domenica 6 luglio 2025

783 - LO ZOO UMANO

 

 

Avete presente “Il pianeta delle scimmie”, con gli esseri umani in gabbia per il divertimento di primati evoluti? Beh, poco piu' di un secolo fa nel cuore della civilissima europa accadeva qualcosa del genere:

A Parigi, nel Bois de Vincennes, tra erbacce e silenzi spezzati solo dal gracchiare dei corvi, è possibile visitare il Jardin d’agronomie tropicale, che ai primi del novecento fu teatro di una delle pagine più vergognose della civiltà occidentale: lo zoo umano.

Anno 1907, la Ville lumière ospita l’Esposizione Coloniale, una gigantesca messa in scena della potenza imperiale francese. Un milione di visitatori, tra maggio e ottobre, sfilano davanti a capanne in stile africano o asiatico, dove esseri umani – uomini, donne e bambini – vengono mostrati come attrazioni esotiche.

Sono indocinesi, marocchini, malgasci, sudanesi, congolesi. Portati a Parigi per "rappresentare" le proprie culture, ma trattati come animali in gabbia. L'organizzazione è meticolosa: villaggi ricostruiti nei dettagli, usanze simulate per il pubblico borghese, performance orchestrate con tamburi e danze così da dare un sapore più “autentico” allo spettacolo coloniale.

Un evento unico? Macché, solo il più eclatante. Da Londra a Bruxelles, da Amburgo a Oslo, e fino a Chicago o Tokyo, l’epoca d’oro degli zoo umani attraversa il mondo tra il 1870 e il 1930. Circa un miliardo di persone, secondo le stime più attendibili, visitano queste “esposizioni etnologiche”.

Alcuni dei “campioni” – come li chiamano – sono pagati, è vero, ma la maggior parte sono deportati con l’inganno o presi direttamente nei territori occupati. E molti non torneranno mai a casa: muoiono per malattie, stenti o nel circuito infernale dei circhi coloniali.

Oggi, nel Jardin d’Agronomie Tropicale René-Dumont, l’erba alta inghiotte le ultime vestigia di quel passato. Il giardino, gestito dal Comune di Parigi, dal 2006 è tornato visitabile.

Fra serre coloniali e flora tropicale sono ancora visibili la porta cinese, il ponte khmer, il ponte tonkinois, l’Esplanade du Dinh con il portico vietnamita, urne funebri imperiali, i padiglioni restaurati di Indocina e Tunisia. Altri padiglioni (Marocco, Réunion, Guyana) sono parzialmente o totalmente in rovina. Ci sono monumenti in memoria dei soldati coloniali e delle truppe africane .

Ma sono pochi a varcarne i cancelli. Forse perché in un silenzio irreale i sentieri in rovina, gli edifici diroccati coperti dal muschio, le persiane rotte che si aprono su architetture consunte raccontano senza parole una verità scomoda: che anche l’Europa delle luci, del progresso e delle rivoluzioni ha i suoi scheletri nell'armadio. E che in tempi non lontani è stata capace perfino di chiamarli spettacolo.






 
 
 

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