martedì 18 agosto 2020

723 - IL MOSTRO DEL MASCHIO ANGIOINO

 

Sembra impossibile ma...

Quindicesimo secolo, nella più profonda cella del Maschio Angioino un grande coccodrillo divora decine di prigionieri. Una leggenda che i nonni raccontano per spaventare i bambini? No, oggi è (quasi) storia; perché ad infestare il castello simbolo di Napoli il coccodrillo c'era. Anzi, erano almeno due. Ringrazio Marisa Gemelli Ferrara per la segnalazione, e lascio la parola a due grandi personaggi.

Era in quel castello una fossa sottoposta al livello del mare, oscura, umida, nella quale si solevano cacciare i prigionieri che si volevano più rigidamente castigare: quando a un tratto si cominciò a notare con istupore che di là i prigionieri sparivano”. Così Benedetto Croce nelle sue “Storie e leggende napoletane”. Gli fa eco Alexandre Dumas in “Storia dei Borbone di Napoli”: “Da questa bocca dell’abisso, dice la lugubre leggenda, uscendo dal vasto mare, appariva un tempo l’immondo rettile che ha dato il suo nome a quella fossa”. Due testimonial d'eccezione per una storia “a puntate” che comincia sotto il regno di Giovanna II, sorella di re Ladislao, che regna a Napoli dal 1414 fino al 1435. Ricordata come donna assai libertina, pronta ad accogliere democraticamente nel suo letto giovani di ogni stato sociale, secondo il gossip dell'epoca Giovanna ha l'abitudine dopo gli incontri amorosi di far cadere i suoi amanti in un pozzo grazie a una botola. E sul fondo chi trovano? Il coccodrillo del Nilo che lei stessa si sarebbe fatta portare dall'Egitto.

Del rettile non si sente parlare per un po', finché Ferrante d'Aragona re di Napoli dal 1458 al 1494, decide di far rinchiudere i carcerati nella Fossa del Miglio, utilizzata in passato come deposito del grano, e collegata col mare. Quando i detenuti iniziano a sparire nel nulla, Ferrante aumenta la vigilanza. Ma scopre che non si tratta di evasioni, ma delle incursioni di un coccodrillo che azzanna i prigionieri e li trascina in mare. Lo stesso di Giovanna? In teoria sì, perché un coccodrillo può superare i 100 anni. Fatto sta che il re all'inizio lo elegge boia di corte, e gli affida i suoi peggiori nemici (forse anche i protagonisti della Congiura dei Baroni), poi si stanca, lo cattura usando come esca una coscia di cavallo avvelenata, lo fa impagliare e appende il trofeo sulla porta d'ingresso del castello.

Fin qui la leggenda. Ora la storia. Fino al 1875 un coccodrillo è realmente esposto sulla porta di bronzo di Castel Nuovo, lo prova una foto scattata da Robert Rive. In quell'anno il comandante della guarnigione lo fa rimuovere e lo regala al Museo di San Martino. Nei depositi ne esisterebbero ancora dei frammenti. Un salto avanti fino al 2018, quando gli scavi nella Galleria Borbonica del Maschio Angioino restituiscono i resti di un grosso coccodrillo. Gli studiosi ricostruiscono lo scheletro del rettile, e confermano che si tratta di un coccodrillo del Nilo di oltre due metri di lunghezza. Quello che non torna sono le date: l’esame al carbonio 14 effettuato dal Centro di ricerche isotopiche per i beni culturali data le ossa tra il 1643 e il 1666. I “mostri” erano più di uno? Discendenti di quelli “importati” da Giovanna? Non lo sappiamo. L'unica certezza è che sì, il Maschio Angioino ha ospitato non un coccodrillo, ma almeno due.

Guarda i video con la storia del Maschio Angioino (girati però prima del ritrovamento dello scheletro del coccodrillo).

 

 


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