Dalle pendici del Vesuvio alle sponde del mar Nero. La città di Odessa nacque dal sogno di un napoletano al servizio della zarina.
E' il 1794 quando José de Ribas — Giuseppe per i suoi amici d’infanzia ai Quartieri Spagnoli — sbarca su quel tratto di costa battuto dal vento del Mar Nero. Quello che trova lì è una vecchia fortezza ottomana e un pugno di capanne tatare. Ma Josè porta con se la luce del Golfo di Napoli, e i suoi occhi vedono un porto dove gli altri non vedevano che sabbia e steppa.
In quell'anno Caterina la Grande ha deciso di spingere l’impero russo verso il sud, di conquistare mari e rotte. De Ribas, ufficiale di collegamento con il principe Potëmkin, ha l’incarico di dare vita a una città.
E la inventa, letteralmente. Traccia strade, banchine, magazzini, e per darle un’anima sceglie un nome mitologico, “Odessos”, poi trasformato in “Odessa” per volere della zarina — “più femminile”, disse, “più degno di una perla sul mare”.
In pochi anni, la città nuova diventa un crocevia di lingue e commerci, un laboratorio di modernità. Arrivano greci, armeni, francesi, e soprattutto gente del regno delle due Sicilie: mercanti, musicisti, cuochi, artigiani.
Francesco Frapolli, architetto e ingegnere, napoletano anche lui, disegna porti e arsenali, palazzi e teatri. Le vie risuonano di accenti mediterranei, e lungo l’attuale “Italian Boulevard” non si può non notare la parlata partenopea, il gesto largo dei napoletani, il profumo di caffè e di mare.
A metà Ottocento gli italiani sono ormai migliaia, una piccola colonia nel cuore dell’impero russo. Poi, con i decenni, il loro numero si assottiglia, generazione dopo generazione il sangue si mescola con quello del melting pot della “città aperta” sul mar Nero. Ma di certo a Odessa per molti anni si è respirata l'aria di Napoli.
Tanto che, secondo molte fonti, nel 1898, in una stanza affacciata sul porto, Eduardo di Capua, in tournée col padre violinista, guardando l’alba sul mare avrebbe composto le prime note di “O Sole Mio”.
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