Sembra
impossibile ma...
Karl
Gorath è una delle migliaia di persone che hanno vissuto l'orrore
dei campi di sterminio per il fatto di essere omosessuale. E'
sopravvissuto, ma l'incredibile è ciò che gli è successo dopo.
Karl
nasce a Bad Zwischenahn nel 1912. Da ragazzo non ha grossi problemi,
il codice penale tedesco punisce l'omosessualità, ma gli anni della
Repubblica di Weimar vedono una certa tolleranza, e quasi sempre si
chiude un occhio. Le cose cambiano nel 1933 con l'ascesa del nazismo:
tolleranza zero, locali “gay friendly” chiusi coi proprietari
obbligati a fornire i nomi degli avventori, arresti a raffica: nel
giro di 12 anni sono 100.000 le persone processate con l’accusa di
essere gay. Reato punito col carcere in base all'articolo 175 del
codice penale tedesco del 1871, con le pene inasprite dalla modifica
del 1935. Karl viene arrestato e poi rilasciato una prima volta nel
1934; nel 1938 lavora come infermiere quando un fidanzato geloso lo
denuncia. Processato a Brema dal giudice Rabien, viene internato nel
campo di Neuengamme. Lo attende la divisa col triangolo di stoffa
rosa che identifica gli omosessuali. Come infermiere, viene
trasferito nell'ospedale di un sottocampo. Qui si rifiuta di
diminuire la già scarsa razione di pane giornaliera ai
pazienti polacchi, e viene trasferito ad Auschwitz, dove il suo
triangolo cambia da rosa a rosso: prigioniero politico. Questo
paradossalmente gli salverà la vita: gli omosessuali qui subiscono
continue torture, nessuno si salverà. Arrivano le truppe sovietiche,
e Karl viene spostato dai nazisti in fuga a Mauthausen, un altro inferno.
L'arrivo degli Alleati lo troverà quasi morto di fame e dissenteria.
A
guerra finita lui è uno dei tanti disperati che si aggirano fra le
macerie del Reich. Nel 1947 viene arrestato. E finisce di fronte allo
stesso magistrato che 9 anni prima lo aveva condannato. Si, il
giudice Rabien è ancora lì. Lo riconosce, e ha il coraggio di
chiedere a lui: “Sei ancora qui?”. L'articolo 175 del Codice
penale è sempre in vigore. Lo condanna di nuovo: 5 anni di carcere.
Quando esce, nel 1952, ha 12 anni di reclusione alle spalle. Nessuno
gli dà lavoro per il suo passato di “criminale”. Allora chiede
il sussidio come ex internato nei campi di concentramento: solo nel
1989 otterrà 500 marchi al mese. Karl Gorath muore nel 2003 a 91
anni. Le sue memorie sono narrate dal documentario “Paragraph 175”.
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