname senza abbattere gli alberi. E fa crescere spettacolari boschi “a due piani”. Luca Ramacciotti, che ringrazio, mi segnala la pratica del daisugi, letteralmente "cedro da tavola", perché gli alberi crescono sui rami di una grande pianta madre come fossero poggiati su una tavola.

Il daisugi nasce nel XIV secolo nella regione di Kitayama, sulle colline che circondano Kyoto. Nell'antica capitale trionfa il Sukiya-zukuri, stile architettonico basato sull'uso di materiali naturali, in particolare legno pregiato. I tronchi dei cedri che crescono nelle foreste di Kitayama vengono utilizzati come pilastri per le case, ma non c'è abbastanza terra per far crescere gli alberi necessari a soddisfare la domanda. Così viene elaborata una complessa tecnica di potatura, una sorta di bonsai ma in scala naturale.

Funziona così: una pianta, detta “albero madre”, viene potata in modo che restino solo i germogli più dritti, coltivati in modo che crescano alti in verticale, ma restino sottili. Ogni due anni viene eseguita un'attenta potatura manuale, lasciando solo i rami superiori e assicurando che i germogli rimangano senza nodi. Dopo circa 20 anni, diventati ormai veri e propri alberelli, possono essere raccolti e utilizzati come legname di grande qualità. O ripiantati per ripopolare le foreste. Il risultato sono tronchi dritti e privi di nodi, e anche se 20 anni possono sembrare lunghi in realtà sono meno del tempo che serve per un cedro tradizionale.

Con questa tecnica un albero madre può produrre legname per 200 - 300 anni, e ogni pianta può supportare dozzine di germogli, per cui nel suo arco vitale un solo cedro dà vita a più di cento alberelli. La qualità del legno poi è eccezionale, più flessibile (il 140%) e più forte (il 200%) di un cedro normale. Il legno del daisugi era ed è usato per le alcove Tokonoma, piccoli spazi nelle case tradizionali giapponesi utilizzati per mettere in mostra pezzi rari da esporre: pergamene, composizioni floreali ikebana e qualsiasi oggetto di pregio artistico. Nel XVI secolo il maestro del tè Sen-no-rikyu ne prescrisse l'uso per le cerimonie nelle case da tè di Kyoto, dove serviva un legno assolutamente perfetto. Alla fine del XVI secolo però la domanda per il cedro di Kitayama calò rapidamente, e il daisugi finì nel dimenticatoio. Ma la tecnica, diventata una pratica di nicchia, è andata avanti fino ai nostri giorni, e oggi si trovano ancora nei dintorni di Kyoto (specie nei giardini ornamentali) grandi alberi madre dai quali viene raccolto legname utilizzato per manufatti di raffinata eleganza e per le alcove Tokonoma.

Oggi, in tempi di sviluppo sostenibile, il daisugi potrebbe tornare di moda. Perché è possibile ottenere legname senza abbattere gli alberi, e perché proprio per come è strutturato, i silvicoltori hanno modo di organizzare la raccolta e preparare i sostituti per gli alberi da tagliare senza mai disboscare intere aree. Finora la tecnica è stata utilizzata solo col cedro di Kitayama, perché dritto e privo di nodi, ma gli esperti sono al lavoro per verificare la possibilità di applicarla ad altre piante. Sarebbe una piccola rivoluzione.

 







sabato 3 ottobre 2020

737 - LA CITTA' DEI CASTELLI FANTASMA

 


Sembra impossibile ma...

C'è una città fatta solo di piccoli castelli che sembrano usciti da un'illustrazione di Disney. Sono centinaia, e sono tutti disabitati. Ringrazio l'amico Luca Ramacciotti per la segnalazione, e vi porto a Burj Al Babas nel nordovest della Turchia a tre ore di macchina da Istanbul.

Qui, in una bella valle boscosa, nel 2014 Sarot Group ha aperto i cantieri per realizzare un villaggio residenziale di prestigio: 732 ville a forma di castello, tutte identiche. Un progetto da 205 milioni di dollari da completare nel giro di tre anni. Le abitazioni, tutte indipendenti, realizzate in uno stile che richiama il neogotico francese ispirato al Castello di Chenonceau nella Valle della Loira, sono veri e propri castelletti con torri cilindriche, mansarde, abbaini e rifiniture di gran lusso; quelle più prestigiose si affacciano su un lago artificiale appositamente realizzato.

I lavori sono andati avanti per poco più di due anni, poi il progetto ha dovuto fare i conti con la crisi economica, che non hanno certo risparmiato la Turchia. Il mercato immobiliare è crollato, il gruppo è rimasto senza fondi, e il tribunale ha emesso una sentenza di fallimento per i debiti accumulati per una cifra di 27 milioni di dollari; così da un giorno all'altro nel 2017 i lavori, in avanzato stadio di completamento, si sono arrestati su ordine del giudice. Il Gruppo Sarot ha fatto ricorso. Il presidente dela compagnia Mehmet Emin Yerdelen ha chiesto il riesame della procedura che ritiene sbagliata: di fatto 350 delle 587 ville già costruite erano state già acquistate da milionari arabi, ma il mancato pagamento da parte di clienti dei Paesi del Golfo di circa 8 milioni di dollari ha portato alla bancarotta.

L'insediamento occupa 300.000 metri quadri di terreno a ridosso di un bosco in parte abbattuto per costruire le ville, collegate da viali, strade e piazze; per il villaggio era prevista anche una vasta rete di servizi di qualità, con parchi, piscine, bagni turchi, centri benessere, un centro commerciale e una moschea. Tutti i castelletti hanno una superficie di 325 metri quadri, e per i proprietari era prevista la possibilità di personalizzarle, ma solo negli interni. Il progetto prevedeva rifiniture di pregio, pavimenti in marmo, decorazioni con stucchi e dorature per pareti e soffitti, fontane, piscine interne ed esterne, ascensori e tutte le più moderne applicazioni della domotica. Prezzi al pubblico, intorno ai 400.000 euro.

Oggi tutto è rimasto come nel 2017; il Gruppo Sarot ha ancora una pagina Facebook (ferma al 2018), e l'ormai ex presidente Yerdelen rimane fiducioso: “Il progetto ha un valore di 200 milioni di dollari. Abbiamo solo bisogno di vendere 100 ville per estinguere il debito”. Cosa che appare assai difficile. E del sogno di Burj Al Babas resta una grande città fantasma, più inquietante delle tante ghost town disseminate nel mondo: qui il silenzio profondo è rotto solo dal vento che gioca fra le torrette, le mansarde, le migliaia di stanze vuote e mai abitate. Ancora più spettrali, perché non raccontano neanche le storie della gente che ci ha vissuto. 

 





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760 - DIETRO IL PADRINO

    Un'offerta che non si può rifiutare. A trovarsela davanti è stato Francis Ford Coppola al momento di iniziare a girare I...