Un'offerta che non si può rifiutare. A trovarsela davanti è stato Francis Ford Coppola al momento di iniziare a girare Il padrino. Le cose sono andate così.
L'anno è il 1972, e il regista sta per dare il primo ciak a quello che diventerà il più celebrato fra i film sulla mafia. Joseph Colombo, boss di una delle “Cinque famiglie di New York” chiede di parlare con Coppola e col produttore Al Ruddy. Paura!
Colombo dirige la Lega italo-americana per i diritti civili, che ha fondato due anni prima, e forte di questa carica presenta tre richieste: niente rappresentazioni culturali che risultino negative per gli italiani, niente rimandi offensivi agli stereotipi dello “spaghetti” violento e ignorante, e soprattutto mai usare la parola "mafia".
Regista e produttore prendono tempo, ci pensano su, valutano pro e contro, e alla fine accettano. Il risultato è che la lavorazione del film fila liscia come l'olio. Anche perché Colombo, soddisfatto dall'esito della trattativa, provvede a parlare con i vari sindacati coinvolti nella produzione, e le maestranze lavorano senza creare problemi né ritardi.
Colombo si appassiona al progetto, e va spesso sul set per seguire le riprese. Ad accompagnarlo c'è un omone corpulento, Lenny “bull” Montana (vero nome, Leonardo Passafaro). Ex wrestler di un certo successo a cavallo fra gli anni cinquanta e sessanta, dopo essersi fatto qualche anno di carcere a Rikers Island per le sue attività non proprio cristalline per la famiglia Colombo, viene premiato dal boss che lo promuove a sua guardia del corpo per la fedeltà dimostrata.
Montana segue il suo capo come un'ombra, e una volta sul set gli rivela il suo grande sogno: fin da bambino ha sempre desiderato recitare. Il caso (almeno così ci auguriamo) vuole che l'attore che interpreta uno dei killer più importanti della famiglia Corleone muoia all'improvviso, e indovinate chi viene chiamato a sostituirlo?
Così Montana fa la sua apparizione sul set al fianco di Marlon Brando. Chi lo vede prima del ciak racconta di un'anima in pena: nervosissimo, legge e rilegge il copione, prova freneticamente le battute, le ripete all'infinito con la paura di sbagliare. Una di queste prove parossistiche, ripresa dalla troupe, sarà utilizzata per la scena in cui, agitatissimo, deve incontrare il padrino.
Alla fine il risultato è accettabile, il personaggio risulta credibile, e per Montana si apre una carriera da attore caratterista che lo vedrà recitare in una dozzina di film, oltre che in un paio di puntate di Magnum P.I.
Se questa storia vi ricorda un'altra storia, date un'occhiata a “Pallottole su Broadway” che Woody Allen dirigerà più di 20 anni dopo. Lì il mafioso che finisce per caso sul set, coinvolto nelle riprese si rivelerà un formidabile sceneggiatore. Chissà che nel famoso cassetto dei possibili soggetti che il regista newyorchese raccoglie e conserva nel suo appartamento non ci sia stata per una ventina d'anni una scheda alla voce Lenny Montana?