Sembra
impossibile ma...
Il
mistero dei disegni di Nazca dopo 1500 anni è stato risolto.
Suggestionati dai libri di Peter
Kolosimo, per anni in molti hanno creduto che quelle misteriose linee
fosero di origine extraterrestre. Non c’era bestseller, fra i tanti
scritti dal padre della fantarcheologia italiana, che non mostrasse
le foto del ragno o della scimmia, del condor o del colibrì, figure
così impossibili da diventare inquietanti. Il motivo? Gli enormi
animali disegnati sulla sabbia del deserto potevano essere visti solo
dall’alto.
Per
apprezzarle quindi c’era un solo modo: sorvolare con un velivolo
quell’arido altopiano, a Nazca, nel Perù meridionale. Solo che
quei disegni sono stati tracciati fra il 300 a.c. e il 500 d.c.,
quando era impossibile per un qualunque mezzo volare, lì o altrove
nel mondo.
Il
mistero delle linee di Nazca nei primi anni settanta di colpo fece
impallidire tutti gli altri luoghi dal fascino esoterico sparsi sul
pianeta, dalle piramidi, a Stonehenge, da Lochness a Palenque. Due le
ipotesi formulate dagli autori più spregiudicati: quella
extraterrestre, e quella dei resti di antichissime civiltà
progredite e scomparse. E due le conseguenze: carrettate di libri
venduti e boom dell’ archeoturismo volante a bordo di incerti
“piperini” nei cieli dell’altopiano peruviano.
Nel
frattempo gli studiosi, quelli veri, avevano cominciato a studiare le
strane immagini, sparse su un’area di un’ottantina di chilometri:
in tutto oltre 800 disegni formati da tredicimila linee, che possono
raggiungere fino a 365 metri di estensione. Le linee sono state
create spostando le pietre contenenti ossidi di ferro; il clima secco
le ha conservate per secoli. Nel 1994 l’Unesco le ha riconosciute
Patrimonio dell’Umanità. 
Ci
sono voluti 50 anni, ma finalmente i ricercatori hanno dato una
risposta al mistero di Nazca. Meno affascinante, ma sicuramente più
scientifica: l’analisi delle immagini satellitari ha permesso di
comprendere la loro funzione, legata all’acqua. Le linee sono
infatti collegate
a una sorta di pozzi chiamati puquios, che convogliavano l’acqua
estratta dalle falde a decine di metri di profondità, in cunicoli
sotterranei a forma di spirale, realizzando un complesso e
sofisticato sistema di acquedotti e di irrigazione.
Un
ruolo fondamentale nella scoperta l’ha avuto  l’ingegner Rosa
Lasaponara, ricercatrice del CNR di Roma. Che spiega: “Indicavano percorsi da 
seguire nelle cerimonie. Molti degli animali raffigurati nei 
disegni, come orche e delfini, riportano all’acqua; erano un cerimoniale e i disegni ritualisti oltre a contrassegnare la posizione dell'acqua, erano un modo di dire grazie agli dei“. Niente fantascienza ma
alta ingegneria idraulica. Insomma, per realizzare l’’impossibile, dice oggi la scienza,
non c’è bisogno di extraterrestri, bastano i tecnici dell’antica
civiltà Nazca che duemila anni fa permisero a un intero popolo di
coltivare la terra e di trasformare uno dei deserti più aridi del
mondo in un’oasi verde.

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