venerdì 4 luglio 2025

779 - LA FOTO DI EDITH

  

Edith Piaf nel pieno dell’occupazione nazista ha cantato per i prigionieri francesi in un campo di prigionia tedesco, e grazie a una fotografia è riuscita a farne evadere non meno di 118.

La grande cantante francese, ospite del comando nazista, dopo il concerto per i compatrioti in catene ha chiesto e ottenuto di fare una foto di gruppo con loro. Tornata a Parigi, ha fatto ritagliare uno per uno quei volti per incollarli su documenti falsi. Nella tournée successiva li ha portati di nascosto al campo e con la scusa di fare autografi ha consegnato a ciascun prigioniero la propria via di fuga.

Un bel film. Ma è tutto vero? Diciamo che questa è la versione rilanciata e amplificata dai social. E allora cosa è avvenuto davvero? Riavvolgiamo il nastro.

Anno 1943, la Francia è spezzata in due e Parigi cammina a testa bassa tra rastrellamenti e fame. Edith Piaf, che è già una celebrità, sale su un treno diretto a Berlino. Viaggia con la sua segretaria, Andrée Bigard. Non è un viaggio di piacere. Deve cantare per i prigionieri francesi dello Stalag III D. L’invito è arrivato tramite i canali ufficiali tedeschi: un concerto per sollevare il morale dei connazionali deportati.

La Piaf accetta. Sottolinea che va solo per loro. Canta Mon légionnaire e L’Accordéoniste davanti a centinaia di uomini in divisa logora, in un cortile spoglio, nel gelo di dicembre. Alla fine dello spettacolo chiede un favore: una foto con i prigionieri. Una foto di gruppo tutti insieme. Il comando tedesco, colpito dalla fama e dal fascino della diva, acconsente.

Tutto questo è certo: la foto fu scattata. E fu riportata a Parigi. È da lì che diventa difficile distinguere la realtà dalla leggenda. Lo scatto affidato a una stamperia clandestina della Resistenza, i volti dei prigionieri ingranditi uno a uno per costruire documenti falsi, la cantante che torna allo Stalag III D con i documenti nascosti in una valigia col doppio fondo e poi li passa ai prigionieri mentre distribuisce autografi. Detta così, è fantascienza.

Nella realtà, è certo che Piaf durante l'occupazione aiuta colleghi e amici ebrei, come Marcel Blistène che nasconde anche a casa sua e come il compositore Norbert Glanzberg, Michel Émer, Youra Guller. E la storia della foto? Circola già pochi anni dopo la guerra, i documenti falsi sono stati realmente prodotti, e secondo molte fonti ci sarebbe stato un tentativo parzialmente riuscito di far fuggire alcuni prigionieri, spacciandoli per membri della troupe di Piaf.

Detto questo, le cifre non tornano: c'è chi parla di 12 fuggitivi, chi di decine, chi, i più, di 118, chi di 170. La stessa Piaf racconterà la vicenda alla stampa con un misto di orgoglio e pudore, senza entrare troppo nei particolari. Fatto sta che nessuno tra coloro che sarebbero evasi si è mai fatto avanti per confermare, né ci sono testimonianze dirette di chi sarebbe fuggito con quei documenti falsi. Biografi autorevoli come Robert Belleret e Carolyn Burke mettono in dubbio la portata reale del salvataggio, pur non escludendo che qualcosa sia effettivamente avvenuto.

Di certo Edith, il “passerotto di Francia”, non è mai stata una collaborazionista: dopo la guerra il Tribunale dell’Épuration la prosciolse da ogni accusa. Non fu mai arrestata né processata. Sottolineò di essere stata costretta a partire per Berlino, e che aveva cantato solo per i prigionieri.

Quel che resta, al di là delle molte incertezze, è una fotografia. In mezzo a uomini stanchi, con lo sguardo verso l’obiettivo, c’è Edith. Un po’ piegata in avanti, le mani sulle ginocchia, un sorriso appena accennato. Non sembra la Piaf da copertina. Sembra una donna qualsiasi in mezzo ad altri uomini qualsiasi. In quella foto c'è la verità. Tutto il resto è la storia che la Francia ha voluto raccontare a sé stessa.

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