C'è un punto della Namibia in cui il deserto abbraccia l’oceano. Si chiama Skeleton coast, e qui nel 2008 dalle sabbie del Namib è uscito un incredibile veliero portoghese del 1500.
La Costa degli scheletri: scheletri di balene, di marinai, di navi. Il mare da quelle parti non perdona: è uno dei tratti più letali del pianeta, dove nebbia, correnti e vento si alleano per schiantare le imbarcazioni che osano avvicinarsi a terra.
Anno 2008, un bulldozer scava alla ricerca di diamanti. Perché la terra, laggiù, è madre e matrigna, ti può regalare pietre preziose o una sepoltura senza lapide. Il regalo di quel giorno però non se lo aspetta nessuno. La pala della ruspa urta contro un altro metallo. Non è una roccia, né una cassa dimenticata da qualche cercatore. E' un frammento di tempo.
Sotto la sabbia, a poco più di duecento metri dalla linea d'acqua, c’è il Bom Jesus. Nome evangelico per un relitto perduto. La nave, appartenente alla flotta reale di re Giovanni III, era salpata da Lisbona il 7 marzo 1533, con a bordo fra i 100 e i 150 uomini tra marinai, mercanti e schiavi. Il suo carico? Una wunderkammer del Rinascimento: 1.845 lingotti di rame marchiati dalla potente famiglia Fugger di Augusta, oltre 100 zanne di elefante provenienti da 17 branchi diversi dell’Africa occidentale, più di 2.000 monete d’oro e d’argento di varia provenienza, tra cui spagnole, portoghesi, veneziane e moresche.
Quasi 500 anni prima una delle tante violente tempeste aveva sbattuto la Bom Jesus sulla costa. I corpi finirono tra le dune o divorati dai granchi. La nave, invece, fu accolta dall'abbraccio della sabbia: poi lentamente, per secoli, le dune l'hanno ricoperta proteggendola da batteri, salsedine e tempo.
Le condizioni ambientali uniche della zona, con la presenza di rame tossico per i batteri marini e le fredde correnti oceaniche, hanno contribuito a preservare incredibilmente bene il relitto e il suo contenuto. La Bom Jesus è finita sepolta sotto la sabbia a 200 metri dalla linea di costa attuale: in 500 anni, la dinamica della costa e delle dune è infatti cambiata: in certi punti il deserto è avanzato verso l’oceano, in altri la linea di marea si è ritirata.
Quella riaffiorata nel 2008 è una vera capsula del tempo. Le assi, ancora tenaci. Le monete, ancora lucide. Le zanne, ancora bianche. Gli archeologi si sono trovati di fronte non a un relitto, ma a un messaggio dal passato: il mondo del Cinquecento era lì, in attesa di raccontarsi, sepolto sotto il deserto. A sentire i vecchi del posto sarebbero decine le navi invisibili, “inghiottite” dalla sabbia e in attesa di essere riportate alla luce, di tornare a raccontare le loro storie.
Chi passa oggi da Oranjemund può vedere lo scheletro della nave. I reperti stanno al museo di Windhoek, in teche illuminate. Ma il vero tesoro resta intangibile: l’idea che sotto i nostri piedi possa ancora battere il cuore di una nave. Che la sabbia, quando decide, possa restituire la voce a ciò che credevamo perduto.
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