domenica 31 maggio 2020

517 - CAFFE' ALL'AMERICANA




Sembra impossibile ma…
La macchina da caffè più grande del mondo è alta più di un metro e pesa 125 chili, ma se preferite il caffè all’americana (peggio per voi…) fate un salto oltreoceano per un tour on-the-road fra macchine da caffè grandi come case.

Che però non sono funzionanti. L’italica moka ideata nel 1933 da Alfonso Bialetti contiene invece mille caffè ed è in grado di prepararli in pochi minuti. E’ un esemplare unico di design esposto nei più importanti musei del mondo, alta 102 cm, in acciaio inox, con una caldaia che contiene 48 litri di acqua e un filtro metallico per 3,5 kg di caffè.

Il tour americano invece può iniziare dal Canada, precisamente dal Saskatchewan. A Davidson i visitatori di passaggio vengono attratti da un’enorme Coffee Pot con tazza accanto. Costruita nel 1996 in lamiera, è alta 7 metri e mezzo (la più grande del mondo) e se usata potrebbe contenere 150.000 tazze di caffè. Gli abitanti dello sperduto villaggio lo hanno costruito in segno di ospitalità verso i visitatori.

Più artistiche le intenzioni di David Koontz che nel 1927 realizzò “The Coffee Pot” a Bedford, in Pennsylvania, un esempio di “Novelty architecture” con la caffettiera che contiene un’intera sala da pranzo. L’installazione rischiò di essere demolita negli anni 90, ma nel 2004 è stata spostata sull’altro lato della strada e restaurata.

A Roanoke in Virginia invece si può ammirare un’altra Coffee Pot; una storica casa di campagna completata nel 1936. La caffettiera in stucco si trova sul tetto dell'edificio. All’inizio era una stazione di servizio con sala da tè. La caffettiera è alta 4,6 metri e un tempo dal beccuccio saliva il fumo prodotto dal forno sottostante.

Spostiamoci a Stanton nello Iowa dove 70 anni fa gli abitanti hanno costruito la torre dell’acqua a forma di caffettiera. Quando la torre non è più stata utile alla rete idrica, i 700 abitanti di Stanton si sono mobilitati e sono riusciti faticosamente a salvare la loro caffettiera da 500.000 litri (d’acqua).

Infine a Winston-Salem, nella Carolina del Nord il punto di riferimento è la caffettiera Mickey, costruita in latta nel 1858 da due stagnini per pubblicizzare il loro general store. L’insegna sorgeva sulla strada, e causò vari incidenti; la decisione di eliminarla però causò molte proteste, così nel 1959 fu spostata in un’isola pedonale lontana dalla strada.


516 - LE SFERE SUL MARE




Sembra impossibile ma…
Ci sono ancora sulla Terra luoghi semisconosciuti che sembrano usciti dalla fantasia di un pittore surrealista, vere e proprie cartoline da un altro mondo. E certo se ti portassero addormentato sulla spiaggia di Koekohe, al risveglio non saresti così sicuro di essere sul nostro pianeta.

Le grandi sfere rocciose (fino a tre metri di diametro) perfettamente levigate, adagiate sul bagnasciuga piatto emanano un fascino misterioso: sono i Moeraki Boulders. Siamo sulla costa di Otago, in Nuova Zelanda, tra Moeraki e Hampden. Le leggende Māori parlano di una grande canoa a vela pietrificata: il profilo del relitto si intravede nelle scogliere che si allungano sul a Shag Point; il vicino promontorio roccioso è il corpo del comandante della canoa. I massi sferici sono le ceste per le anguille.

Gli studiosi invece ci dicono che i Moeraki Boulders furono disegnati e segnalati per la prima volta nel 1848 W.B.D. Mantell, e descritti poi in seguito da centinaia di rapporti coloniali. Oggi sono un’attrazione turistica. I massi sono composti da fango, limo fine e argilla, cementati dalla calcite, e presentano grosse fessure chiamate septaria e un nucleo cavo rivestito da cristalli di calcite. Ma ancora oggi rimane un vero mistero il processo di formazione. Di certo si sa che per crescere hanno impiegato da 4 a 5,5 milioni di anni. Si pensa che i sedimenti si siano aggregati con un processo simile a quello della creazione delle perle, poi siano rimasti sepolti sotto uno strato di fango marino alto da 10 a 50 metri. Sarebbero stati poi lavorati dall'erosione delle onde di pietra fangosa, finché qualche evento geologico li ha riesumati dal mudstone che li racchiudeva. Ma questa è solo una teoria.

Di certo il risultato è sconcertante: sembra impossibile che siano un prodotto della natura. Grandi concrezioni sferiche simili ma meno grandiose si trovano su altre spiagge anche molto lontane, dai massi di Katiki ai massi Koutu di Hokianga, ma solo in Nuova Zelanda.


515 - LABIRINTI




Sembra impossibile ma…
Nascosta nella campagna inglese del Wiltshire, a Horningsham, c’è una piccola grande meraviglia: il Longleat Hedge Maze, un labirinto da record. Il suo percorso (2,75 chilometri) è il più lungo del mondo.

Per realizzarlo sono state utilizzate oltre 16000 siepi di tasso tagliate a un’altezza di due metri e mezzo, su un tracciato che comprende 6 ponti sospesi, una torre centrale, e una miriade di trabocchetti e sentieri ciechi. Della manutenzione si occupano 20 giardinieri, che ogni 6 mesi rimodellano completamente le siepi. In media serve un’ora e mezza per trovare l’uscita, ma spesso entra in funzione un efficiente sistema di recupero per rintracciare chi si è perso. Chiunque poi può partecipare alla sfida per trovare l’uscita nel minor tempo possibile. Il record al primo tentativo è di 20 minuti. Vietatissimi Gps e Smartphone. Il labirinto sorge al centro un parco di 400 ettari vicino a un bosco di oltre1600, proprietà dei marchesi di Bath dal 1541. L’attuale proprietario è Alexander Thynn, settimo marchese di Bath, noto per lo stile di vita eccentrico, la passione per le belle donne e i murales a luci rosse dipinti sulle pareti della sua magione. Appassionato di labirinti, ne aveva già fatti costruire 4 più piccoli, dedicati alla Luna, al Sole, all’Amore e a Re Artù. Buon ultimo, ecco il Longleat Hedge, cuore di un centro turistico che comprende un bioparco dove si aggirano oltre 500 animali esotici.

Facciamo un salto di mille miglia in direzione sud, ed eccoci a Fontanellato di Parma, in piena pianura Padana, dove Franco Maria Ricci si è fatto costruire nella sua tenuta un’altra meraviglia da record: il labirinto del Masone, il più esteso del mondo con una superficie di 7 ettari. Il labirinto, realizzato con 200.000 bambù (i più alti toccano i 18 metri), è il cuore di un parco culturale che ospita la collezione d'arte di Ricci, mostre, concerti e una serie di attività enogastronomiche. “I labirinti mi hanno sempre affascinato – dice l’editore – e dopo averne discusso per tutta la vita con Italo Calvino, Roland Barthes e Jorge Luis Borges, che ne era ossessionato, decisi di costruirne uno tutto mio durante un soggiorno di 20 giorni di quest’ultimo a casa mia”. L’architetto si è ispirato ai labirinti raffigurati in due antichi mosaici romani, inserendo trappole e bivi ulteriori in un percorso che disegna un’enorme stella a 8 punte.





514 - IL GIARDINO DELLE MERAVIGLIE




Sembra impossibile ma…
Nel bel mezzo di Singapore, megalopoli da quasi 6 milioni di abitanti costretti su un’isola, Paese al secondo posto sul pianeta come densità di popolazione, hanno costruito… Pandora.

Benvenuti ai Gardens by the bay, incredibile foresta urbana che raccoglie tutte le piante della Terra nei 101 ettari del parco adagiato sulla sponda del lago (artificiale pure lui) Marina Bay Sands. Il parco è diviso in tre aree: Bay East, Central e South Garden, la più visitata: vista dall’altro ha la forma di un’immensa orchidea. Appena entrati, l’occhio viene colpito da due enormi cupole di vetro e acciaio: Il Flower Dome e la Cloud Forest. la prima è la più grande serra open space al mondo, la seconda ospita una montagna con una cascata che attraversa un giardino verticale alto 35 metri. Ma la vera regina del parco, poco distante, è la foresta dei Supertree Groves, strutture a forma di albero alte da 30 a 50 metri.

I tronchi sono giardini verticali dove crescono 160 mila piante (in tutto il parco sono più di un milione) di 200 specie diverse, e sono ricoperti di display e led che dopo il tramonto si illuminano e danno vita a orari fissi a uno show di luci e musica. I Supertree utilizzano tecnologie ambientali che replicano le funzioni fisiologiche degli alberi, forniscono energia e purificano l’aria. I due “alberoni” più alti sono collegati da una passerella panoramica.

Fra le altre meraviglie da vedere, il Flower Market, cuore del parco intorno a un prato di 2 ettari con palcoscenico, il giardino dei bambini, il sentiero dell’avventura, i giardini a tema (cinese, indiano, coloniale…), le piante scolpite a forma di animali, percorsi educativi, e spazi orticoli e tante altre meraviglie in salsa verde. Dal 2012 a oggi i visitatori sono stati 40 milioni. E Singapore somiglia un po’ di più alla “City in a garden” preconizzata dal governo locale. Ah, dimenticavo i costi: 1035 miliardi di dollari. Spiccioli per lo Stato che da 10 anni vanta la più alta concentrazione di milionari in rapporto alla popolazione. Seguite il link per il sito ufficiale del parco, poi date un’occhiata alle immagini del filmato, e ditemi se non sembra di essere sbarcati nel verdissimo pianeta raccontato dal film Avatar.




513 - LA GRANDE VORAGINE BLU




Sembra impossibile ma…
Nel Mar dei Caraibi è nascosta una meraviglia della natura: una voragine blu quasi perfettamente circolare che sprofonda nelle acque cristalline del Mar dei Caraibi per più di 100 metri con centinaia di stalattiti lunghe fino a 12 metri che rendono l’antro uno dei luoghi più magici del pianeta.

Il Great Blue Hole, uno dei migliori siti di immersione al mondo, ha un diametro di 300 metri e una profondità di quasi 110; si trova a 43 miglia dalla costa del Belize, lo staterello compresso fra Messico e Guatemala che comprende la parte meridionale dello Yucatan. Una penisola letteralmente traforata da una ragnatela di buchi circolari, ampie cavità carsiche profonde diversi metri che terminano in laghetti d’acqua dolce: i cenotes. Bene, il Great Blue Hole è un antico cenote di origine carsica che si è formato 150.000 anni fa; quando il livello dell'acqua degli oceani cominciò a salire, le caverne si allagarono. Il risultato è un paradiso terrestre, al primo posto nella lista di Discovery Channel fra "I 10 luoghi più incredibili della Terra", riconosciuto dall'Unesco come patrimonio dell'umanità.

A farlo conoscere è stato il grande esploratore e cineasta francese Jacques Cousteau, pioniere dell’ecologia marina, che nel 1971 arrivò al Great Blue Hole col Calypso, la sua nave da ricerca, per esplorarlo e misurarne le profondità. Nei suoi film descrisse le pareti verticali, la foresta di stalattiti, gli angusti passaggi delle zone profonde. E la fauna straordinaria: squali nutrice e blacktip, cernie giganti, squali toro e pesci martello, pesci pappagallo di mezzanotte e altre specie che è difficile avvistare altrove.

Oggi è possibile esplorare il paradiso azzurro scendendo nelle sue profondità fino a una trentina di metri di profondità, con gite di un’intera giornata. A patto di avere il livello richiesto di abilità subacquee, di aver registrato più di 24 immersioni, e di prestare la massima attenzione a non toccare le stalattiti e le pareti dell’antro.


sabato 30 maggio 2020

512 - VOLO ALOHA AIRLINES 243




Sembra impossibile ma...
Questa è una storia vera. Ringrazio Linda Mazzola per la segnalazione, e vi porto con me sul volo Aloha Airlines 243.

Sono le 13.25 di giovedì 28 aprile 1988 quando il Boeing 737-200 decolla dall'aeroporto internazionale di Hilo, alle Hawaii. Dalla cabina di pilotaggio il comandante Robert Schornstheimer, un pilota esperto con quasi 7.000 ore di volo solo sui Boeing 737, comunica agli 89 passeggeri che l'atterraggio è previsto dopo circa un'ora all'aeroporto della capitale, Honolulu. A bordo ci sono altri 6 membri dell'equipaggio, che ha già completato tre voli andata e ritorno sulla breve tratta. In pochi minuti l'aereo raggiunto la normale quota di volo di 24.000 piedi (7.300 m). Alle 13.48 tutti a bordo avvertono un suono sibilante, poi tutto avviene in un attimo: il primo ufficiale fa in tempo a notare un pezzo che si stacca dal rivestimento dell'aereo poi la porta della cabina di pilotaggio si stacca. Il comandante si volta e non crede ai suoi occhi: “Dove prima c'era il soffitto della prima classe, si vedeva solo il blu del cielo”. La decompressione esplosiva ha strappato una grande sezione del tetto, tutta la metà superiore del rivestimento dell'aeromobile per una lunghezza di diversi metri non c'è più.

Schornstheimer non perde il sangue freddo: mentre i passeggeri terrorizzati si affrettano a indossare le cinture di sicurezza, prende i comandi che erano affidati al suo secondo e guida l'aereo verso l'aeroporto più vicino, sull'isola di Maui. Tredici minuti più tardi effettua un atterraggio di emergenza. I soccorritori increduli aiutano i passeggeri a scendere in tutta fretta dall'aereo “cabriolet”. Manca solo una persona: Clarabelle Lansing, assistente di volo di 58 anni. Alcuni passeggeri l'hanno vista risucchiare fuori dal velivolo attraverso l'apertura creatasi nella fusoliera mentre era in piedi vicino alla quinta fila di sedili; il suo corpo non sarà mai ritrovato. E' l'unica vittima: i feriti sono 65, otto dei quali con lesioni gravi.

Il rapporto di indagine del National Transportation Safety Board parlerà di manutenzione inefficiente, della presenza di fenomeni corrosivi sulla fusoliera causati dall'ambiente salmastro, e di deterioramento del collante epossidico che unisce i pannelli. Il tutto aggravato dal fatto che l'aereo effettuava sempre voli brevi, e atterraggi e decolli molto frequenti con continue compressioni e decompressioni, il che avrebbe indebolito la struttura. Dalle indagini poi emerge un'altra concausa, ufficialmente non ratificata. Ma per molti sarebbe stata determinante: è stato trovato del sangue all'esterno della fusoliera: sarebbe quello della hostess risucchiata all'esterno; la struttura è progettata con rinforzi che permettono ad una lamiera che si strappi di lasciare un buco massimo di 25 cm. quadrati, consentendo una decompressione controllata. Il corpo della hostess, incastrato nel buco, avrebbe prodotto un picco di pressione con quello che viene chiamato “colpo d'ariete”. Sarebbe stata questa combinazione di cause a creare l'incredibile squarcio di circa 6 metri.


venerdì 29 maggio 2020

511 - LE DUE VITE DI IDA PFEIFFER




Sembra impossibile ma...
La vita di Ida Pfeiffer fino a 45 anni è uguale a quella di tante mogli e madri di metà ottocento. Quindici anni dopo tutta l'Europa parla di lei e legge le sue imprese; ma è anche oggetto di aspre critiche e feroci scritti satirici che irridono la “scandalosa donna viaggiatrice”.

Ida Reyer (è il suo nome da nubile) nasce a Vienna nel 1797; il padre, un ricco commerciante, impartisce a lei e ai suoi 5 fratelli un'educazione rigorosa nel segno della sobrietà e del rigore fisico e morale; fino a 9 anni si veste come i fratelli, gioca e fa sport con loro, e legge libri di avventure e viaggi. Nel 1806 il padre muore, e la madre la obbliga alle consuete attività femminili; per non prendere lezioni di piano e di cucito lei si procura tagli e bruciature alle mani, e arriva ad ammalarsi per sfuggire al modello della ragazza di buona famiglia. Nel 1810 la madre la affida ad un istitutore, che la convince ad accettare il suo ruolo, anche perché lei se ne innamora. Nel 1814 lui la chiede in moglie, ma la madre non lo ritiene un partito adeguato, e lo caccia. In seguito Ida rifiuta diverse richieste di matrimonio, finché nel 1820 accetta di sposare un ricco vedovo di Leopoli, l'avvocato Mark Anton Pfeiffer più vecchio di lei di 24 anni. Le cose però non vanno bene, Pfeiffer ha un tracollo finanziario, torna a Leopoli e la lascia coi due figli nati dal matrimonio; lei li cresce in condizioni economiche disagiate. Pfeiffer muore nel 1838, i figli completati gli studi trovano una buona occupazione, e Ida può finalmente decidere della sua vita. A Trieste vede per la prima volta il mare, e questo le risveglia – scriverà in seguito – un'indomabile voglia di viaggiare.

Soldi ne ha pochi, ma è abituata ai sacrifici e alle privazioni. Così nel marzo del 1842, a 45 anni, racconta ai parenti che andrà a trovare un'amica lontana, e parte. Discende il Danubio fino al Mar Nero, poi Costantinopoli, Beirut, Damasco, Gerusalemme, il Cairo, prima di rientrare a Vienna nel dicembre 1842 attraversando tutta l'Italia. Pubblica in forma anonima un diario di viaggio (in pochi credono che l'abbia davvero scritto una donna) che ha grande successo, e i soldi guadagnati li investe tutti in un nuovo viaggio. Ma prima di partire studia scienze naturali, botanica e tassidermia, impara l'inglese e le basi della nascente fotografia coi dagherrotipi. Nell'aprile del 1845 dopo aver toccato Praga, Amburgo e Copenaghen si imbarca per l'Islanda, dove esplora ghiacciai, zone vulcaniche e grotte; rientra a Cristiania (Oslo) e da lì raggiunge da sola in carrozza Stoccolma, dove è ricevuta dalla regina di Svezia. Nell'ottobre del 1845 torna a Vienna e pubblica il secondo libro.

Segue l'impresa che ha sempre sognato: il giro del mondo. O meglio, due giri del mondo. Il primo, dal maggio 1846 al novembre 1848, la vede in mezzo a mille avventure e pericoli a Rio de Janeiro, poi a Capo Horn, Valparaíso, quindi a Tahiti, e in estremo Oriente dove corre grossi rischi, anche perché vedere una donna bianca che viaggia da sola ha dell'incredibile; da Ceylon passa all'India che attraversa su un carro tirato da buoi, poi in Persia (dove è assalita dai predoni), Armenia, Georgia e Grecia. Nel 1851, a 54 anni, pensa di fermarsi, ma poi ci ripensa, riparte, e nei successivi 5 anni attraversa il Sudafrica, poi da Città del Capo salpa per l'Indonesia, Giava, il Borneo (prima donna occidentale ad attraversarlo) e Sumatra dove si ferma anche dai cannibali Batak; traversato il Pacifico nel 1853 è in California durante la Corsa all'oro, poi scende dal Centramerica fino al Perù e torna negli Stati Uniti dove da New Orleans risale il Mississippi prima di far rotta sui Grandi laghi. Da Boston poi si imbarca e torna a Vienna nel 1855. L'ultimo viaggio dal 1856 al 1858 la vede a Mauritius e in Madagascar, da dove vorrebbe andare verso l'Australia; ma prima si ammala di malaria, poi, perseguitata ed espulsa dalla terribile regina Ranavalona (di cui abbiamo parlato in un'altra Storia impossibile), dopo una vera odissea rientra febbricitante a Vienna nel settembre 1858, dove muore un mese dopo per la malaria.

In 16 anni di viaggi ha percorso 20.000 miglia via terra e 140.000 miglia marine spostandosi sempre in totale autonomia, con pochi soldi e un bagaglio ridotto all'indispensabile, e raggiungendo con tutti i mezzi possibili luoghi selvaggi ed inesplorati di tutto il mondo.

venerdì 22 maggio 2020

510 - L'ALTRA MEMORIA




Sembra impossibile ma...
Questa è una storia vera. Nasce nel gruppo di “Sembra impossibile ma...” grazie alla dottoressa Elisabetta Ranghino, psicologa che nel gruppo tiene la rubrica “Storie di psicologia”.

Natalie ha tre anni quando la sua mamma decide di portarla da una psicoterapeuta: da qualche tempo la bimba non riesce a dormire bene, ogni notte ha lo stesso incubo, è terrorizzata, non è più la bambina serena e allegra che era. La dottoressa la invita a fare un disegno. “Questo è il mostro che viene a svegliarmi tutte le notti”. Nel disegno, un volto, o meglio una specie di maschera, con grandi occhi tondi e vuoti ed una grande bocca anch’essa tonda con una sorta di appendice allungata. La terapeuta la riconosce subito: è una maschera anti-gas, ma di quelle di tipo antiquato. Un oggetto di cui la piccola non può conoscere neanche l’esistenza: non guarda la televisione, non va ancora a scuola e nessuno in famiglia le ha mai parlato di niente del genere.

Facendo ricerche con la famiglia della bambina, la terapeuta scopre che un antenato della madre era morto in guerra, asfissiato dal gas nella battaglia di Ypres il 26 aprile 1915. Sarà una coincidenza, ma il 26 aprile è anche la data del compleanno di Natalie. E’ come se un filo invisibile, una connessione impalpabile legasse la piccola al suo antenato vittima di un destino così atroce. Per fortuna di Natalie, la sua non è una terapeuta qualunque, è Anne Ancelin Schutzenberger, madre della psicogenealogia o psicologia transgenerazionale.

Secondo questa scuola di pensiero le esperienze significative vissute dai nostri antenati si tramandano inconsciamente nella psiche delle generazioni successive. Questo vale soprattutto (ma non solo) per i traumi irrisolti, come catastrofi o morti premature. Quando un dolore non trova spazio per essere accolto, raccontato, elaborato e integrato nella psiche dell’individuo e della famiglia ricade sui discendenti e rischia di causare loro problemi, finché come un pacco postale con un messaggio importante non verrà aperto da qualcuno di loro. Fobie, incubi ricorrenti, sintomi psicosomatici, difficoltà di vario tipo nel quotidiano, situazioni in cui non sappiamo spiegarci il nostro stesso comportamento possono avere origine dalla trasmissione transgenerazionale di un trauma. Nel caso della bambina ad esempio, le paure trasmesse sarebbero ovviamente non quelle dell'antenato morto, ma quelle dei familiari sopravvissuti, colpiti da quella specifica tragedia quindi costretti ad immaginarla e in qualche modo “riviverla”.

Niente di paranormale o soprannaturale quindi: così come i geni che definiscono il nostro aspetto si tramandano dagli antenati ai discendenti, lo stesso accade con le esperienze significative che è ormai scientificamente provato influenzino l’espressione genica. Sono appunto i geni, qualcosa di “tangibile” e ben concreto, che trasmettono dati da una generazione all'altra; che fra i dati di questa “memoria” ci possano essere esperienze vissute dai nostri antenati non è un'idea accettata dall'intera comunità scientifica; ma la psicogenealogia è una frontiera affascinante ancora in gran parte da esplorare, che ormai nessuno nega come campo di ricerca, e che potrebbe in tempi brevi portare risultati oggi ritenuti ai confini della realtà.

martedì 19 maggio 2020

509 - I RAGAZZI CHE UCCISERO IL SIGNORE DELLE MOSCHE




Sembra impossibile ma...
Questa è una storia vera. L'ha pubblicata “The Guardian” in questi giorni; ringrazio l'amico Gei Gi per la segnalazione. Nel bestseller di William Golding “Il signore delle mosche” un gruppo di adolescenti sopravvive su un'isola deserta; nel tempo le peggiori pulsioni e gli istinti primordiali prendono il sopravvento trasformando i ragazzi in selvaggi; la vita sull'isola diventa un inferno e l'avventura si trasforma in tragedia. Di recente però Rutger Bregman, scrittore e storico olandese, ha scoperto una storia che all'inizio ha molte analogie col romanzo, ma il risultato è assai diverso: un segnale di speranza rispetto al cupo “homo homini lupus” di Golding.

Giugno 1965, Sione, Stephen, Kolo, David, Luke e Mano, 6 studenti di un collegio di Nuku'alofa, capitale di Tonga, di età compresa fra i 13 e i 16 anni "prendono in prestito" la barca a vela di un pescatore col quale hanno rapporti non proprio idilliaci; è poco più di un dispetto, e l'intenzione è quella di veleggiare qualche giorno in cerca di libertà. Con loro hanno due sacchi di banane e qualche noce di cocco, niente mappe né bussola. Il tempo è buono, ma durante la notte scoppia una tempesta che distrugge vele e timone. La barca va alla deriva per 8 giorni, senza cibo e con pochissima acqua piovana raccolta in gusci di noce di cocco. Il nono giorno quando sono allo stremo delle forze, il miracolo: una piccola isola all'orizzonte. E' Ata, uno scoglio roccioso disabitato da quando nel 1863 i mercanti di schiavi sbarcarono e portarono via tutti i nativi.

Quindici mesi dopo, l'11 settembre 1966, il comandante Peter Warner incrocia con la sua nave davanti a Ata. Scrutando la costa col binocolo vede un ragazzo nudo, coi capelli fino alle spalle, che balza dalla scogliera e si getta in acqua, seguito poi da altri ragazzi. "Mi chiamo Stephen – dice in inglese perfetto il primo, appena a bordo - siamo in 6 e riteniamo di essere qui da 15 mesi". Warner chiama il porto più vicino. L'operatore ascolta il messaggio. E inizia a piangere: “Li hai trovati, pensavamo fossero morti; ci sono stati anche i funerali. E' un miracolo”. Segue il racconto dei ragazzi.

All'inizio è stata durissima, mangiavamo pesci, noci di cocco, uova di uccelli marini. Poi sulla vetta dell'isola abbiamo scoperto l'antico cratere vulcanico dove la gente viveva fino a 100 anni fa. E lì abbiamo trovato alberi di banane, e tante galline che per 100 anni avevano continuato a riprodursi. Insieme abbiamo concordato fin dai primi giorni delle regole: non litigare mai tra di noi, lavorare in coppia per assicurarci che le attività quotidiane fossero completate, mantenere sempre il fuoco acceso. Abbiamo scavato cavità per raccogliere l'acqua piovana, allestito un pollaio, un orto, un campo da badminton e una palestra. Quando Stephen si è rotto la gamba cadendo dalla scogliera, l'abbiamo curato bloccandola con bastoni e foglie. Abbiamo anche costruito una zattera, ma è naufragata”.

Poi, una domenica mattina, quella nave all'orizzonte. A Nuku'alofa i medici li trovano in buona salute e in forma fisica. Ma la polizia li arresta per il furto della barca. A farli liberare ci pensa il comandante Warner: risarcisce il pescatore e paga la cauzione. A festeggiare il ritorno in famiglia c'è tutta l'isola. Warner è proclamato eroe nazionale e premiato dal re col permesso perenne di pesca dell'aragosta a Tonga. E lui allestisce una nuova nave. E indovinate chi assume come equipaggio? Sì, loro, i 6 ragazzi.

Mezzo secolo dopo Rutger Bregman scopre la storia e rintraccia a Tullera, un paesino australiano, prima Mano Totau, uno dei 6, che oggi ha 70 anni, poi il comandante Peter Warner, che di anni ne ha 86. Warner gli mostra il manoscritto con le sue memorie. Che inizia così: "La vita mi ha insegnato molto, e la prima lezione è di cercare sempre ciò che di buono e di positivo c'è nelle persone".

lunedì 18 maggio 2020

508 - BALLA COI GENI




Sembra impossibile ma...
Questa è una storia vera. Tristissima ma vera. Ringrazio Francesco Bruni per la segnalazione.

La protagonista si chiama Lucia, e nasce a Trieste nel 1907. Dimostra fin da piccola talento artistico, è brava a scrivere, a disegnare e soprattutto a ballare; così studia danza prima al Dalcroze Institute di Parigi, dove nel frattempo si è trasferita con la famiglia, poi vicino a Salisburgo con uno dei coreografi più in vista dell'epoca, Raymond Duncan, fratello di Isadora, una sorta di guru del balletto con tanto di sandali, tunica e capelli fluenti. Tutti i suoi insegnanti concordano sul fatto che la ragazza è destinata a un grande futuro sul palcoscenico. A fine anni Venti è protagonista di uno dei più importanti Festival internazionali di danza al Bal Bullier di Parigi; le assegnano il secondo premio, ma tutto il pubblico la acclama e fischia la vincitrice. La foto sopra ferma quell'importante momento, nel quale Lucia si esibisce sotto gli occhi di due persone fondamentali nella sua vita: il padre e l'uomo di cui è innamorata. Nei mesi successivi va in scena in Francia, Austria e Germania in un gruppo di 6 ballerine, sempre con grande successo.

Poi nel 1929 la sua vita cambia. A 22 anni all'improvviso decide di lasciare la danza, dice di "non essere fisicamente abbastanza forte per essere una ballerina di qualsiasi tipo", rifiuta l'offerta di un'importante compagnia e annuncia che diventerà un'insegnante. Dietro la difficile scelta però sembra esserci il padre, con cui ha da sempre un rapporto intenso, un legame fortissimo. “È la persona più intelligente che conosca” dice di lei; ma è lui che teme che il durissimo allenamento che le richiede il balletto le causi uno stress eccessivo; e che sia la causa del rapporto conflittuale che ha con la madre Nora, da sempre contraria allo studio del ballo e anche gelosa della complicità che lega padre e figlia. In effetti Lucia ha già dato qualche segno di squilibrio e la sua salute mentale inizia a destare preoccupazione. Le cose peggiorano poi a causa di una delusione d'amore: la ragazza infatti è innamorata di Samuel, un giovane assistente del padre che frequenta la sua casa da qualche tempo. Per un breve periodo i due diventano amanti, ma lui ha già un'altra donna; e poi si rende conto del forte legame fra Lucia e il padre, e teme di perdere la sua stima e il posto di lavoro. Messo alle strette, per quanto anche lui attratto, la respinge con decisione.

La situazione precipita nel 1932, il giorno del compleanno del padre; dopo l'ennesima lite con la madre, Lucia le scaglia una sedia e per la prima volta viene fatta ricoverare. Nei 3 anni successivi sarà sottoposta a infiniti controlli e a terapie di ogni tipo, il padre spende una fortuna per conoscere i motivi del male oscuro della figlia, si rivolge anche a Carl Gustav Jung che la prende in cura ma non riesce a formulare una diagnosi certa. Quando rileva da alcune poesie “elementi schizoidi” il padre si oppone, “quei versi – dice – sono arte”. Alla fine Jung si arrende, un fallimento che lo porterà a distruggere le cartelle cliniche. Intanto le condizioni della ragazza peggiorano, e nel 1935, a 28 anni, viene internata in un sanatorio a Parigi. Il padre è l’unico che va a trovarla; quando muore nel 1941, nessuno la informa e lei legge la notizia su un giornale. In seguito viene trasferita nel manicomio di Northampton, dove i parenti non si faranno mai vedere. Nel 1982, a 75 anni, muore per un ictus.

Una storia triste quella di Lucia. Triste e poco nota, perché la famiglia ha distrutto tutti i documenti che la riguardano. E ancora più tragica se si pensa che lei si chiamava Lucia Joyce, il padre James Joyce e l'uomo di cui era innamorata Samuel Beckett. E che l'autore di “Aspettando Godot” per tutta la vita ha conservato nel portafogli una foto: quella di Lucia che danza al Bal Bullier di Parigi.

giovedì 14 maggio 2020

507 - L'AMICA DI FAMIGLIA




Sembra impossibile ma…
Questa è una storia vera. Paul Grappe nasce nella Haute Marne nel 1891. A 20 anni si sposta a Parigi, dove prende un diploma di ottico. A un corso di mandolino conosce Louise Landy: colpo di fulmine e matrimonio. Poi parte militare, ma riesce a restare nei dintorni della capitale. Dopo due anni va a casa col congedo in tasca. Ma di lì a pochi mesi lo chiamano: è scoppiata la guerra. Finisce in prima linea dove combatte i tedeschi nella “battaglia delle frontiere”. I morti sono centinaia di migliaia, 25.000 in un solo giorno il 22 agosto 1914. Dove Paul resta ferito ad una coscia. Lo curano e lo rimandano in trincea due mesi dopo. Nuova ferita al dito indice. I superiori sospettano l’automutilazione, si salva per miracolo dall’esecuzione sul campo. Torna in ospedale, dove riesce a restare per 4 mesi: lo accusano di riaprirsi da solo le ferite. Deve presentarsi subito alla caserma. Non lo fa: sceglie di disertare. Lo condannano a morte, ora è un latitante; braccato, si rifugia a casa della suocera dove per tre volte evita di un soffio l’arresto.

Ormai è un recluso, le giornate passano lente e monotone. Una sera, annoiato, indossa un abito della moglie, si guarda allo specchio e ha un’illuminazione. Si rasa minuziosamente, la moglie lo trucca, un tailleur, un cappellino da signora, e i due escono in strada, vanno in un locale: nessuno nota niente di strano. Anzi, qualche avventore fischia compiaciuto al loro passaggio. Da quel momento e per ben 9 anni per il mondo saranno una coppia di donne che vivono insieme. Paul si acconcia e si trucca con cura, impara a modificare la voce e le movenze, cambia nome e si procura documenti falsi: diventa Suzanne Landgard. Finisce la guerra, ma non la caccia ai disertori. I due continuano il loro menàge, due lesbiche come tante altre nella Parigi libertina dei primi anni Venti. Poi, non si sa se per portare a casa un po’ di soldi, o perché ci ha preso gusto, Paul comincia a frequentare il Bois de Boulogne. In breve ne diventa una delle “regine”, si prostituisce con uomini e donne. Louise per un po’ partecipa agli incontri erotici.

Nel 1924 arriva l’amnistia. La mattina stessa Paul esce in strada in abiti maschili gridando “sono un uomo”. E’ l’inizio della fine, la storia finisce su tutti i giornali e arrivano le discriminazioni che non avevano colpito le due “garconnes”: la coppia viene sfrattata, lei perde il lavoro. Paul si rifugia nel vino: 5 litri al giorno; inizia a picchiare la moglie che scappa con Paco, un amante spagnolo, poi torna col marito e partorisce un figlio di paternità incerta. Il 28 luglio 1928 dopo l’ennesima lite Louise spara due pallottole in testa a Paul, poi si costituisce. Il processo diventa un evento mediatico, un celebre avvocato accetta di difendere la donna, che in quei mesi perde il figlio colpito da meningite. Nel 1929, Louise Landy viene dichiarata innocente. Si risposa e muore nel 1981.
 
 

 




506 - FINCHE' MORTE NON VI SEPARI




Sembra impossibile ma…
L’11 dicembre del 1925 Karam Chand e sua moglie Kartari si incontrarono durante la cerimonia Sikh del loro matrimonio, combinato naturalmente dai genitori. Non si erano mai visti, e pensarono di essere stati fortunati. Si augurarono una vita di coppia lunga e felice. Ma mai avrebbero pensato che il loro matrimonio sarebbe stato il più lungo della storia: 90 anni e 291 giorni.

Karam nasce nel 1905, Kartari 7 anni dopo, tutti e due provengono da una famiglia di contadini del Punjab. Siamo nel periodo di massimo splendore del dominio britannico, Gandhi è solo un giovane avvocato appena rientrato in India dal Sudafrica, e per andare dall’Europa al subcontinente attraverso il Canale di Suez ci vogliono sei settimane. Nel 1965 la coppia, che nel frattempo ha avuto 8 figli, 4 maschi e 4 femmine, emigra in Inghilterra, e Karam trova lavoro nei lanifici di Girlington, vicino a Bradford, nel West Yorkshire. E’ qui che la famiglia Chand mette su casa.

Giorno dopo giorno, marito e moglie crescono i figli e invecchiano serenamente, festeggiano le nozze d’oro e quelle di diamante, poi i loro anniversari cominciano ad apparire sui giornali, un anno dopo l’altro, finché il loro matrimonio diventa il più lungo a memoria d’uomo. Intervistato sui segreti della loro longevità, Karam dice: "Non mi sono mai trattenuto dal godermi la vita, ma con moderazione: un’unica sigaretta al giorno, un bicchierino di whisky. Abbiamo sempre mangiato del cibo sano, non c'è niente di artificiale nella nostra dieta ma cose come burro, latte e yogurt fresco. Facciamo colazione sempre allo stesso orario: alle 6.30. E poi sì, come nei proverbi, ho sempre mangiato una mela al giorno”.

Quando Karam il 27 settembre del 2016 muore in ospedale per cause naturali, ha 110 anni e 11 mesi, la moglie ne ha 103. E’ “scioccata dalla perdita – dicono i figli - ma pensiamo sia normale, visto tutti gli anni trascorsi insieme. Comunque si dice grata per aver potuto trascorrere così tanto tempo col marito”. La coppia lascia 8 figli, 27 nipoti e decine di pronipoti. “Sappiamo che essere sposati per tanti anni – ha detto Chand nella sua ultima intervista - è una benedizione, ma saremo pronti ad andare quando sarà il momento: dipende tutto dalla volontà di Dio Ma abbiamo davvero vissuto una bella vita". Kartari raggiungerà il suo Karam il 28 dicembre 2019.
Guarda il video con Karam e Kartari che raccontano i segreti per una lunga vita di coppia.
 
 


505 - IL BANDITO DEL CLISTERE



Sembra impossibile ma…
Questa è una storia vera. La storia di Michael Hubert Kenyon, impiegato modello americano che per 9 anni, fra il 1966 e il 1975, ha rapinato una lunga serie di donne di tutte le età. E dopo essersi fatto consegnare soldi e gioielli, ha praticato con la forza alla maggior parte di loro un clistere d’acqua calda. Ringrazio Silvia Rosellini per avermi segnalato la storia.

Kenyon nasce a Elgin nell’Illinois nel 1944. Quando nel 1967 si laurea alla University of Illinois at Urbana-Champaign ha già compiuto la sua prima aggressione ai danni di due sorelle adolescenti. Con la laurea in tasca abbandona l’Illinois, e in quel periodo di aggressioni che si concludono con la bizzarra pretesa parlano i quotidiani di diverse cittadine americane. Tanto che la gente ci scherza sopra e l’espressione “enema bandit” (il bandito del clistere) negli Stati Uniti, diventa un ironico modo di dire comune. Nel maggio 1972 Kenyon rientra in Illinois e trova lavoro come impiegato al Dipartimento delle Entrate di Lincolnwood.

In tutto lo Stato riprendono le rapine: nella contea di Cook le vittime sono 3 hostess, nella contea di Urbana 4 donne a una sola delle quali pratica il clistere. La sua carriera criminale si conclude nel dicembre 1975, quando la polizia associa il suo nome a una serie di rapine avvenute nelle periferie di Chicago. Lui si presenta in questura, si proclama innocente ma durante l'interrogatorio parla più volte con ammirazione del "bandito del clistere". L’inchiesta che segue lo porta in tribunale. Lui confessa di essere l’autore di numerosi colpi “con clistere”, ma quest’ultimo non è previsto come reato da nessuna legge americana, anche perché non ci sono precedenti. Così il giudice lo condanna a 12 anni di carcere per le 6 aggressioni con rapina accertate. Nel 1981 Kenyon torna in libertà sulla parola.

La vicenda del “bandito del clistere” ha ispirato il brano jazz ”Salute to the Enema Bandit” di Henry Threadgill, il film porno “Water Power”, il romanzo “The odd woman” e un celebre brano di Frank Zappa, “The Illinois enema bandit”. Come dire, non tutto il male... Se volete scambiarci due chiacchiere il link vi porta al suo indirizzo facebook.



504 - CUORI DI TENEBRA




Sembra impossibile ma…
L’allucinante tragedia della follia raccontata in “M – Il mostro di Dusseldorf”, capolavoro del cinema girato nel 1931 da Fritz Lang, è basata non su una ma su due storie vere, ancora più sconvolgenti. Peter Lorre (nella parte bassa della foto) interpreta il mostro, personaggio che si ispira agli efferati crimini di Fritz Haarmann , il “macellaio di Hannover” e di Peter Kurten, il “vampiro di Dusseldorf” (nella parte alta della foto). Nel film una città tedesca è sconvolta da un maniaco che ha adescato e ucciso 8 bambine. Nella realtà…

Fritz Haarmann nasce ad Hannover nel 1879. Dal 1919 al 1924, uccide con certezza almeno 24 minorenni, vagabondi o prostituti: li adesca nell’atrio della stazione, li porta nel proprio appartamento, li violenta e li uccide mordendoli alla gola. I ragazzini lo seguono perché lui li minaccia di portarli in questura; il killer infatti è un regolare informatore della polizia che chiude tutti e due gli occhi sulle sue tresche di pedofilo. Quando però lo trovano mentre scarica le ossa nel fiume Leine, sono costretti ad arrestarlo. Lui confessa e racconta con fredda crudeltà ogni dettaglio dei delitti. Il processo diventa un evento mediatico, ne parla tutta la Germania. Si sparge anche la voce che l’assassino vendesse la carne delle sue vittime al mercato nero spacciandola per maiale. Condannato a 24 pene di morte, Haarmann sarà decapitato il 15 aprile 1925.

Peter Kürten nasce a Mülheim nel 1883. Uccide con forbici o coltelli almeno 30 fra uomini, donne e bambini. La prima vittima è un ragazzino: Kürten finge di annegare, l’altro cerca di salvarlo e lui lo affoga. Ha 9 anni. La sua infanzia è un inferno. L’unico amico è un accalappiacani che gli insegna a torturare e ad avere rapporti sessuali con gli animali. In età adulta uccide le sue vittime di ogni età dopo averle stuprate, gli taglia la gola e ne beve il sangue. Fra il 1929 e il 1930 gli omicidi sono più di 30. Quando si accorge che la polizia è sulle sue tracce, organizza egli stesso la cattura: si fa denunciare dalla moglie (già, è anche sposato) per farle incassare i soldi della taglia. I giudici lo condannano alla decapitazione. La sentenza viene eseguita il 2 luglio 1931. L’ultima domanda la rivolge al boia: «Una volta tagliata la testa, sarò ancora in grado di sentire il suono del mio sangue uscire dal ceppo del collo? Sarebbe il piacere di tutti i piaceri». Un’ultima nota: se il racconto vi è sembrato un po’ splatter, una breve ricerca sul web vi confermerà che vi ho risparmiato almeno il 90% di abominevoli dettagli e terribili misfatti fra quelli compiuti dai due mostri che ispirarono Fritz Lang.
 
 

 
 

 

503 - MAD JACK, UNA VITA SPERICOLATA




Sembra impossibile ma...
Questa è una storia vera: allacciate le cinture, vi presento Mad Jack. Che nasce nel 1796 a Halston Hall nel Galles. Il suo vero nome è John Mytton. Di famiglia nobile, perde il padre a 2 anni ed eredità una fortuna calcolabile in 30 milioni dei nostri euro.

Curriculum scolastico: a Westminster strangola un professore fino a farlo svenire. Espulso. A Harrow bastona due insegnanti. Cacciato. Prova coi docenti privati, ma li sottopone a continue beffe e vessazioni. Non ne troverà più dopo averne calpestato uno col cavallo. Con questi titoli, sarà accolto all’università di Cambridge. E poi espulso per aver nascosto in camera 2000 bottiglie di Porto e per aver ucciso il miglior cavallo delle scuderie facendogli bere a forza 8 bottiglie di Champagne. Fine degli studi.

Vita pubblica. Militare in Cavalleria, reggimento Yeomanry: cacciato per gioco d'azzardo e frode. Settimo reggimento Ussari, bandito perchè organizza match clandestini di uomini e di cani. Rangers di Oswestry: espulso perché per scommessa entra a cavallo nel municipio e salta dal balcone nella vetrata di un ristorante. Promosso maggiore e congedato nel 1822. Si dà alla politica. Foraggia gli elettori con cifre pari a un milione di euro e entra in Parlamento coi Tories. Alla prima seduta dopo mezz’ora si annoia. E si dimette. Si ripresenterà anni dopo con i Wings.

Vita privata. sposa Harriet Jones che muore due anni dopo. Sposa Caroline Giffard che fugge 10 anni dopo. Nel 1831 offre 500 sterline l’anno a Susan, una bella ventenne, per stare con lui. Lo accompagnerà fino alla morte. Tiene 2.000 cani, i preferiti li nutre a bistecche e Champagne, per le feste li veste con la livrea. I più feroci li addestra alla lotta e lui stesso ama combattere a mani nude contro i cani: uccide un mastino a morsi e un bulldog a testate. Ha un guardaroba di 700 paia di stivali, 1.000 cappelli 3.000 camicie ma va a caccia completamente nudo con qualsiasi tempo. Corre a rotta di collo per le strade di campagna col calesse e ama cappottarsi, fare incidenti, rischiare la vita. Si presenta a un veglione cavalcando un orso che semina il panico e morde i presenti. Queste follie di Mad Jack sono tutte documentate. E sono solo una minima parte. In 15 anni sperpera l’enorme patrimonio di famiglia. Nel 1831 va in Francia con Susan per sfuggire ai creditori. Malato, alcolizzato, sofferente di delirium tremens, torna in patria e finisce in prigione per debiti. Muore nel 1834. Ha solo 38 anni. Lascia un numero imprecisato di figli. E’ sepolto a Halston Hall. Dove si racconta non sia difficile vedere il suo fantasma che si aggira (ovviamente) inquieto nelle sale del palazzo e nel parco, seguito da una muta di cani.









502 - PALAM, L'ULTIMO SAN FRANCESCO




Sembra impossibile ma…
Un bibliotecario indiano per tutta la vita ha donato l’intero stipendio agli orfanotrofi, e anche oggi che è in pensione gira direttamente ai poveri tutti i soldi che percepisce.

Palam Kalyanasundaram è un anziano signore che vive da solo in una piccolissima casa di Saidapet, vicino a Chennai nel sud dell’India. Esile, in apparenza fragile, accoglie chi lo va a trovare con un sorriso; la natura gli ha dato una voce acutissima, un falsetto che al primo impatto suona anche ridicolo. Da ragazzo lo deridevano in tanti, ma lui ha messo in pratica ciò che gli è stato insegnato quando era ancora un bambino: “Fa in modo che la gente ascolti ciò che dici, non la tua voce”.

Palam nasce in un paesino del Tamil Nadu, perde il padre quando è ancora un bambino e cresce con la madre, che gli insegna la gioia profonda che può dare il servire i poveri. Con un master in letteratura e storia diventa bibliotecario al Kumarkurupara Arts, ma ogni giorno che passa scopre che la sua vera vocazione è dedicare la vita ai bisognosi. Dopo aver donato tutto ciò che gli appartiene (casa, mobili, abiti, gioielli), dorme in strada e nelle stazioni ferroviarie per sperimentare cosa significa non avere niente. Il che non lo distoglie dal proseguire, e bene, il suo lavoro di bibliotecario (tanto da essere proclamato per un anno il migliore di tutta l’India).

Per non distogliersi dai suoi ideali non si sposa. Dopo 35 anni va in pensione: in tutto questo tempo ha lavorato sodo per guadagnare più soldi da donare ai bambini e ai bisognosi. Già, perché mese dopo mese Palam non ha tenuto per se una singola rupia del suo stipendio; una vita semplice, senza concedersi niente, con i due pasti al giorno ottenuti lavorando anche come cameriere in un hotel.

Poi la sua storia finisce sui giornali e fa il giro del pianeta. Riceve premi prestigiosi, l’Onu lo cita fra i personaggi straordinari del XX secolo, Cambridge lo onora come “Uomo fra i più nobili al mondo”, viene nominato “Man of the millennium”; lui continua la solita vita, devolve tutti i premi in denaro agli orfani, insieme a tutta la sua pensione mensile. E la gente non ride più per la sua voce, ascolta le sue parole semplici e gentili ma convinte: “Sono assolutamente certo che se anche una sola persona farà la sua parte per il bene sociale, il mondo non potrà che essere migliore”.
 
 

 




501 - IL MULINO DELLE MERAVIGLIE



Sembra impossibile ma…
Alle porte di Parigi c’è un luogo magico che sembra uscito dalla fantasia di un Lewis Carroll. Se davvero cercate il paese delle meraviglie, dimenticate Disneyland, e regalatevi un’esperienza onirica e intrisa di poesia al Moulin Jaune di Crécy-la-Chapelle.

E’ in questo paese a 47 chilometri dalla capitale francese che nel 2001 è arrivato Slava Polunin, uno dei più grandi clown e mimi del mondo. Nato nell’attuale San Pietroburgo nel 1950, Slava, grande ammiratore di Charlie Chaplin, dopo aver studiato all'Istituto di Cultura Sovietica ha iniziato nel 1968 un’intensa attività teatrale. I suoi spettacoli “Slava's Snowshow” e “Diabolo” hanno ottenuto successo internazionale e sono considerati capolavori del genere. Dopo aver girato il mondo col suo Teatro Nomade, ha investito tutti i suoi guadagni per acquistare un vecchio mulino del 1802 abbandonato da 20 anni e l’area verde che lo circonda. Qui ha messo radici con la sua compagnia. E qui ha dato vita all’Accademia dei folli. Obiettivo, creare un luogo dove ospitare artisti, artigiani, collaboratori, fare spettacoli, atelier, eventi artistici, accogliere visitatori: non un parco giochi, ma un luogo dove celebrare la fantasia, le cose semplici della vita, la creatività.

Il mulino giallo è il cuore di un universo in continuo divenire, dove strani personaggi si muovono nei vari giardini, ognuno dominato da un colore. Scene che evocano sogni e ricordi d’infanzia, immagini surreali: l’albero dei libri e la foresta delle sedie, il teschio gigante con le ruote e il pianoforte alato, il tempio buddhista e la roulotte della zingara, la barca a mezzaluna e i giganti del bosco, l’uovo abitato da galline, il fiume che scorre al contrario, e altre 100 visioni. Il mulino è aperto alle visite guidate (spesso dallo stesso Slava) solo pochi giorni l’anno, con biglietti economici ma limitati. E’ possibile però partecipare a diversi eventi e iniziative stagionali.

"Perché il Moulin Jaune? – dice Slava _ Amo la vita, amo le persone, specie quelle creative. Sono innamorato della creatività: non importa se sei un calzolaio, un cuoco, una sarta o un clown, per me, il semplice atto di creare qualcosa che prima non esisteva nel mondo, ti permette di realizzare il tuo destino”. Se volete saperne di più, seguite il link per il sito, e per un assaggio della magia del Moulin Jaune, guardate la breve clip. 


 

lunedì 11 maggio 2020

500 - LA GUERRA DEI NANI




Sembra impossibile ma…
Due mostri sacri della letteratura fantasy, J.R. Tolkien e J.S. Lewis, condividevano un profondo disprezzo per l’uomo più di ogni altro noto per aver creato un universo fatto di fantasia: Walt Disney.

Novembre 1937, una strana coppia di signori di mezza età esce dal cinema più elegante di Oxford. I passanti li osservano discutere animatamente sul film fino ad accalorarsi, cosa tutto sommato singolare se si considera che hanno appena visto la “prima” di Biancaneve e i 7 nani. Uno dei due, sui 45, brizzolato con i baffi, scuote la testa indignato; l’altro, più giovane ma invecchiato da occhiali e calvizie incipiente, gli dà ragione. E anche questo è singolare, visto che chi li conosce sa che non succede quasi mai: Tolkien e Lewis infatti, amici-nemici, sono protagonisti di continue dispute filosofico-religiose, oltre che colleghi come professori di letteratura inglese all’Università di Oxford. Il primo ha pubblicato da appena due mesi Lo Hobbit inaugurando la saga del Signore degli anelli, il secondo una dozzina di anni dopo creerà le Cronache di Narnia. Cos’è che fa arrabbiare Tolkien? I nani. Quelli del suo Hobbit sono una razza mitica, indomita; Disney ne ha fatto un gruppo di personaggi goffi e ridicoli. I due inglesi concordano sulla “sacralità” delle figure leggendarie di favole e miti nordici; quell’arrogante imprenditore americano che punta solo a far soldi le ha infantilizzate fino a cancellarle. E a Tolkien, sostenitore della teoria che “l’associazione dei bambini alle favole è un incidente della nostra storia domestica” la cosa non va giù.

In seguito i due scrittori torneranno sull’argomento, e si scambieranno anche diverse lettere. Nel 1939 Lewis scrive all’amico A.K. Hamilton: “Naturalmente i nani dovrebbero essere brutti, ma non in quel modo. E la loro festa a ritmo di jazz era terribile. Suppongo che al povero scemo non sia mai venuto in mente che potessero usare un altro genere di musica. Però tutti i pezzi terrificanti erano ben fatti, gli animali commoventi, e l’uso delle ombre davvero geniale. Che cosa ne poteva venire fuori se quest’uomo fosse stato educato o addirittura cresciuto in una società decente?”. Tolkien poi in altre lettere definisce “volgari” i film Disney. “Riconosco il suo talento – dice - ma mi è sempre sembrato irrimediabilmente corrotto. Anche se nella maggior parte dei suoi film ci sono passaggi ammirevoli o affascinanti, l’effetto generale di tutti loro per me è disgustoso. Alcuni mi hanno dato la nausea”. E poi conclude: “Non è altro che un imbroglione desideroso di truffare i meno capaci con trucchi abbastanza ‘legali’ da fargli evitare la prigione; non ho mai considerato nemmeno per un momento di collaborare con la Disney”. E di fatto per vedere l’universo della Terra di mezzo al cinema si dovrà aspettare il 2001.


499 - LA SCONFITTA DIMENTICATA DI NAPOLEONE




Sembra impossibile ma…
C’è una battaglia, fra le tante combattute da Napoleone Bonaparte, che non compare sui libri di scuola. Forse anche per l’esito, meno devastante di Waterloo, ma più umiliante: un vero colpo basso all’amor proprio dell’imperatore. Non si tratta di una leggenda, gli storici concordano sulla veridicità dei fatti, anche se esistono varie versioni dell’accaduto. Ecco la più accreditata e condivisa.

Luglio 1807, per la quarta volta Bonaparte ha sconfitto la coalizione dei suoi nemici, la firma dei trattati di Tilsit lo ha reso l'uomo più potente del mondo. A Parigi si festeggia, e fra gli eventi mondani viene organizzata una battuta di caccia al coniglio selvatico. L’imperatore è la star, e non può certo fare brutta figura. Dei preparativi si occupa il capo di stato maggiore Alexandre Berthier. Che, impaziente di fare bella figura, acquista un gran numero di conigli da liberare nella campagna. Le cifre non sono certe, nei racconti oscillano fra le molte centinaia e i 3000. Diciamo che sono davvero tantissimi: il bravo Berthier ha organizzato un massacro.

Quando i guardiacaccia aprono le gabbie e liberano le bestiole, Napoleone è pronto a sparare seguito dal suo contingente di cacciatori: l’ordine verrà dato pochi istanti dopo l’inizio della rapida e disordinata fuga dei conigli in tutte le direzioni. Quello che succede è incredibile: invece di scappare, corrono in massa verso i cacciatori; che all’inizio sono sorpresi, trovano la cosa divertente. Ma la corsa diventa un vero assalto, Napoleone sempre più stupito si trova sommerso dai roditori, tenta di respingerli, poi si rifugia nella carrozza. Bastoni e colpi di moschetto non fermano la carica. E il generale che ha schiacciato l’Europa sotto il suo tallone si dà a una precipitosa per quanto poco dignitosa fuga con il suo seguito.

Ma perché i conigli invece di scappare sono andati all’attacco? La colpa è del solerte Berthier, che per evitarsi la faticosa ricerca di conigli selvatici, ne ha acquistati a centinaia nelle fattorie dei dintorni. Tutti domestici, quindi abituati al contatto con l’uomo, che è la loro fonte di cibo. Così i roditori hanno scambiato imperatore e cacciatori per gli addetti al pasto, ed essendo anche molto affamati, sono andati all’assalto delle cibarie. Solo che erano migliaia.

Dalla vicenda di recente Nola Rae, regina dell’arte mimica, ha tratto un lavoro teatrale, “Napoleone in fuga inseguito dai conigli” portato in giro con successo con il suo International Visual Theatre.

498 - LA CITTA' DELLE PALME




Sembra impossibile ma…
A Los Angeles fino a poco più di un secolo fa non c’era una sola palma. Perché in così poco tempo ne sono state piantate così tante da diventare il simbolo della città?

Se con la macchina del tempo sbarchi nella Los Angeles del 1880, quello che trovi è una modesta cittadina di 8.000 abitanti in un’area desertica non lontano dal mare: altro che palmizi, qui non ci sono proprio alberi. Proprio in questi giorni però arriva la ferrovia, e con il treno, avventurieri e speculatori che intuiscono le potenzialità di questo territorio, lottizzano grandi aree di terreno, le mettono in vendita, e, per convincere possibili clienti a spostarsi sulla west coast vendono biglietti per il viaggio dal Midwest a un solo dollaro. Il sole c’è, i soldi cominciano ad arrivare, manca il verde.

Ma perché scegliere le palme, che non danno ombra, frutta o legno, e non combattono l'erosione? A parte poche specie autoctone, a importarle erano stati i missionari che, per festeggiare l’omonima Domenica, erano soliti piantarle intorno alle missioni. Ma in California arrivarono grazie… alla Costa Azzurra. Anche qui fino ai primi dell’800 erano rarissime. Furono viaggiatori e scrittori reduci dal Medio Oriente a lanciare la moda. Il clima ideale della Riviera ne favorì la crescita, e in breve divennero simbolo di ricchezza, lusso e vacanze. Per i turisti, specie britannici, era un vero brand. Che gli imprenditori californiani pensarono bene di cavalcare.

Le palme poi sono comode da trapiantare, hanno una radice sferica piccola e facile da scavare e trasportare, e per crescere richiedono solo acqua e sole. Inoltre Los Angeles fa ciò che nessuna città ha mai pensato di fare: colloca le palme lungo ogni strada, sistematicamente, dappertutto, dai grandi boulevard alle viuzze residenziali, dai parchi alle spiagge. E le piante prosperano, crescono anche nelle fessure dell’asfalto, più alte che in ogni altro luogo al mondo. Poi è arrivato il cinema, e le ha portate nelle nostra case: ogni film, ogni spettacolo, ogni red carpet ha i suoi palmizi. Si contano a centinaia di migliaia. E se lo scopo era creare un'immagine per la città nascente e convincere la gente a venire a Los Angeles, beh, missione compiuta: oggi gli “Angelenos”, se si considera l’area metropolitana, sono più di 10 milioni. 
 
 

 
 
 

 

 


760 - DIETRO IL PADRINO

    Un'offerta che non si può rifiutare. A trovarsela davanti è stato Francis Ford Coppola al momento di iniziare a girare I...