Sembra
impossibile ma...
Nell'antica
Roma al posto della carta igienica si usava il tersorium, una spugna
marina fissata su un bastone che nei bagni pubblici veniva condiviso
e poi pulito in un secchio con acqua e aceto dopo ogni utilizzo. Ma
se l'argomento non vi disturba troppo... c'è di più.
Del
tersorium (detto anche Xylospongium) parlano varie fonti; ad esempio
Seneca nelle Epistulae morales racconta di un gladiatore germanico
che prima di un'esibizione nell'anfiteatro va in bagno e si suicida
infilandosene in gola uno fino a soffocare. Ma facciamo un salto nei
bagni di epoca romana, che sono pubblici e comuni. Quelli più
ricchi, affrescati e pieni di opere d’arte, possono avere fino a 80
sedute in marmo o in legno. Perlopiù sono luoghi piacevoli e ben
ventilati, e gli uomini si trovano li a conversare e negoziare fra un
passaggio di tersorium e l'altro. Lo sciacquone non esiste, ma un
rivolo d’acqua scorre a getto continuo sotto i posti a sedere, per
finire in corsi d'acqua che confluiscono nel Tevere, e poi già nel
VI secolo a.c. nella cloaca maxima, vasto sistema di fognature.
Dal
punto di vista dell'igiene, Roma porta un bel contributo, visto che i
greci ricorrevano a pietre e cocci di ceramica levigati (oltre che ai
loro vestiti), e altre popolazioni usavano fieno, sabbia, canapa,
lana, bucce di frutta, felci, erbe. I soldati romani invece se la
cavano col muschio. E la carta igienica? Il primo uso documentato è
nella Cina del VI secolo, ma dalle nostre parti bisogna aspettare il
1857, anno in cui negli Stati Uniti Joseph C. Gayetty introduce la
"carta terapeutica" in forma di salviette. La Scott la
commercializzerà nel 1890, ma fino al 1928 il “prodotto
innominabile” si venderà poco o niente; solo una vasta campagna
pubblicitaria della Hoberg Paper, che la ribattezza “Charmin” la
renderà di uso comune.
Un
discorso a parte merita la pipì, che in ogni casa dell'antica Roma
viene accumulata in pentole. Una volta piene, vengono svuotate in
grandi vasi nelle strade. Per fare che? I batteri trasformano l’urea
in ammoniaca, ottimo detergente naturale utilizzato per lavare i
vestiti e sbiancare le toghe, ma non solo: Catullo in uno dei suoi
Carmina ne decanta il potere sbiancante sui denti. Inoltre l'urina
raccolta viene venduta ai conciatori per lavorare le pelli dopo un
lungo ammollo; un mercato così lucroso che l'imperatore Vespasiano
(e chi se non lui?) imporrà la vectigal urinae, tassa sulla pipì
dei bagni pubblici. E' lui che, mostrando al figlio Tito che lo
rimprovera una moneta riscossa con la tassa, dirà una frase che i
nostri politici hanno ben presente: “Pecunia non olet”, il denaro
non puzza.
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