Oggi vi racconto la fiaba di Aladino. Quella vera però, dove non c'è un solo genio, ma due; quella che non si svolge in Arabia ma in Cina, e soprattutto quella che non fa parte delle *Mille e una notte*, ma è nata molti secoli dopo dal racconto di un viaggiatore siriano.
Il mondo conosce Aladino soprattutto nella versione Disney del 1992: lampada d’oro scintillante, genio blu e principessa Jasmine. Ma la fiaba vera, quella che arrivò in Europa nel 1709, è ben diversa.
Per cominciare, la storia nelle Mille e una notte non c'era prioprio. La aggiunge il francese Antoine Galland, che aveva tradotto i 12 volumi di racconti da un manoscritto arabo del nono secolo conservato a Parigi, e li aveva iniziati a publicare nel 1704.
E Galland dove ha trovato la fiaba di Aladino? A lui l'ha raccontata, insieme a quella di Alì Babà e ad altre storie, un viaggiatore maronita di Aleppo, Hanna Diyab, nel 1709. Gailland non farà altro che appropriarsi dei racconti e aggiungerli alla sua raccolta.
Ma vediamo il testo della favola. “C’era una volta in Cina”, dice l’incipit originale, anche se in quell’antico racconto la Cina non era la Cina reale, ma una terra lontana, esotica, un oriente favoloso. Segue il ritratto del protagonista, un ragazzo scapestrato che passa le giornate a bighellonare. Si chiama ʿAlāʾ al-Dīn, che in arabo significa “Gloria della fede”, ed è cresciuto senza il padre e con una madre che fatica da mattina a sera per garantirgli un piatto caldo.
A questo punto compare il primo di tre avversari: un mago africano, che lo inganna convincendolo a scendere in una caverna per recuperare una vecchia lampada annerita. Aladino, invece, si tiene la lampada e anche un anello, scoprendo che ciascuno contiene un servitore mostruoso e potentissimo.
Due geni, non uno quindi: il primo nero come il catrame, con occhi rossi fiammeggianti, il secondo così spaventoso che la madre, al vederlo, cade svenuta. I geni possono esaudire desideri. Quanti? Non c'è un numero preciso. Anche il limite dei tre desideri è un'aggiunta moderna, nata nelle versioni cinematografiche.
Nell'originale non esiste, basta che i desideri siano compatibili con i poteri delle entità. Così al genio dell’anello Aladino chiede solo di poter uscire dalla grotta in cui è rinchiuso, mentre il genio della lampada soddisferà desideri vari (cibo, ricchezza, palazzi, spostamenti, protezioni, vendette).
Con i loro aiuti, Aladino riesce a sposare la figlia del sultano, la principessa Badroulbadour (“Luna delle lune”, e non Jasmine) e a sconfiggere un secondo rivale, il figlio del gran visir. Ma non è finita: il mago torna per riprendersi la lampada, e dopo di lui giunge il fratello, assetato di vendetta, travestito da guaritrice. Uno dopo l’altro cadranno, vinti dall’astuzia del ragazzo e dalla forza dei suoi spiriti. Così Aladino diventa sovrano e governa con giustizia, accanto alla sua principessa.
Una favola meravigliosa, come anche quella di Alì Babà. Eppure il vero autore, Hanna Diyab, non ha mai ricevuto compensi né un riconoscimento ufficiale, ed è morto ad Aleppo come un uomo qualunque. Ma se si scava sotto la patina dei cartoni e dei remake, resta l’eco di quella voce siriana che tre secoli fa, consegnò all’Europa un racconto che profumava di spezie, d’incanto e di mistero.
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