New York, estate 1899. L’odore di piombo tipografico si mescola a quello della polvere e del sudore, mentre i passi rapidi di centinaia di ragazzini attraversano i marciapiedi della città che non dorme.
Hanno otto, dieci, dodici anni, i vestiti strappati, la voce spezzata e le mani che sanno già di fatica. Li chiamano newsboys, strilloni. Col berretto a coppola calato e la lingua tagliente, li vedi spesso a piedi scalzi, quasi sempre affamati.
Sono loro che urlano i titoli a pieni polmoni, che fermano i passanti, rincorrono gli uomini in giacca, cravatta e cappello alla lobbia per vendere una copia del World o del Journal.
E in quel luglio torrido sono loro a bloccare l’ingranaggio, a fermare la stampa. A piegare due colossi, Joseph Pulitzer e William Randolph Hearst, i magnati dei giornali più potenti d’America.
I newsboys lavorano duro e non hanno alcuna tutela. Comprano un mazzo di cento copie a 60 centesimi – prezzo maggiorato dai tempi della guerra ispano-americana – e devono rivenderle a un cent ciascuna, sotto il sole e fino a notte fonda. Se restano copie invendute, sono perdite. E nessuno ti rimborsa, neanche se hai otto anni e una gamba sola.
Da tempo chiedono una riduzione di 10 centesimi al costo del pacco di giornali. Nessuno li ascolta, nessuno li protegge. E quel 18 luglio i ragazzini decidono di agire. La scintilla scocca a Long Island, quando un fattorino del Journal dopo una lite si rifiuta di consegnare il pacco. I newsboys lo affrontano, rovesciano il carro, si prendono i giornali.
Il giorno dopo, Manhattan si sveglia con un sindacato di bambini. Migliaia. Cinquemila in tutto. Riuniti a Irving Hall, gremito fino all’ultimo scalino. Parlano, discutono, si danno un’organizzazione.
Non è uno sciopero qualsiasi, è una marcia silenziosa e scatenata guidata da scugnizzi con nomi da romanzo: Kid Blink, Racetrack Higgins, Crutchie Morris, Young Mush.
Kid Blink, occhi storti e voce da predicatore, arringa la folla urlando con tutta la voce che ha: “Quei dieci centesimi valgono più per loro che per noi? Se non li possono perdere loro, come possiamo noi?”.
I newsboys si muovono in branco, attaccano i vagoni pieni di copie, lanciano frutta marcia ai crumiri, svuotano secchi d’acqua sui venditori che non aderiscono allo sciopero. Ma con un codice d’onore: “Nessuno bagni una donna”, ordina Kid Blink. E nessuno lo farà.
All'inizio la stampa parla di una buffonata. Poi qualche giornale – il Telegram, l’Evening Sun – inizia a simpatizzare con gli scioperanti, pubblicano editoriali in loro favore. I ragazzi fanno un gesto che li rende leggenda: distribuiscono volantini con su scritto: “Boicottate il World e il Journal. Se siete con noi, non comprateli, non leggeteli. Senza di noi, i milionari non guadagnano un cent”.
E la città si schiera. Hearst e Pulitzer – che si erano arricchiti a suon di titoli scandalistici e fake news ante litteram – vedono il disastro. Le vendite calano. Il World passa da 360.000 a 125.000 copie in pochi giorni. Gli inserzionisti si ritirano. La gente smette di leggere i due giornali incriminati. Le rotative girano inutilmente.
Lo sciopero dura due settimane. Alla fine, Pulitzer e Hearst accettano di negoziare. Il prezzo resta a 60 centesimi, ma con una novità rivoluzionaria: i giornali invenduti potranno essere restituiti. Niente più notti a urlare “Extra! Extra!* per non perdere tutto. I newsboys hanno vinto.
E non solo la loro battaglia: Lewis Hine, fotografo del National Child Labor Committee, immortalerà i loro visi stanchi e fieri. Quelle foto fanno il giro del Paese, e accendono i riflettori sulle condizioni dei bambini lavoratori.
Kid Blink – al secolo Louis Ballatt – sparisce nell’anonimato, probabilmente muore giovane. Ma l'eco del suo grido di protesta, più potente di un titolo a nove colonne, lo senti ancora oggi, se ascolti bene, mentre sfogli le pagine di un giornale.
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