mercoledì 10 settembre 2025

823 - IL GRANDE CAMALEONTE


 

Ci sono vite che sembrano romanzi. Quella di Romain Gary è di più: un gioco di specchi in cui niente è quello che sembra. Avete presente lo Zelig di Woody Allen? Ecco, qualcosa di simile, ma ad altissimi livelli.

Spoiler: Gary sarà un eroe di guerra, poi un diplomatico, infine uno scrittore coronato dal premio Goncourt. Ma non gli basta: inventa un altro se stesso, Émile Ajar, e con lui trionfa di nuovo al premio più ambito di Francia, beffando l’intero mondo letterario. Una doppia vita che culmina nell’ultimo, spettacolare colpo di scena: confessare la verità solo dopo la morte.

Vale la pena di raccontare nel dettaglio gli highlights di una vita “spericolata”. Il suo vero nome è Roman Kacew e nasce nel 1914 a Vilnius, allora città dell'impero russo che cambierà più volte bandiera come lui cambierà volto. Figlio di Mina Owczyńska, attrice di scarso successo e madre onnipresente, e di un padre presto fuggito, cresce con l’ossessione di un destino più grande di lui.

La madre gli insegna il francese, lingua dei sogni e della promessa: “Diventerai ambasciatore, diventerai Victor Hugo”. E quel ragazzo ebreo, approdato con lei a Nizza, manterrà entrambe le profezie.

Per farlo si trasforma in Romain Gary, cittadino francese, aviatore durante la guerra. Nel 1943, ferito all’addome, riporta alla base un aereo col pilota accecato: un gesto che gli vale decorazioni altissime, fra cui la Légion d’onore e il titolo di Compagnon de la Libération.

Con la benedizione di De Gaulle inizia poi la carriera diplomatica: diventa ambasciatore, console a Los Angeles e in Bolivia, delegato Onu con incarichi in Africa. E intanto scrive. “Éducation européenne” (1945) viene accolto come uno dei migliori romanzi della Resistenza, e nel 1956 il Goncourt a “Les Racines du ciel” lo consacra: l’eroe di guerra diventa scrittore di fama.

Ma Gary non si accontenta. Ha bisogno di reinventarsi, di bruciare vite come il suo nome sembra suggerire (in russo gari significa “brucia!”). Usa altri pseudonimi, si sposa due volte — con la scrittrice Lesley Blanch e con l’attrice Jean Seberg —, conosce gloria e tormenti.

Poi, negli anni Settanta, orchestra la più grande beffa letteraria del secolo: crea Émile Ajar. Con la complicità del nipote Paul Pavlowitch, che ne interpreta il ruolo in pubblico, pubblica “Gros-Câlin” e poi “La vie devant soi”. Quest’ultimo nel 1975 vince il Goncourt: caso unico nella storia, Gary lo ottiene due volte, violando il regolamento senza che nessuno se ne accorga.

Nel 1979 Jean Seberg viene trovata morta a Parigi; un anno dopo, il 2 dicembre 1980, Gary profondamente depresso per il sopraggiungere della vecchiaia, si toglie la vita sparandosi alla tempia, dopo aver avuto cura d'indossare una vestaglia rosso vermiglio perché il sangue non si noti troppo.

Nel cassetto della sua scrivania viene trovato un manoscritto datato 21 marzo 1979: “Vie et mort d’Émile Ajar”, insieme a precise istruzioni per la pubblicazione dopo la sua morte. È la confessione finale: “Émile Ajar, c’est moi”. Non più maschere né doppi giochi. Il grande camaleonte si prende il gusto di un ultimo colpo di teatro: “Mi sono divertito parecchio. Arrivederci e grazie” è la frase con cui saluta la vita.






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