Sembra
impossibile ma…
A
risolvere il problema dell’inquinamento da plastica sarà un bruco.
Il polietilene, con cui ogni anno fabbrichiamo mille miliardi delle
classiche buste della spesa, fino a ieri era considerato praticamente
indistruttibile. Per smaltirlo in natura servono quattro secoli, e
anni di ricerche hanno avuto la stessa conclusione: non è
biodegradabile. Poi come spesso accade, la scoperta, dovuta al caso.
E a una buona dose di intuito.
Federica
Bertocchini, ricercatrice italiana dell'Istituto
di biomedicina di Santander, ha l’hobby dell’apicoltura. Nel
pulire gli alveari vuoti si accorge che sono invasi dai bachi, che
raccoglie in una busta di plastica. Poche ore dopo la busta è piena
di buchi, e al posto dei bruchi ci sono le larve. Che fine ha fatto
la plastica scomparsa? Nessun animale riesce a mangiarla. Questi
bachi, a quanto pare, sì. Così l’istituto spagnolo inizia la
ricerca, in collaborazione con l’Università di Cambridge. I
risultati sono incredibili. Il bruco è in realtà la comune camola
del miele, usata dai pescatori come esca. La camola, detta anche
tarma della cera, depone normalmente le uova negli alveari, e le
larve si nutrono di cera d’api. O in mancanza di meglio, questa è
la scoperta, di polietilene. L’azione biodegradante, e questa è
un’altra sorpresa, non è frutto della masticazione: il polietilene
infatti viene trasformato grazie a un processo chimico. Trasformato
in cosa? In glicole etilenico, scoprono gli scienziati, un composto
utilizzato negli anticongelanti.
Applicazioni
concrete della scoperta: il polietilene potrà essere biodegradato in
discariche ecosostenibili, e non dandolo in pasto a milioni di larve,
ma “innaffiandolo” con l’agente che degrada la plastica
estratto dalle stesse. Con tanti saluti alle discariche oggi intasate
e alle isole di rifiuti in plastica nate negli ultimi anni in mezzo
agli oceani.
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