sabato 21 giugno 2025

772 - UNIT 731, L'INFERNO CANCELLATO

 


Gli orrori dei lager nazisti sono in tutti i libri di storia. Ma dei fatti accaduti nella Unit 731 di Harbin, almeno altrettanto terribili e cruenti, sappiamo poco o niente. Perchè? Perché i vincitori hanno scelto lucidamente di insabbiare e cancellare l'intera vicenda.

Le cose sono andate così: nel 1936 Harbin, megalopoli ferroviaria cinese vicina al confine russo, viene conquistata dai giapponesi. Qui prende vita l'incubo quando Shirō Ishii, medico devoto alla causa dell’”armamento biologico”, trasforma un finto centro di prevenzione epidemica in un laboratorio del terrore: la Unit 731.

Per dirla in breve, un lager dove uomini, donne e bambini — in massima parte cinesi, ma anche prigionieri sovietici, coreani, occidentali — diventano “maruta”, tronchi umani da sezionare a cuore battente.

Qui si progettano oggetti di morte che si spacciano per strumenti di ricerca legittima, si mettono a punto nuove bombe antiuomo e se ne studiano gli effetti “dal vivo”, si realizzano proiettili di artiglieria carichi di batteri, si liberano pulci e topi infetti sui campi cinesi.

Qui si iniettano patogeni letali: peste bubbonica, colera, antrace, vaiolo, gangrena gassosa. Si studiano tecniche d’ipotermia, tra congelamenti e scongelamenti, per testare i limiti del corpo umano.

Si praticano gravidanze forzate e dissezioni su persone vive e anche su neonati. Alla fine, secondo le stime, le vittime saranno fra 3.000 e 12.000 tra uomini, donne e bambini.

Nel 1945, dopo la resa del Giappone, il colonnello americano Murray Sanders, microbiologo militare, sbarca a Tokyo e scopre i documenti della Unit 731. Dentro c’è la ricetta del male, lo scheletro di una scienza criminale che nessun laboratorio al mondo avrebbe potuto replicare, e tanto meno rendere pubblico.

Gli americani sono interessati alle ricerche sulle armi biologiche e ai risultati di test effettuati su esseri umani “impossibili da ripetere” e si trovano di fronte alla possibilità di ottenerli: una scelta calcolata, cinica, fredda. Entrano in scena i servizi segreti. Gli ufficiali della Unit 731, a cominciare dal generale Shirō Ishii, negoziano l’immunità per loro e per i loro collaboratori in cambio dei dati ottenuti dagli esperimenti.

Il patto viene siglato: immunità legale “a chiunque abbia dati da offrire” . Promesse di silenzio, accordi a bassa voce, pagamenti simbolici (150–200 000 yen di quell’epoca). Le testimonianze sui crimini umani vengono ritirate dal processo di Tokyo, gli ufficiali sono spediti a casa.

Non ci saranno processi (come quello di Norimberga per i nazisti) per i responsabili della Unit 731: i colpevoli vengono risparmiati. In molti avranno carriere rispettabili nel Giappone del dopoguerra, alcuni anche in campo accademico e industriale. Gli Stati Uniti classificano come segreti i documenti sui crimini della Unit 731 e evitano che le informazioni siano divulgate.

L'Unione sovietica, che aveva catturato una dozzina di ufficiali della Unit 731, li processa e li condanna nell’inverno del 1949 a Khabarovsk. Gli atti del processo, pieni zeppi di episodi raccapriccianti, vengono pubblicati e l'eco arriva in Occidente, ma vengono considerati propaganda sovietica e ignorati.

La cortina del silenzio è efficace come non mai, per 40 anni sui giornali americani non compare niente o quasi sulla vicenda. Solo nel 1999 una legge del Congresso richiede l’apertura degli archivi. Ed è come scoperchiare il vaso di pandora. Ma ormai è trascorso più di mezzo secolo, e i giochi sono fatti.

Oggi a Harbin, nel sito originario di Pingfang, esiste un museo dedicato alla memoria delle vittime dell'orrore. Testimonianze, documenti e le stesse strutture rimaste in parte intatte raccontano la storia di uno dei crimini più efferati commessi impunemente nella storia dell'uomo.





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