C’è un posto a Hong Kong, dove la densità umana fino a pochi anni fa superava ogni immaginazione. Una città nella città, un alveare di cemento e lamiere chiamato Kowloon Walled City. In poco più di due ettari vivevano oltre 33.000 persone. Un record: 1 milione e 270mila abitanti per chilometro quadrato.
Nessun luogo sulla Terra è mai stato tanto stipato. Eppure non è sempre stato così. Nato come presidio militare della dinastia Qing, il fortino di Kowloon sopravvive alla colonizzazione britannica grazie a una svista diplomatica: formalmente cinese, ma di fatto terra di nessuno. Dopo la seconda guerra mondiale, migliaia di rifugiati si riversano fra le sue mura, approfittando del vuoto legale. E da lì in poi è anarchia.
Senza controlli, senza polizia, senza un criterio urbanistico, la città cinta da mura cresce in verticale: oltre 300 edifici attaccati uno all’altro, fino a 12 piani, spesso senza fondamenta né luce solare. La colonna sonora è il rombo degli aerei in arrivo o in partenza dal vicinissimo aeroporto di Hong Kong, il celebre Kai Tak Airport, noto per i suoi atterraggi mozzafiato tra i palazzi, che sarà chiuso nel 1998.
Dentro le mura, un labirinto di cunicoli, tubature colanti, scale anguste e cavi volanti. Al piano terra, traffici di ogni genere: oppio, gioco d’azzardo, bordelli, cliniche dentistiche abusive, fabbriche illegali di spaghetti e carta da sigarette. A governare, per un periodo, sono le Triadi. Poi, lentamente, anche in quel caos si formano equilibri, e perfino comunità: scuole, botteghe, templi, un piccolo sistema postale.
Ma la fama di “città dell’oscurità” – come la chiamano i locali – è ormai impossibile da cancellare. Negli anni Ottanta, con l’approssimarsi del ritorno di Hong Kong alla Cina, Londra e Pechino decidono di intervenire. Dopo lunghi negoziati e trasferimenti forzati, la demolizione parte nel 1993. Un anno dopo, della città murata non resta che polvere.
Oggi, al suo posto, c’è il Kowloon Walled City Park. Tranquillo, ordinato, attraversato da vialetti curati e padiglioni tradizionali. Qualcosa resta: la South Gate, la Yamen, frammenti di mura. E soprattutto le targhe coi nomi delle vecchie strade, come strani fantasmi di cemento.
Chi passeggia qui oggi non può neanche immaginare che, proprio sotto i suoi piedi, una volta vivevano come sardine 33.000 persone: gente come noi, con i suoi sogni, le sue paure, le sue speranze in un domani migliore soffocate in un'area grande come quattro campi di calcio.
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