Sembra impossibile ma...
Questa è una storia vera. Ringrazio Alessandro Querin per la segnalazione e vi porto nello strano mondo dell'Omo vespa.
Trieste, 7 marzo 1932. Il quotidiano locale pubblica un insolito articolo: “Nelle prime ore di stamane mentre usciva dal bar Procuratie di piazza Goldoni ove aveva lavorato nel corso della nottata, la barista Maria Forza di 56 anni si accorse che un individuo la pedinava. Impressionata, affrettò il passo ma l’individuo la raggiunse in via Carducci, e la colpì al fianco sinistro con un oggetto appuntito, producendole una leggera ferita superficiale. Quindi si diede alla fuga”. E' il primo colpo dell'Omo vespa.
Il primo di una lunga serie che il “Piccolo” racconterà nei giorni seguenti con rilevanza crescente: decine di ragazze vengono “ferite da un tizio avvolto in un mantello scurissimo che armato di punteruolo non esita ad infliggere ai posteriori di queste povere fanciulle un bel punturone”. E quando gli audaci blitz notturni del misterioso antesignano dei supereroi finiscono sul Corriere della Sera, il caso diventa di rilievo nazionale. In breve in città si diffonde la psicosi dell’Omo vespa, come la gente lo ribattezza. E nelle notti di inizio primavera per le ventose strade della città si scatena una caccia all'uomo degna di quella raccontata da Woody Allen nel suo “Ombre e nebbia”: forze di polizia ma anche gente qualunque e una task force di vigilantes composta da cittadini ed ex poliziotti reclutati personalmente dal Podestà, che setacciano anche i vasti sotterranei della città, all'epoca rifugio di una corte dei miracoli di ladri, sbandati e contrabbandieri. Intanto in un paio di occasioni gruppetti di giovani sorpresi a punzecchiare per scherzi di sapore goliardico il lato B di malcapitate ragazze, rischiano il linciaggio.
A fine marzo Giacomo Ziuch, un fabbro noto come “Giacomin el capobanda del casin”, si presenta in Comune e al “Piccolo” per illustrare la sua scoperta: il paraspunte, uno stampo di lamiera zincata a forma di sedere per proteggere le natiche dal fatidico pungiglione. E a inizio aprile a contattare la redazione con una lettera anonima è l'Omo vespa in persona. Dice di essere "un fustigatore della pubblica immoralità", e che le sue punture sono "la giusta punizione divina, per mano umana, nei confronti delle giovani scostumate” che girano con gonne corte e abiti scollacciati.
Poi, due mesi dopo il primo attacco, le incursioni notturne del moralizzatore terminano all'improvviso come erano iniziate. Ha cessato l'attività, è fuggito o è stato preso dalla polizia che per evitare clamori di piazza ha tenuto nascosto l'arresto? C'è chi dice fosse un frate francescano, chi un gesuita. L'unica certezza è che dell'Omo vespa non si saprà più niente. Il giornalista del Piccolo che ha seguito la vicenda è Flaminio Cavedali, che è anche autore di canzoni dialettali. E compone “L’Omo Vespa”, che diventerà nella versione folk-rock del cantautore Lorenzo Pilat una delle più famose hit popolari triestine, rivisitata addirittura da Marilyn Manson.
Guarda il video con la storia dell'Omo vespa e ascolta la canzone popolare di Lorenzo Pilat.
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