Islanda, anno 1627. Da sempre le antiche saghe raccontano storie che non sai se sono cronache o leggende. Ma ce n’è una che ancora oggi, tra quelle case battute dal vento del nord, si racconta a bassa voce: quella dello sbarco dei turchi.
Per quanto possa sembrare incredibile i pirati barbareschi, uomini del deserto e del mare, gli stessi che in quegli anni mettevano a ferro e fuoco le coste di Italia, Spagna e Provenza, quell'estate arrivarono due volte, prima da Salé, poi da Algeri. Non erano “turchi” in senso stretto, ma così li chiameranno gli islandesi: “Tyrkjaránid”, i “rapimenti turchi”
Le navi nere compaiono all’orizzonte il 20 giugno, davanti al piccolo villaggio di Grindavík. Al comando c’è Murat Reis, un olandese convertito all’Islam e diventato pirata. Chi li avvista, non sa cosa pensare: non c’è ragione, non c’è logica, non ci sono difese. Solo pescatori, donne, bambini, la solitudine del nord, e una vita che pare troppo semplice per attirare il male.
I pirati catturarono una quindicina di islandesi, altri marinai danesi e olandesi. Prendono anche due navi. Una piccola guerra-lampo, brutale e silenziosa. Tentano pure uno sbarco a Bessastaðir, ma un manipolo di lancieri li ricaccia in mare.
Un mese dopo altre navi provenienti da Algeri costeggiano i fiordi orientali. A Berufjörður e Breiðdalur la gente viene svegliata dal fuoco appiccato alle case: 110 prigionieri, argento, bestiame, una nave danese affondata e un peschereccio inglese catturato sono il consuntivo della razzia.
La costa meridionale però si rivela ostile e inospitale, così puntano su Vestmannaeyjar, le Isole degli Uomini dell’Ovest. Il 16 luglio approdano e scatenano l’inferno: 234 persone rapite, 34 uccise. Bruciano il mercato, la chiesa, uccidono anche un ministro. Tre giorni e le isole sono vuote.
Le navi ripartono con le stive piene di prigionieri in catene. Li portano giù, verso il caldo soffocante di Algeri e Salé, dove verranno venduti come schiavi. Solo uno di loro fsarà rilasciato: Ólafur Egilsson, pastore luterano, inviato a chiedere soldi per riscattare i prigionieri. Impiegherà nove anni, attraversando mezza Europa.
Riuscirà a riscattare solo una parte degli schiavi: sono 34 gli islandesi che ripartono da Algeri. Sei morirono sulla via del ritorno, uno verrà lasciato a Glückstadt. Nel 1645 sarà pagato un riscatto per altre 8 persone, che faranno ritorno a Copenaghen. In totale 50 persone ottengono la libertà. La prigioniera più importante si chiama Guðríður Símonardóttir, tornata a casa sposerà Hallgrímur Pétursson, uno dei poeti più famosi d'Islanda.
E quelli non riscattati? I più giovani si convertono: quasi cento scelgono l’Islam . I più deboli muoiono di stenti. Alcuni vengono comprati da padroni benevoli, altri cadono in mani feroci, legati in catene dalla mattina alla sera, vestiti di stracci, nutriti appena. Per tutti loro l'Islanda rimarrà solo un sogno lontanissimo.
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