Prima veniva un ufficiale dell'esercito, poi il prete, quindi il notaio. E per ultima la spada. Lo chiamavano Requerimiento, ed era la più surreale e grottesca dichiarazione di guerra della storia. Era la legge che autorizzava Dio a benedire il massacro.
Bastava leggere un proclama, magari davanti a una foresta o a un villaggio già in fiamme, e la coscienza del regno era salva. Una bugia, una grande bugia, strutturata, teologica, giuridica, scritta su pergamena e letta solennemente nel cuore della giungla, magari di notte, magari davanti al nulla.
Sudamerica, prima metà del Cinquecento. Prima di attaccare un villaggio indigeno, i soldati spagnoli sono tenuti – per ordine del re e per grazia del Papa – a leggere ad alta voce un proclama. Un testo astruso, pieno di citazioni bibliche, codici canonici e minacce infernali.
C'è scritto che Dio ha creato il mondo, lo ha dato al Papa, e che il Papa, a sua volta, lo ha affidato al re di Spagna. E quindi agli indios si chiede gentilmente di sottomettersi. Oppure, beh… guerra, fuoco e schiavitù.
Peccato che nessuno, tra gli indigeni, capisca lo spagnolo. Né il concetto di Dio unico, né quello di monarchia, né tanto meno il latino travestito da giurisprudenza regia. E allora succede che i conquistadores lo leggono comunque.
Non importa se non c'è il notaio come prescritto, e nemmeno il prete. Lo legge un soldato, magari mezzo ubriaco, in mezzo alla notte, alla foresta, ai pappagalli. Lo legge anche se il villaggio è deserto. Anche se è già stato dato alle fiamme. Basta che qualcuno possa “aver sentito”, magari un cane.
Lo sanno tutti che è una farsa. Ma serve. Serve ai re per lavarsi la coscienza, alla Chiesa per dire che tutto è stato fatto “in nome di Dio”, ai soldati per sentirsi strumenti della Provvidenza e non semplici macellai.
Era stato Juan López de Palacios Rubios, un giurista, a scriverlo nel 1513: un uomo colto, devoto, zelante. Credeva davvero che si potesse convertire il Nuovo Mondo con le parole. Ma le parole, da sole, sono vento. E il vento non ferma la polvere da sparo.
Il missionario Bartolomé de las Casas, che ha vissuto quelle terre e quei giorni, racconterà il ridicolo della scena: un Requerimiento letto a prigionieri già legati, oppure dal ponte della nave, mentre ancora si veleggia verso la riva. E aggiunge un episodio che non si dimentica: quello del cacicco Hatuey, che rifiuta di convertirsi prima di essere bruciato vivo. E grida con tutto il fiato che gli rimane: “Se quelli che vanno in cielo sono come voi, allora preferisco l’inferno”.
E allora eccolo, il senso del Requerimiento: una giustificazione, un teatro dell’assurdo. Una foglia di fico teologica per coprire la nudità feroce della conquista. Nato per “evitare spargimenti di sangue” non eviterà nulla. I villaggi bruceranno comunque, le persone moriranno comunque, ma a norma di legge, con l'imprimatur del re e del Papa.
Nei secoli poi, alcuni teologi – Francisco de Vitoria, Domingo de Soto – cominceranno a dire che no, non si può imporre il Vangelo con la spada. Che l’uomo ha diritto a non credere, e che la libertà viene prima del battesimo. Parole sacrosante. Ma per gli indios è già troppo tardi.
Sono passati cinque secoli, è roba vecchia, e il mondo è cambiato. O no? Al di là di quel poco che concretamente possiamo capire e fare, ogni giorno a ognuno di noi il mondo chiede di scegliere da che parte stare: con chi legge il copione del potere per quanto assurdo e inumano sia, o con chi, come Hatuey, con le fiamme che gli bruciano intorno riesce ancora a gridare che, carte bollate o no, è tutta una follia.
La scelta non è facile ma, forse, è giusto farla, se non vogliamo che fra cinquecento anni sui libri di storia si raccontino i nostri requierimentos.
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